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Estratto dell’articolo di Alfio Sciacca, Roberta Polese per il “Corriere della Sera”
Pur non essendo utilizzabile come confessione è il più grave degli indizi contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare a carico di Andrea Favero, in carcere con l’accusa di aver scaraventato giù dal cavalcavia sull’A4 la compagna Giada Zanola. È un’ammissione di colpa piena: «... a un tratto l’ho afferrata per le ginocchia e l’ho spinta oltre la ringhiera».
Sono le 3,30 della notte tra martedì e mercoledì della scorsa settimana. Dopo l’ennesima lite, racconta Favero, Giada scappa a piedi verso il cavalcavia. Lui la raggiunge in auto e la fa salire, ma «lei continuava a sbraitare, dicendo che mi avrebbe tolto il bambino. A quel punto siamo scesi dall’auto.... e l’ho spinta oltre la ringhiera».
Probabilmente in quel momento Giada, o entrambi, sono appena saliti su quella sorta di gradino che c’è davanti la rete di protezione del cavalcavia. Tutta la ringhiera è alta un metro e 96. Ma a 80 centimetri dalla strada c’è il «gradino», profondo circa 20 centimetri. Dalle immagini è riconoscibile perché colorato di rosso.
Ipotizzando che Giada fosse alta un metro e sessanta, una volta sul «gradino» sarebbe riuscita ad affacciarsi oltre la ringhiera per più di 40 centimetri. In quella posizione per Favero era più facile spingerla e farla cadere nel vuoto. Dinamica, questa, compatibile anche con i tempi. Dall’esame di alcune telecamere della zona l’auto con a bordo Favero è rimasta sul cavalcavia meno di due minuti.
Un tempo sufficiente per spingere nel vuoto la compagna. A maggior ragione se in quel momento era sotto l’effetto di farmaci o droghe. Particolare che verrà accertato dall’esame tossicologico, mentre l’autopsia ha già stabilito che era sicuramente viva. Un caso praticamente chiuso.
Peccato che quella confessione piena non sia avvenuta alla presenza di un legale e dunque non può essere utilizzata a livello processuale. Nel momento in cui Favero è stato invitato a ripetere tutto davanti al pm e ad un legale d’ufficio ha detto di avere un vuoto di memoria che non gli permette di «mentalizzare» quel che è successo: «... non ricordo se siamo saliti sul gradino della ringhiera».
giada zanola gettata da un cavalcavia
Per la gip, Laura Alcaro, le sue prime dichiarazioni sono comunque talmente gravi da giustificare l’arresto. In aggiunta ad altri indizi, elencati nelle nove pagine dell’ordinanza. Tra questi il messaggio inviato la mattina dopo al telefono di Giada, per lamentarsi che non era passata a salutarlo. E poi le precedenti aggressioni e il rancore per le nozze annullate e il fatto che lei aveva un’altra relazione […]
Quella notte, quando è uscita di casa, Giada non aveva con sé una borsa, ma solo un portadocumenti con dentro la foto del figlio. Tutto ritrovato in autostrada, non lontano dal corpo martoriato. Ma che senso ha uscire alle tre di notte per dirigersi verso una strada che porta ai campi? Perché allontanarsi dal figlio, quando aveva detto al padre che non voleva più farglielo vedere?
Per gli inquirenti quella notte potrebbe essere andata diversamente da come l’ha raccontata lui. Potrebbe non esserci stata alcuna lite in casa, ma sia stato Favero a picchiare la compagna e poi l’avrebbe gettata dal cavalcavia per cancellare ogni prova delle violenze.
Oggi invece verrà avviata la perizia sul suo cellulare, in modo da verificare se contiene dei video intimi con i quali ricattare Giada. In giornata incontrerà in carcere anche il suo legale, Marco Marcelli, e forse si capirà meglio che tipo di strategia vorrà seguire. Ieri sera intanto la comunità di Vigonza, e non solo, si è stretta attorno alla famiglia di Giada.
Oltre mille persone si sono incamminate dalla casa in via Prati dove viveva la coppia fino al cavalcavia dell’autostrada. […] Tra i tanti anche Gino Cecchettin. «A ogni femminicidio — ha detto— rivivo il dramma di Giulia, ma ora sono qui per stare accanto alla famiglia di Giada».