LA VERITA’ SUL SUICIDIO DI SYLVIA PLATH - QUELLA NOTTE TED HUGHES ERA FRA LE BRACCIA DI UN’AMANTE POETESSA E AVEVA CAMBIATO APPARTAMENTO PER NON RICEVERE LE TELEFONATE DELLA EX MOGLIE - “SE TORNO, MUOIO”, DICEVA. E' MORTA LEI... - - - - -

Una nuova biografia del poeta Ted Hughes scava ancora gli ultimi giorni di Sylvia Plath nel febbraio del 1963 - Con chi fosse Ted quella notte non cambia nulla, non aggiunge nulla, non serve a svelare il mistero di Sylvia, la sua impossibilità di vivere. Lui non c’era, se ci fosse stato l’avrebbe salvata. Almeno per quella notte...

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Annalena Benini per “il Foglio”

 

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Dopo più di cinquant’anni, dopo molte poesie e altre morti, una nuova biografia del poeta Ted Hughes, in uscita per HarperCollins, “Ted Hughes: The Unauthorised Life”, di Jonathan Bate, scava ancora gli ultimi giorni di Sylvia Plath nel febbraio del 1963. Dopo il silenzio di una vita intera, rotto soltanto dai versi, ma con un dolore covato per sempre, ecco quello che il Sunday Times ha presentato come il segreto di Ted, la sua versione scritta nei giorni successivi alla morte di Sylvia e mai resa pubblica.

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Non era necessario scoprire che nelle ore in cui Sylvia sigillava la stanza dei bambini con lo scotch e sceglieva la sua morte in cucina, Ted Hughes era fra le braccia di un’amante poetessa, e aveva cambiato appartamento per quella notte proprio per stare tranquillo, per non ricevere le telefonate della ex moglie che un momento era serena, gli parlava del lavoro, del futuro, della prossima estate, e il momento dopo gli chiedeva di lasciare il paese e di sparire dalla faccia della terra; lei gli aveva già mandato una lettera di addio, arrivata troppo presto, lui si era precipitato a casa sua per l’ultima volta: lei bruciò la lettera in un posacenere e gli chiese di andarsene.

 

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Poi altre telefonate, in cui lui provava a confortarla goffamente: “Take it easy, Sylvia”, e dopo si prendeva la testa fra le mani, a letto con la sua ragazza di quel periodo, e diceva che Sylvia sembrava drogata, o ubriaca, e che avrebbe dovuto portarla da qualche parte. “Ma se torno, muoio”, aveva aggiunto.

 

E per tre anni dopo quella domenica Ted Hughes non aveva più scritto un verso, per il resto della sua vita non aveva parlato, ma aveva imparato a conoscere il dolore di Sylvia. Anche a farsene carico, a lasciare che il mondo gli desse la colpa di un suicidio. Moglie frustrata e ferita dai tradimenti e dall’abbandono si toglie la vita. Adesso, di nuovo.

 

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Ma in una poesia, “The inscription” (in “Lettere di compleanno”), Ted Hughes aveva già rivelato molto, non era necessario entrare nella camera da letto: “Lei pianse, implorando conferma – che avesse fiducia in lei, e lui vacillò quando invece avrebbe dovuto afferrare”.

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Con chi fosse Ted Hughes quella notte non cambia nulla, non aggiunge nulla, non serve a svelare il mistero di Sylvia, la sua impossibilità di vivere. Lui non c’era, se ci fosse stato l’avrebbe salvata. Almeno per quella notte. E’ tutto quello che c’è da sapere, e che Sylvia Plath e Ted Hughes hanno sempre saputo.

Silvia Plath Silvia Plath la poetessa Sylvia Plath la poetessa Sylvia Plath PLATH HUGHES PLATH HUGHES

 

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