CHI TOCCA LA RAI, MUORE - LA TODINI, NOVELLA PRESIDENTE DI POSTE, È PRONTA A LASCIARE IL POSTO IN CDA. IL PD RENZIANO, SFANCULANDO BERSANI E LA SOCIETÀ CIVILE DI TOBAGI E COLOMBO, È CONTENTO DI PRENDERSI LA MAGGIORANZA - MA SU QUELLA POLTRONA ANCHE ALFANO CI HA MESSO GLI OCCHI

Francesco Bei per ‘La Repubblica'

Togli un bastoncino e tutta la costruzione viene giù. Funziona così nel Mikado e sta per accadere in Rai dopo la nomina di Luisa Todini a presidente di Poste italiane. Perché l'imprenditrice è stata eletta due anni fa da Pdl e Lega nel Consiglio di amministrazione della tv di Stato.

E, benché nessuna norma di legge la obblighi a scegliere una delle due poltrone, è evidente che prima o poi ragioni di opportunità politica le potrebbero imporre di abbandonare il suo posto al settimo piano di viale Mazzini. Lasciando aperto un varco per far spazio a un esponente designato dalla nuova maggioranza. Vale a dire gradito a Matteo Renzi. Visti i numeri, sarebbe un Rai-baltone.

A palazzo Chigi infatti il dossier Rai finora è stato messo in fondo agli altri, non rientrava tra le priorità dei cento giorni. Ma il tempo scorre e fa ingiallire sempre di più la fotografia di un Cda nominato in epoca berlusconiana, quando il centrodestra era maggioranza in Parlamento.

Nove sono i membri attuali, così ripartiti. Quattro di centrodestra: Antonio Verro, Antonio Pilati, Guglielmo Rositani e Luisa Todini. Due di centrosinistra: Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo. Uno dell'Udc: Rodolfo De Laurentiis. Due nominati dal governo tecnico di Monti: la presidente Anna Maria Tarantola e l'uomo dell'azionista (il ministero dell'Economia), Marco Pinto.

Uno squilibrio troppo forte a favore del centrodestra, sebbene sulle decisioni importanti il direttore generale Luigi Gubitosi abbia sempre potuto contare sul voto della Todini. I consiglieri di centrodestra ancora masticano amaro per il «tradimento» dell'imprenditrice quando si trattò di deliberare maggiori poteri alla presidente Tarantola. Verro, Pilati, De Laurentiis e Rositani si astennero, ma la delibera passò ugualmente proprio grazie al voto della Todini. Tuttavia, nonostante l'autonomia di Todini, è chiaro che il Cavaliere ha potuto finora dormire tra due guanciali.

Adesso la musica è destinata a cambiare. Il problema semmai è capire chi potrà prendere il posto della neo presidente di Poste italiane. Nella maggioranza infatti non è soltanto il Pd a reclamare una maggiore rappresentatività al vertice dell'azienda. Il Pdl infatti non esiste più e tutti i consiglieri attuali fanno riferimento a Forza Italia. Il nuovo centrodestra è rimasto a bocca asciutta. A rafforzare l'ipotesi che possa essere lasciata ad Alfano la nomina del sostituto di Todini c'è poi una considerazione legata ai numeri della commissione di Vigilanza. A cui, per legge, spetta di nominare sette dei nove membri del Cda.

Nell'organismo, guidato dal grillino Roberto Fico, per Forza Italia sedevano infatti Paolo Bonaiuti, passato tre giorni fa all'Ncd, e Giorgio Lainati, anche lui in grande sofferenza. Due potenziali voti in più per la maggioranza, che potrebbero far pendere la bilancia a favore di un nuovo consigliere alfaniano. Del resto, sempre che Renzi non lo reclami per uno dei suoi, anche il Movimento 5 Stelle potrebbe insistere per essere rappresentato al settimo piano. L'elezione di Fico alla presidenza della Vigilanza non ha infatti portato quella ventata di novità che gli stessi grillini si aspettavano e poter disporre di una sentinella ai piani alti dell'azienda televisiva di Stato potrebbe indurre il M5s alla battaglia.

Certo, la partita potrebbe anche andare per le lunghe. La legge Gasparri concede trenta giorni alla commissione di Vigilanza per eleggere il nuovo membro del Cda dal ricevimento delle dimissioni della Todini. E solo allora inizieranno le danze. Anche perché non è detto che l'imprenditrice abbia tutta questa fretta di lasciare la doppia poltrona. «Gubitosi - riferisce una fonte interna - farà di tutto per non farla dimettere. Per lui è un indebolimento forte rispetto a un governo che già lo sente come un corpo estraneo». Raccontano infatti di una certa freddezza del premier verso il direttore generale, nonostante quest'ultimo abbia cercato in tutti i modi di ingraziarselo.

Una distanza certo non diminuita dalla strenua resistenza del Dg al piano di tagli da 170 milioni di euro che Carlo "mani-forbice" Cottarelli, commissario alla spending review, ha in mente per il gigante di Stato. Tanto che per far cassa, come ha scritto ieri l'agenzia di stampa il Velino, Gubitosi starebbe rispolverando un vecchio dossier: vendere una quota di minoranza di Rai Way.

Un patrimonio industriale pesante (2.300 siti, 23 sedi e 600 dipendenti tra ingegneri, tecnici specializzati e personale operativo) che nel 2001 i texani della Crown Castle avevano valutato in totale 1.750 miliardi di lire (circa 900 milioni di euro). E che oggi Mediobanca stima intorno ai 600 milioni. Basterà questo tesoretto
a placare il premier?

 

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