Luigi Mascheroni per Il Giornale
Anticipiamo per gentile concessione dell'editore Biblohaus la prefazione di Luigi Mascheroni al volume Quella strana pubblicità, scritto da Mauro Chiabrando e Alberto Ravaglioli, che sarà in libreria tra una decina di giorni per i sessant'anni dalla morte di Leo Longanesi.
Longanesi giornalista, e va bene. Longanesi aforista (che non vuol dire uno scrittore a misura di tweet), e d'accordo. Longanesi polemista, e si può dire tutto e il suo contrario. Ma soprattutto Longanesi editore. Eccolo, è lui. Lui, san Leo Longanesi da Bagnacavallo, fisico piccoletto ma taglia intellettuale da gigante, diceva che solo un cretino è pieno di idee. Da parte sua, pur non essendolo affatto, ne ebbe parecchie. In campo giornalistico, culturale e politico.
Ma la più bella, forse, fu quella di fondare una casa editrice, che porta ancora oggi il suo nome. Era il 1946, e l'intellettuale di Regime scriveva all'amico e fidato collaboratore Giovanni Ansaldo: «In questi ultimi tempi ho capito che la miglior cosa è non fare nulla che mi leghi alla politica... Ho già visto molti di quelli che ci volevano fucilati venire a chiedere di pubblicare un libro... La nuova classe dirigente è talmente cretina». Dopo, nell'editoria, nulla fu più come prima. Longanesi prima di tutto e sopra a tutto era editore. Era essenzialmente un uomo che fabbricava libri, per sé, per gli amici scrittori (che si chiamavano Berto, Brancati, Flaiano...), per i suoi lettori.
Lo ha detto suo figlio Paolo, che aveva 12 anni quando morì papà Leo: «Di lui ricordo poche cose, ma molto bene. Mi ricordo che il suo essere genitore coincideva col suo essere editore. Quando stava con me e le mie sorelle, soprattutto in vacanza, e il sabato e la domenica, perché era sempre sommerso di cose da fare per i giornali e la casa editrice, trasformava il suo lavoro in un gioco per educarci. Ci faceva vedere i suoi disegni e le nuove copertine di libri e ci chiedeva cosa ne pensavamo, cosa ci piaceva. Ci coinvolgeva in ciò che faceva, mi ricordo noi bambini in mezzo a pennarelli, colori e vasetti di colla, ci regalava libri che faceva lui, pieni di illustrazioni...».
E proprio tra le sue colle, i colori e i pennelli, nel suo ufficio a Milano in via Bigli, Leo Longanesi morì, stroncato da un infarto, alla scrivania, il 27 settembre 1957. Un'allegoria. Longanesi era un editore-totale. Insieme direttore editoriale, talent scout, amministratore, editor, uomo di pubbliche relazioni, creativo (sceglieva il tipo di carta e il carattere della stampa), grafico, impaginatore, revisore di bozze... Una caratteristica - ha notato qualcuno che fa lo stesso mestiere - che lo ha avvicinato più agli umanisti del Rinascimento che ai professionisti della società contemporanea caratterizzata dall'iperspecializzazione.
Un editore-artigiano, ma di lusso. E che nel prodotto- libro mise tutto il talento di cui disponeva, un talento sparso nell'arte della scrittura, in quella della grafica, della tipografia, dell'illustrazione, del disegno, della caricatura, della pittura, della pubblicità (!), della fotografia e del fotomontaggio (!!) e persino del cinema (!!!)... Oltre che nel settore della commercializzazione (oggi si dice marketing, parola che Longanesi mai avrebbe usato) di cui l'intuizione dei celebri santini, ossia i foglietti volanti per promuovere le novità della casa editrice nello stesso formato delle immaginette sacre distribuite in chiesa, è solo uno dei tanti colpi di genio.
Poi ci sono i doni naturali. Longanesi, in campo editoriale, ne possedeva due. Primo, il fiuto. Sapeva scegliere gli autori che anticipavano sempre i tempi cui si andava incontro: scrittori americani o europei che quando li traduceva nessuno sapeva neppure che esistevano, giornalisti che intercettavano l'aria e le sensibilità dei tempi, intellettuali-spartiacque che spaccavano la società in cui entravano.
