QUIRINALOTTO - RENZI HA PAURA CHE LA MINORANZA PD (STARRING D’ALEMA) E IL BANANA SI STIANO ACCORDANDO PER FARGLI IL “PANINO” VOTANDO AMATO - “IO FARÒ UN NOME SOLO”, CHE SARÀ RIVELATO GIOVEDÌ. E VELTRONI TORNA IN CAMPO
Francesco Bei per “la Repubblica”
Il bombardamento è iniziato. Dal giorno dello strappo al Senato sull’Italicum Matteo Renzi confida di sentirsi «assediato » dai nemici interni, da quanti utilizzano «la leggenda del partito del Nazareno» per indebolirlo in vista della partita del Quirinale.
Anche ieri la minoranza Pd si è fatta sotto. «Se si ripete lo schema dell’Italicum — minaccia Alfredo D’Attorre — rischiamo di esporre il Pd a spaccature gravi e dannose». Cesare Damiano invita il premier a «cambiare schema di gioco» rispetto all’Italicum se vuole evitare un fallimento: «Nel primo caso ha cercato l’alleanza con Berlusconi per mettere a tacere la minoranza del Pd: per il Quirinale deve cercare innanzitutto l’unità del suo partito ».
Ed effettivamente anche per il premier l’unità del Pd è un valore strategico, se non altro per evitare che i 140 parlamentari che si riconoscono nella minoranza si trasformino in altrettanti franchi tiratori. Ma a palazzo Chigi rigettano l’accusa di intelligenza con il nemico su chi l’ha lanciata. Non esiste nessun patto segreto con Berlusconi, spiegano. Anzi, il sospetto di Renzi è che una qualche relazione inconfessabile si sia stretta in questi giorni proprio tra la dissidenza Pd e il leader forzista.
Con un obiettivo preciso: portare Giuliano Amato sul colle più alto imponendolo a forza al premier. È il dubbio che lo stesso Renzi ha confessato ai suoi: «Tra Berlusconi e la minoranza dem stanno cercando di fare un “panino” per infilare Amato ». Tra i «movimenti strani» notati a largo del Nazareno ci sarebbero anche quelli di Massimo D’Alema, proprio a favore dell’ex Dottor Sottile.
Un attivismo che dal premier viene commentato con sarcasmo: «La cosa divertente è che sarebbe la prima volta che D’Alema non si muove per se stesso». Di sicuro non hanno aiutato le indiscrezioni, raccolte da un quotidiano, circa un imminente addio di D’Alema al Pd, smentite dall’entourage dell’interessato ma rilanciate ieri da Nichi Vendola: «Dice cose inconciliabili con quelle del suo partito, quindi capisco il suo disagio ».
Se la manovra a tenaglia Berlusconi- sinistra dem è vera, a palazzo Chigi e al Nazareno si studiano tutte le possibili contromisure per non finire nel “panino”. Per arrivare su Amato sarebbe necessario infatti che il nome dell’ex premier socialista finisse in una rosa di tre o quattro nomi tra cui Berlusconi e i moderati della maggioranza possano scegliere. A quel punto l’ex Cavaliere, insieme ad Alfano, punterebbe su Amato e l’operazione sarebbe chiusa al quarto scrutinio. Quello per il quale bastano 505 voti su 1009 elettori. Così Renzi ha deciso di cambiare schema puntando da subito su un nome secco. Che sarà anticipato solo giovedì alla riunione dei grandi elettori del Pd.
«Se fornissi una terna di nomi regalerei a Berlusconi la scelta. Invece non andrà così». Ora, ci sono le voci più diverse su chi possa essere il prescelto. E lo stesso premier non esclude «una sorpresa» tirata fuori all’ultimo momento, seppur come ipotesi residuale. Un personaggio nuovo, fuori dagli schemi, è Lorenzo Ornaghi, rettore emerito della Cattolica ed ex ministro della Cultura di Monti. Un altro entrato da qualche ora nel frullatore è Giovanni Maria Flick, ex Guardasigilli di Prodi, ex presidente della Corte costituzionale e con un rapporto non ostile con Berlusconi.
Tanto che, sussurra alla Camera Giuseppe Gargani, «nel 2005 il Cavaliere mi chiese di incontrarlo per avere la second opinion di un penalista su una questione che lo riguardava ». Mattarella, Padoan, Fassino e Chiamparino restano in pista, mentre il presidente emerito della Consulta, Ugo De Siervo, viene seccamente smentito dagli ambienti renziani per la sua forte opposizione all’Italicum. Scartato anche Francesco Rutelli, lanciato ieri in pista dal Giornale.
Eppure, nella grande girandola di nomi (alimentata dallo stesso premier) ce n’è uno che svetta sopra tutti gli altri. E su cui Renzi sta “delicatamente” operando dei carotaggi per saggiarne il gradimento. Si tratta di Walter Veltroni. Il leader mite, preso persino in giro per il suo famoso «ma anche», il candidato premier che condusse nel 2008 una campagna elettorale all’insegna del fair play con Berlusconi. Il segretario Pd non si sbilancia su Veltroni, ma non nega nemmeno di lavorare «per costruire il consenso interno su di lui».
Con Bersani sarà l’incontro decisivo, un faccia a faccia che potrebbe tenersi mercoledì. Dopo che martedì si sarà esaurita al Nazareno la giornata di sondaggi con tutte le forze politiche (compreso Berlusconi) e prima che giovedì si apra l’assemblea dei grandi elettori dem.
Laura Boldrini e Sergio Chiamparino
Finora tuttavia, con il leader della minoranza interna, è stato un dialogo fra sordi. L’ultima volta che si sono parlati, ormai una settimana fa, l’incomunicabilità è stata totale. Così Bersani ha raccontato a un amico lo svolgimento del colloquio: «Ha parlato per mezz’ora dell’universo mondo. Al che l’ho interrotto così: Matteo, non iniziare con le tue supercazzole, vieni al punto. E lui mi risponde: ma non c’è il punto. E io: allora richiamami quando ce l’hai».
Ma se Renzi dovesse davvero fare il nome di Veltroni, la minoranza ci starebbe? «Veltroni e Bersani — osserva uno dei ribelli dem, Francesco Boccia — sono certamente quelli che uniscono di più i nostri gruppi». Anche i parlamentari di Sel non avrebbero difficoltà a votarlo, avendo pure fatto parte della giunta dell’allora sindaco della Capitale.
Resta in piedi la possibilità di una candidatura comune di tutto il fronte anti-renziano. Un nome che unisca i 5Stelle, Sel e minoranza Pd. Romano Prodi? Non è detto. «Lo avevamo votato — afferma Nicola Fratoianni, coordinatore del partito di Vendola — ma questo non significa che sia l’unica possibilità».