SINISTRATI D’ASSALTO - LA MINORANZA PD VUOLE FAR SALTARE LA RIFORMA DEL LAVORO - IL COMPAGNO BERSANOV E’ IN TRINCEA CON LA RIDOTTA “BOLSCEMITA” DI FASSINA, EPIFANI E D’ATTORRE PER MITRAGLIARE I SUOI EMENDAMENTI
Carlo Bertini per “la Stampa”
Il fuoco di sbarramento sta per scattare, le batterie lancia-missili sono già partite alla volta del Senato, dove verranno piazzate per la prima battaglia di trincea, quella che andrà in scena in aula la prossima settimana. E come sempre in politica il fuoco di sbarramento serve a far trattare meglio le diplomazie della sinistra Pd. Che cercano disperatamente di mettere un argine alla disfatta di un bastione fino ad oggi inespugnabile come quello dell’articolo 18.
Ecco perché ieri si sono chiusi in una stanza Pierluigi Bersani, Stefano Fassina, Guglielmo Epifani, Alfredo D’Attorre e alcuni senatori. Per fissare i punti cardine di una strategia d’attacco che da martedì verrà tradotta in una manciata di emendamenti «qualificanti» al jobs act: che porteranno la firma dell’ex sottosegretario al welfare Cecilia Guerra e di Maria Grazia Gatti, oggi senatrice, ma per dieci anni di stanza alla Cgil di Pisa.
Sono cinque gli emendamenti chiave che sta preparando la sinistra Pd, con la premessa - si infervora Stefano Fassina - che «i principi della delega sono troppo generici e vanno specificati, non si può dare una delega in bianco al governo. Quando c’era Monti nel 2012 e lo spread era a 400, noi siamo riusciti a trovare una soluzione equilibrata, oggi in condizioni meno complicate si va sul terreno liberista».
Lorenzo Guerini e Guglielmo Epifani
Ciò vuol dire - sarà questo il primo emendamento dei bersanian-dalemiani - «specificare che resta la possibilità per il giudice di reintegrare il lavoratore licenziato senza giusta causa dopo il primo triennio, come è nella legislazione tedesca». Il secondo punto sub judice riguarda il disboscamento della giungla di contratti precari, le decine di forme in vigore vanno ridotte, «specificando il ridimensionamento e le poche tipologie contrattuali da tenere in vita».
Terzo elemento: la sinistra vuole che una copertura finanziaria esplicita con le quantificazioni e la tempistica per l’indennità di disoccupazione universale, con un rinvio alla legge di stabilità e con la dotazione finanziaria necessaria. Insomma, la delega che chiede il governo non può essere «a risorse invariate».
Quarto, la minoranza del Pd vuole che sia specificata una stretta connessione tra l’avvio del contratto a tutele crescenti che comprenda il reintegro e l’entrata a regime dei nuovi ammortizzatori sociali ampliati e il loro relativo finanziamento.
Quinto, sul «demansionamento, bisogna definire un perimetro più preciso e il coinvolgimento dei sindacati ai fini della definizione più stretta dell’ambito dell’intervento a livello contrattuale». Tradotto in uno slogan usato da tutti a sinistra in queste ore, «sì al modello tedesco, no a quello spagnolo fondato sulla precarizzazione e compressione di diritti e salari», mette in chiaro D’Attorre.
Ma le trattative fervono e uno degli elastici che il governo può tirare è quello dei tre anni di sospensione dell’articolo 18 per i nuovi assunti, che la sinistra per ora è disposta pure a portare a quattro. Anche perché tra i renziani c’è chi non esclude che invece l’articolo 18 sia eliminato per tutti, pure per i contratti in essere, ipotesi questa fin qui negata da tutti i più alti in grado del Pd con lo slogan «i diritti acquisiti non si toccano». Insomma la partita è solo all’inizio e in queste ore, nel ruolo di «pontieri» ci sono il ministro Poletti, il responsabile economia e lavoro del Pd, Filippo Taddei e il presidente del partito Matteo Orfini.