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La guardia di finanza ha eseguito un’ordinanza cautelare per 26 indagati e sequestrato beni per oltre 50 milioni di euro ritenuti frutto di investimenti in Sicilia, Lombardia e Veneto della cosiddetta “mafia imprenditoriale” del clan Scalisi-Laudani. I reati ipotizzati, a vario titolo, dalla Dda di Catania sono associazione mafiosa e trasferimento fraudolento di valori.
Il sequestro interessa 17 società aventi sede in Sicilia (province di Catania e Enna), Lombardia (Varese e Mantova) e Veneto (Verona), attive nel settore della logistica e della commercializzazione del carburante. Sigilli anche a 48 immobili, di cui 15 fabbricati e 33 appezzamenti di terreni, tutti situati tra la provincia di Catania e Messina.
Nel corso delle perquisizioni domiciliari sono stati trovati e sequestrati oltre 1 milione di euro in contanti, orologi, preziosi e auto di lusso, tra cui una Ferrari modello F458 del valore di 200 mila euro, due Porsche e un’Audi Q8. Nell’operazione, denominata “Follow the money”, sono stati impegnati oltre 100 militari delle Fiamme gialle del comando provinciale di Catania, in collaborazione con lo Scico di Roma.
I militari hanno ricostruito gli investimenti dei proventi illeciti del boss storico del clan Scalisi (articolazione su Adrano della famiglia mafiosa Laudani), Giuseppe Scarvaglieri, 53 anni, soggetto apicale del sodalizio attualmente sottoposto al regime detentivo del 41-bis, in attività imprenditoriali gestite dal nipote, Salvatore Calcagno, 32 anni, oltre che dagli imprenditori catanesi Antonio Siverino, 46 anni, e dal figlio Francesco, 26 anni. Questi, a loro volta, utilizzavano diversi prestanome per la costituzione di numerose società. Emersa anche la figura di Antonino Calcagno (alias “Ballala”), 55 anni, punto di riferimento dell’associazione criminale ad Adrano, Paternò e Biancavilla, attivo in particolar modo nel settore dei trasporti.
Scarvaglieri anche dal carcere ha continuato a rappresentare il punto di riferimento dell’associazione criminale, dirigendo – anche nel corso dei colloqui nell’istituto di reclusione – l’attività del clan e ciò grazie soprattutto al nipote, Salvatore Calcagno, al quale è stato riconosciuto il ruolo di portavoce dello zio sul territorio e supervisore degli investimenti.
Le indagini hanno poi messo in luce il concorso esterno nell’associazione mafiosa dei due imprenditori catanesi operanti nel settore della logistica e dei trasporti, Antonio Siverino (noto come “U Miliardario”) e il figlio Francesco.
Secondo la Dda etnea i Siverino avrebbero “occultato il patrimonio di Scarvaglieri, con plurime intestazioni fittizie di beni e società illecitamente acquisiti”. Allo stesso tempo, secondo l’accusa, il rapporto con la cosca sarebbe servito loro “a incrementare in maniera costante e considerevole le disponibilità economiche e finanziarie, potendo contare sugli ingenti e illeciti apporti di capitale derivanti dalle attività della consorteria criminale e sulla protezione offerta loro dallo stesso clan”.
Grazie a questi contatti, accusa la Procura, i Siverino, che operavano nel settore della logistica e dei trasporti ad Adrano, “hanno progressivamente esteso sull’intero territorio nazionale le loro illecite attività imprenditoriali, gradualmente diversificandole e rilevando anche società operanti nel settore della commercializzazione dei prodotti petroliferi in Veneto e Lombardia”.