Come ricorda il più longanesiano tra i nostri giornalisti, Pietrangelo Buttafuoco: «Con il titolo Il vero Signore, che fece scrivere a Giovanni Ansaldo, pubblicò il libro in assoluto più fuori schema rispetto al canone dei finti borghesi che lo compravano. Con la Storia della filosofia occidentale di Bertrand Russell introdusse l'ateismo nelle case degli italiani. Con le sue copertine usò spregiudicatamente il nudo negli anni Cinquanta...».
Secondo dono, l'indipendenza. Possedeva la forza di scegliere chi e cosa pubblicare, fregandosene delle mode e delle voghe, che semmai creava, unendo da un parte il gusto un po' ottocentesco di voler creare una biblioteca che educasse gli italiani al piacere di leggere e pensare e dall'altra una mentalità molto moderna, sfacciatamente commerciale, come quando spinse con ogni mezzo Tempo di uccidere di Ennio Flaiano fino alla vittoria della prima edizione del premio Strega, o come quando trasformò in bestseller l'esordio di Giuseppe Berto Il cielo è rosso o l'autobiografia di Victor Kravchenko Ho scelto la libertà. Il risultato probabilmente il più importante, tra i tanti fu che Longanesi inventò, con qualche anno di anticipo sull'estetica Adelphi, un catalogo di testi fondamentali per i suoi lettori, cioè di e della Longanesi.
Interprete arrabbiato ed elegante di un modello artigianale di editoria nel momento in cui nasceva e si diffondeva il libro di massa, Leo Longanesi attraverso la scelta dei titoli da pubblicare sotto il logo delle due spade incrociate (omaggio alla moglie Maria, figlia del pittore Armando Spadini, splendido incipit affettivo-coniugale e insieme artistico di un'impresa individuale e quasi sacra) rivela il progetto di interpretare le particolari richieste della società italiana del dopoguerra nei campi letterario, filosofico, politico, religioso e del costume usando le armi affilatissime della provocazione, della satira, dell'ironia, dell'anticonformismo e persino della disapprovazione che maneggiò - da maître à penser involontario - per tutta la vita.
COVER LIBRO BUTTAFUOCO SU LONGANESI
Per tutta la vita Leo Longanesi, professione libero e artigiano, armeggiò con rabbia, orgoglio, intransigenza, contraddizioni, tra mozziconi di matita, gomme, ritagli, foto, pennelli, forbici arrugginite e cinismo ben temperato. Nel mondo del libro la sua grandezza fu di riuscire, con risorse limitate e pochi uomini (tra i quali l'insostituibile Ansaldo e l'immancabile Manuale tipografico del Bodoni sulla scrivania), a tenere testa, lui, il piccoletto, ai colossi dell'editoria italiana, mentre Rizzoli lanciava la leggendaria BUR, Mondadori si prendeva in mano il mercato del libro e nasceva la Feltrinelli...
La sua intelligenza? Far diventare la sua casa il punto di riferimento culturale di quell'Italia nostalgica e conservatrice che aveva votato per la Monarchia nel '46, per la Dc nel '48 e che avrebbe determinato l'ascesa della Destra negli anni Cinquanta e di cui Il Borghese - contraltare del Mondo di Pannunzio - a partire dal 1950 sarebbe stato l'approdo ulteriore.
La sua lungimiranza?
Proporre un modello artigianale di editoria basato sul rapporto diretto con gli autori, sulla creazione di un canone longanesiano destinato a durare nel tempo, su un attento lavoro di ricerca, sulla cura del prodotto-libro inteso come testo ma anche paratesto (e in questo i santini che disegnava e scriveva di persona sono l'esempio più emblematico: la forza delle immagini unita a quella della parola) e soprattutto su contenuti e idee baldanzosamente fuori posto, perché «un'idea che non trova posto a sedere è capace di fare la rivoluzione».
E così Leo Longanesi fece la sua rivoluzione nel mondo del libro, allevando generazioni di giovani bibliofili agguerriti cui ha insegnato una certa voluttà feticista per l'oggetto-libro, la passione per la creazione fisica del manufatto e l'inventiva per tutto ciò che precedente, accompagna e segue il volume, dalle fascette ai pieghevoli, dai bollettini alla creazione di quello strumento formidabile che fu il mensile Il Libraio, molto più di un semplice house organ della casa editrice... Così come nel giornalismo scriveva cose che non si esaurivano nella giornata, ma restava e resta ancora oggi, così in campo editoriale Leo Longanesi produceva libri che nessuno buttava via. Dopo 70 anni, i Longanesi sono ancora qua. E qualcuno con infilato dentro, persino, il suo prezioso santino.