COSE TURCHE - DOPO LA MORTE DEL PROCURATORE E DEI DUE RAPITORI CHE L’HANNO PRESO IN OSTAGGIO, DUE UOMINI ARMATI SONO ENTRATI NELLA SEDE DEL PARTITO DI ERDOGAN A ISTANBUL
1 - TURCHIA: DUE UOMINI ARMATI IN SEDE AKP A ISTANBUL - E' IL PARTITO DI ERDOGAN
(ANSA) - Due uomini armati sono penetrati in una sede del partito islamico Akp del presidente turco Recep Tayyip Erdogan nel quartiere di Kartal, a Istanbul, riferisce Hurriyet online.
2 - TURCHIA: ARRESTATI 22 ATTIVISTI ESTREMA SINISTRA
(ANSA) - All'indomani del tragico sequestro a Istanbul di un magistrato da parte di due membri del gruppo di estrema sinistra Dhkp-C, la polizia turca ha arrestato questa mattina a Antalya 22 attivisti sospettati di preparare altri attacchi analoghi, riferisce la stampa di Ankara. I 22 arrestati sarebbero vicini al Dhkp-C, secondo l'agenzia Dogan.
3 - TURCHIA, IL SEQUESTRO FINISCE NEL SANGUE
Guido Olimpio per il “Corriere della Sera”
Le autorità turche hanno preso tempo, accettando la trattativa. Poi quando è scesa la notte è partito l’ordine per le forze speciali che sono andate all’assalto. Uccisi i due terroristi. Morto dopo un disperato intervento per salvarlo il procuratore che era stato preso in ostaggio nel palazzo di Giustizia di Istanbul. Si è chiusa così, dopo otto ore, la sfida lanciata dai terroristi di estrema sinistra del Fronte rivoluzionario per la liberazione del Popolo, il Dhkp-C, sigla storica dell’eversione locale.
Il giorno più lungo è iniziato con l’irruzione dei militanti. Non è chiaro come siano riusciti ad entrare armati in un luogo che dovrebbe essere protetto. Forse avevano dei complici, magari hanno approfittato del gigantesco black-out che ha colpito la Turchia per ore. Una volta all’interno, hanno raggiunto il sesto piano chiudendosi in un ufficio con il loro prigioniero, il magistrato Mehmet Selim Kiraz.
In pochi istanti sul Web è apparsa un’immagine drammatica: un uomo mascherato che puntava la pistola Makarov alla tempia del procuratore. Sulla parete bandiere rosse con la falce e martello. Poi le condizioni passate attraverso un mediatore, l’avvocato Sukriye Erdan: 1) diffusione da parte della magistratura dei nomi di 4 agenti coinvolti nel caso di Berkin Elvan, il quindicenne ucciso da un candelotto lacrimogeno durante le proteste di Gezi Park; 2) processo popolare per i responsabili; 3) annullamento del procedimento contro i dimostranti incriminati.
Il governo ha mobilitato le unità speciali. Quindi, ricorrendo a un provvedimento spesso usato in passato, ha imposto ai media di non diffondere informazioni. Sotto questa cappa sono iniziate le trattative, protrattesi oltre l’ultimatum fissato dai terroristi per le 15 e 36 e marcate dall’appello del papà di Berkin Elvan: «Basta sangue, non voglio che un’altra madre pianga il proprio figlio». Parole inascoltate.
I commandos, dopo aver raccolto i dati chiave sull’edificio, si sono mossi secondo uno schema classico. Lancio di granate stordenti, irruzione delle teste di cuoio nella stanza dove erano barricati i militanti. Ne è seguita una sparatoria durata diversi minuti, con un epilogo tragico. «Siamo intervenuti — si è giustificata la polizia — perché abbiamo sentito sparare». Una versione da verificare.
L’attacco alla magistratura non ha sorpreso. Da mesi c’erano segnali su possibili operazioni da parte del Dhkp-C, tornato all’offensiva all’ombra della rivolta contro il potere di Erdogan. E i militanti, nostalgici del marxismo-leninismo, hanno mancato di un giorno un anniversario importante. Il 30 marzo 1994 era la data di fondazione del Fronte, giorno scelto per ricordare una battaglia con i soldati negli anni 70.
Rapporti della sicurezza parlavano di problemi per il Fronte. La fazione avrebbe incontrato difficoltà nella campagna di reclutamento. Al punto che erano stati costretti a ridurre la classica cellula da 3 a 2 elementi. Un ridimensionamento dopo l’attentato suicida contro l’ambasciata Usa ad Ankara, nel febbraio 2013, con un kamikaze fattosi saltare all’ingresso. Episodio seguito da alcuni arresti che avevano costretto il gruppo a rivedere i piani.
Il Dhkp-C, molto presente nell’area urbana turca, ha infatti alcuni dei suoi referenti all’estero, dirigenti che vivono in Europa dove contano su una rete di solidarietà nonostante siano sulla lista nera. Come altre volte gli estremisti hanno recuperato le forze e sono tornati a sparare prendendo di mira un commissariato a Istanbul in gennaio. Incursione accompagnata dai soliti sospetti su possibili manipolazioni da parte di servizi segreti. La fazione non è parsa mai impermeabile a infiltrazioni dell’intelligence turco — il Mit — ed ha mantenuto rapporti con 007 siriani così come con la milizia pro-Assad di Mihrac Ural.
Usando il simbolo di Berkin Elvan, il Dhkp-C ha cercato di sfruttare la rabbia per la repressione scatenata da Erdogan. Mossa che può aver entusiasmato l’ala dura ma ha certamente messo in difficoltà chi vuole contestare senza ricorrere al Kalashnikov.