IN ONDA PER LUTTO - LE SERIE TV COME TERAPIE PER ELABORARE LA MORTE – “AFTER LIFE” DI RICKY GERVAIS, CHE NARRA LA STORIA DI UN GIORNALISTA E LA SUA INCAPACITÀ DI RICOMINCIARE A VIVERE DOPO AVER PERSO LA MOGLIE, È STATO UN SUCCESSO GLOBALE, CON GLI UTENTI SUI SOCIAL CHE HANNO ELOGIATO IL COMICO INGLESE PER LA SENSIBILITÀ (E L’IRONIA) DEI TEMI TRATTATI – L'ELABORAZIONE DEL LUTTO È UN TEMA TALMENTE ESPLORATO NEGLI ULTIMI ANNI DA ESSERE ORMAI QUASI UN SOTTOGENERE – VIDEO 

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Paola Italiano per “La Stampa”

 

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«Hai reso il dolore accettabile. E te ne sarò per sempre grata», scrive su Twitter la signora Lynsey a Ricky Gervais: un grazie tra migliaia di altri grazie che stanno sommergendo l'attore inglese di After Life, la serie che narra la storia di Tony giornalista in una paesino di provincia, e la sua incapacità di ricominciare a vivere dopo aver perso la moglie, il ripiegamento cinico e antisociale, la depressione. Il talento di un comico porta un lumicino negli abissi del dolore, potere catartico del riso in mezzo al pianto. 

 

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I grazie per la terza stagione (su Netflix) sono così tanti che Gervais ha voluto ringraziare a sua volta: per averla guardata e consigliata, ma «soprattutto grazie per il sostegno a tutte le persone che si aprono sul loro dolore. Avete creato un piccolo culto della gentilezza», ha scritto l'altro ieri. Ecco il punto: After Life non è solo una bella serie, è diventata una sorta di terapia. 

 

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Ma può una serie aiutare ad affrontare, magari a superare il dolore? Una cosa è certa: nella frammentazione dell'offerta delle piattaforme di streaming, l'elaborazione del lutto è un tema talmente esplorato negli ultimi anni da essere ormai quasi un sottogenere. Non un accidente né uno snodo narrativo: il centro della riflessione. «Nell'era delle piattaforme streaming c'è una maggiore maturità nell'affrontare il tema del lutto rispetto a rappresentazioni più stereotipate del passato, che genera un processo di immedesimazione», dice Davide Sisto, filosofo, tanatologo e ricercatore all'Università di Trieste, autore di saggi sulla morte nell'era digitale. 

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«After Life ha poi un ulteriore merito: fa emergere una difficoltà tipica della società odierna a superare il lutto legata all'abbondanza del materiale digitale che si conserva della persona scomparsa. Il protagonista, Tony, non riesce a staccarsi dalla moglie anche perché continua a riguardare i video di lei: questo materiale è molto più invasivo rispetto a diari e fotografie, e rende immersiva l'esperienza del ricordo». 

 

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Anche And Just Like That, sequel di Sex and The City, in fondo è questo: la vita di Carrie dopo l'improvvisa perdita di Big, il grande amore, sospirato, inseguito e infine sposato, una ricerca lunga sei stagioni e due (dimenticabili) film. Era finita come nelle favole, ma cosa c'è dopo? Vissero felici e contenti, quanto a lungo nessuno lo dice mai. E se le ex trentenni allegre ed emancipate che si rispecchiavano (ed emulavano) la columinist newyorchese vent' anni dopo sono rimaste incollate ai nuovi episodi, è perché ci hanno trovato pezzi delle loro vite e non importa che sia tutto un po' malinconico: è la vita che è così.

 

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Ed è così anche la vita di Karla Fazius, meno nota di Carrie Bradshaw, ma alle prese con lo stesso dolore nella serie tedesca di Netflix The Last Word: rimasta vedova, comincia a collaborare con un'agenzia di pompe funebri come elogista, cerca cioè le parole per aiutare gli altri ad attraversare lo smarrimento e la perdita di senso che si accompagna alla morte di chi amavi. 

 

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E ancora: Northern Rescue (ancora Netflix) altro non è che una rappresentazione di tutte le fasi del lutto attraverso la reazione di ogni componente della famiglia alla morte di Charlie Anders, moglie e madre di tre figli, un'esplorazione a episodi dei diversi modi di metabolizzare il dolore. Ma anche le vicende di un eroe (anzi: un antieroe) nostrano come Rocco Schiavone sono legate al tentativo di superare una perdita: Rocco parla continuamente con sua moglie morta, la vede, e - anche se qui la complicazione è il senso di colpa, lei è morta in una sparatoria - il percorso (della serie e dei libri) è quello di un lento procedere sulla via dell'accettazione. 

 

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C'è un altro aspetto della contemporaneità che conferisce alle serie un potere consolatorio, se non taumaturgico: la community che si crea grazie ai social. Quando Gervais parla delle «persone che si aprono sul loro dolore», pensa ai commenti dei tanti che hanno tirato fuori il loro strazio, che hanno scoperto di non essere sole nell'incapacità di ritrovare la forza di vivere. 

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La condivisione rompe il silenzio solitario, tenersi tutto dentro per una forma di pudore, quasi vergogna di ammettere che superare il dolore non è come spiccare un salto che ti porta al di là una volta per tutte ma è piuttosto una fatica quotidiana perenne, siamo Sisifo alle prese con un macigno che si chiama mancanza e che in qualsiasi momento può rotolare al tormento iniziale. 

 

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«La valenza terapeutica - spiega ancora Sisto - sta anche nell'aggregazione che genera, vale per tutta l'arte. Seguo su Youtube le conversazioni sotto le canzoni dedicate a un lutto specifico con decine di migliaia di commenti: Gocce di memoria di Giorgia, Everybody Hurts dei R.E.M., o gli Audioslave con Doesn't Remind me, il cui video racconta la storia di un bambino che perde il padre in guerra».

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