GIUSTIZIATI DALLA GIUSTIZIA - LA STORIA DEL PANETTIERE GIUSEPPE GREGORACI, FINITO IN CARCERE DUE ANNI FA INSIEME AD ALTRE 7 PERSONE ACCUSATE DI FAR PARTE DI UNA 'NDRINA CALABRESE - INVALIDO PER UN BRUTTO INCIDENTE CHE GLI AVEVA TRANCIATO UNA GAMBA, SI E' AMMAZZATO L'ANNO SCORSO IN CARCERE - INTANTO E' ARRIVATA LA SENTENZA: TUTTI ASSOLTI "PER NON AVER COMMESSO IL FATTO"

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Claudia Osmetti per “Libero quotidiano”

 

Pino Gregoraci arrestato Pino Gregoraci arrestato

Li hanno assolti due anni dopo, ma uno di loro, nel frattempo, si è tolto la vita in carcere. Era un detenuto in attesa di giudizio, si chiamava Giuseppe Pino Gregoraci. Come Alberto Sordi in quel famoso film, era stato sbattuto dentro ancor prima di potersi spiegare. Di poter dire che lui, Pino, non c'entrava nulla con l'accusa - pesantissima - di far parte della 'ndrina calabrese. Era un semplice panettiere, un padre di famiglia. Aveva pure una vita difficile alle spalle, un incidente automobilistico che a 18 anni gli ha tranciato di netto una gamba e gli ha "regalato" una protesi che aveva bisogno di manutenzione.

 

Pino Gregoraci Pino Gregoraci

Tutto sommato, quello era niente: il vero incubo inizia a luglio del 2019, quando la Dda di Reggio Calabria fa partire l'operazione "Canadian 'ndrangheta connection". Vuole capire, l'antimafia italiana, se ci sono ramificazioni mafiose riconducibili ai nostri clan pure al di là dell'oceano. Ché - evidentemente - non bastan le retate nazionali.

 

Fatto sta che Pino finisce nel tritacarne. La Dda e la Procura sostengono che faccia parte di un 'ndrina di Siderno (piccolo Comune del Reggino), che sia a capo di un esercizio abusivo del credito finalizzato ad agevolare i conti della mala. Con lui finiscono in manette altri otto e la loro vicenda conquista buona parte della stampa.

 

Pino Gregoraci arrestato Pino Gregoraci arrestato

Escono i nomi sui giornali, i commenti si fanno di ora in ora più duri. Fino a bollare Pino come "boss mafioso" senza che alcun tribunale si sia ancora espresso sulla sua vicenda. Lui, all'inizio, prova a reagire: in mano ha un certificato medico con su scritto che in carcere, a Reggio Calabria, con quella gamba che in realtà è un moncone, non ci può proprio stare. Lo trasferiscono a Voghera, in Lombardia.

 

Ma mancano le attrezzature idonee per un disabile persino lì (già, i penitenziari: quei grand hotel che qualcuno vorrebbe far credere siano il paradiso del lusso). Pino un giorno sta facendo la doccia, cade e si frattura il cranio. Allora il suo avvocato chiede i domiciliari, insiste: è una cosa seria. Ma l'istanza viene rigettata «senza disporre neanche di una perizia», come sottolinea sulle pagine del Dubbio il legale, Giuseppe Calderazzo.

 

Carcere Carcere

A quel punto Pino si arrende: a fine gennaio dell'anno scorso si impicca nella sua cella, a 51 anni, senza aspettare la decisione dei magistrati. «Suicida in carcere l'esponente di spicco delle cosche», titola qualche quotidiano locale calabrese. Giusto per ribadire il concetto.

 

Invece, in questi giorni, arriva la svolta. Termina il primo grado del processo in cui era coinvolto anche Pino (per lui, ovviamente, l'iter si ferma con la morte): il tribunale di Locri assolve con formula piena (cioè per «non aver commesso il fatto») 6 degli altri coimputati e ne condanna 2 per trasferimento fraudolento di valori e favoreggiamento, ma specifica che l'aggravante dell'associazione mafiosa non sta in piedi per niente. Insomma, quella lunga mano della 'ndrina non c'era.

 

Pino Gregoraci Pino Gregoraci

Non c'era proprio l'ombra della malavita. «Sono stati assolti tutti i soggetti che avevano, nel procedimento, una posizione simile a quella di Pino», spiega Calderazzo. Vuol dire che, pressoché certamente, la stessa sorte sarebbe capitata anche lui. Ma Pino adesso non c'è più, è morto in attesa di ottenere giustizia.

 

Quel che resta è solo il dolore - straziante - di sua moglie Rosamaria che si sfoga come può, su Facebook. «Non esiste una 'ndrina, non esiste un'associazione mafiosa» scrive, domandandosi: «Questi eclatanti arresti, con tanto di titoloni, era proprio il caso di farli?».

 

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