Fulvio Bufi per il "Corriere della Sera"
Raffaele Cutolo si porta nella tomba una infinità di omicidi, qualche inconfessabile segreto che ha sempre detto di conoscere ma mai ha voluto svelare, e la più lunga detenzione al 41 bis che un recluso italiano abbia mai fatto: trentaquattro anni e due mesi. Quando, nell'ottobre del 1986, fu istituito il carcere duro, lui era già un detenuto sottoposto alla massima sicurezza, e da allora non ha mai ottenuto alcuna attenuazione del regime detentivo.
Né lui ha mai fatto passi verso la giustizia che potessero indurre i giudici a valutare positivamente le tante istanze - prima di uscita dal 41 bis e poi di detenzione domiciliare - presentate dall'avvocato Gaetano Aufiero, che lo ha assistito negli ultimi anni.
Cutolo non ha mai dato segnali di pentimento e nemmeno di collaborazione con i magistrati, anche solo per ricostruire una fase storica della camorra napoletana in cui la sua Nco comandava su tutti gli altri clan, e lui, seppure sempre da detenuto (a eccezione di un breve periodo di latitanza dopo l'evasione dal manicomio giudiziario di Aversa) governava le carceri e ogni genere di attività illecita che veniva svolta all'esterno.
Trattava con uomini dei servizi segreti e con i politici che gli chiesero di mediare con le Brigate Rosse per la liberazione di Ciro Cirillo, assessore regionale fedele ad Antonio Gava per il quale la Dc si mosse come non aveva fatto per Moro, pagando addirittura un riscatto. E soprattutto veniva ricompensato con gli appalti miliardari per la ricostruzione in Irpinia, che arrivarono a pioggia alle imprese guidate da uomini di sua fiducia. Tutte cose emerse nelle aule di giustizia, eppure lui ha sempre continuato a ripetere che se avesse voluto, avrebbe potuto rivelare segreti in grado di terremotare lo Stato.
Non lo ha mai fatto, e mentre lui minacciava e lanciava messaggi, tutti i potenti dei suoi tempi sono usciti di scena, lo Stato è cambiato e se Cutolo aveva davvero messo da parte un tesoro di segreti, quel patrimonio è diventato solo un accumulo di monete fuori corso. Forse dieci anni fa lo ha capito lui stesso, quando ha deciso di seppellirsi ancora di più: rinuncia alla socialità, che spetta anche ai detenuti al 41 bis.
Smette di uscire dalla cella per la passeggiata all'aria, smette di interagire con altri reclusi e con gli operatori e i volontari. Solo ai colloqui con la moglie Immacolata Iacone e con la figlia (nata tredici anni fa grazie alla fecondazione assistita) non rinuncia. Una volta al mese parla con loro. Poi, se parla, parla da solo.
Nel frattempo invecchia precocemente. Accusa numerose patologie, comincia ad avere problemi anche con la memoria. Fino al ricovero in ospedale, dove le sue condizioni peggiorano ulteriormente. Cutolo alterna fasi di lucidità a momenti in cui non riconosce nemmeno la moglie. In uno degli ultimi colloqui la figlia scappa piangendo, perché il padre non la guarda nemmeno in faccia, mentre invece scambia la moglie per una cognata morta da anni. Il suo avvocato chiede che possa andare ai domiciliari, anche restando in ospedale. Ma i giudici dicono di no.
Cutolo è stato troppo potente e pericoloso per poter essere considerato ora soltanto un vecchio ammalato. La sua uscita dal circuito carcerario - scrive il Tribunale di sorveglianza di Bologna - «sarebbe un accadimento eclatante» con «effetti dirompenti» sugli equilibri criminali in Campania. Nel nome di Cutolo, insomma, qualcuno avrebbe potuto ricominciare a uccidere. Che lui lo volesse o no.
QUANDO DON RAFÉ DICEVA "MI HANNO SEPOLTO VIVO SE PARLO CROLLA IL PARLAMENTO"
Paolo Berizzi per "la Repubblica"
L' ultima volta fu quella che fece più rumore. Due marzo 2015. «Mi tengono sepolto vivo in una cella perché se esco e parlo crolla il Parlamento », disse dal carcere di Parma. Nove anni dopo la prima intervista - me la concesse nel 2006, all' epoca era detenuto a Novara - Raffaele Cutolo accettò di rispondere alle domande di Repubblica (sempre attraverso il suo legale Gaetano Aufiero, del foro di Avellino). Ne venne fuori un polverone.
Perché le parole dell' ex spietato boss della camorra, pluriergastolano, record di detenzione (oltre mezzo secolo di carcere, di fatto in isolamento dal 1982), già allora fiaccato da una serie di patologie, erano sì, a metà tra l' atto di accusa e la rassegnazione di chi sapeva che sarebbe morto dietro le sbarre. Ma andavano dritte a un punto: «I miei segreti fanno tremare tutti.
Chi è al comando oggi, chi siede in parlamento, è stato messo lì dai politici che venivano a pregarmi ». Vero? Verosimile? Cutolo faceva Cutolo. Sempre sospeso tra l' iperbole suggestiva e la narrazione del vecchio padrino che per conservare l' onore non è (più) disposto a scendere a compromessi.
Guapperia scarica. Di uno che è diventato boss in carcere e, quando era temuto e potente, in carcere cercava di esercitare quel potere.
Don Rafaè - per dirla con Fabrizio De André - non ha mai voluto pentirsi. «L' ho fatto davanti a Dio e non davanti agli uomini. Voglio pagare i miei errori con dignità.
Andare a gettone come i pentiti solo per avere dei privilegi, vorrebbe dire offendere due volte le mie vittime ». È su questo che, dopo lo sfogo del 2015, lo incalzò l' allora procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti. «Cutolo dica quel che sa e sarà valutato, noi siamo pronti a indagare». Una sfida lanciata dallo Stato a uno che lo Stato l' ha sempre combattuto.
Perché con la sua Nco Cutolo questo si sentiva: l' anti-Stato. Vedere le carte, insomma, gli disse Roberti. Anche un segno: se Cutolo avesse deciso di collaborare, di rivelare i suoi "segreti inconfessabili", la situazione detentiva - un 41bis praticamente perenne - avrebbe potuto forse cambiare, chissà. Ma, come prevedibile, lo sfogo rimase sfogo e basta. «Per dignità non mi sono mai venduto ai magistrati - disse 'o professore, lo chiamavano così gli affiliati - . Loro se la sono legata al dito e hanno buttato la chiave». Sequestro Cirillo, caso Moro, ricostruzione post terremoto (Irpinia 1980).
Queste ed altre sono le vicende nelle quali Cutolo ebbe, o sostenne di avere avuto, un ruolo: in alcuni casi decisivo. Ombre, segreti, patti sotterranei. «La prima trattativa Stato-mafia l' ho fatta io», rivendicò. Un figlio di contadini che diventa un mistero italiano: l' ennesimo.
Immacolata Iacone e Denise Cutolo
Da quando era ormai a tutti gli effetti un invisibile - a parte i colloqui sempre più rari con la moglie Immacolata Iacone che da Ottaviano saliva a Parma portandosi a volte la figlia Denise, 13 anni, e con l' avvocato Aufiero - , l' 80enne Cutolo aveva un po' scelto di arrendersi. All' avanzare degli anni.
A un corpo provato. All' isolamento totale, sempre e comunque.
«Gli è stato negato tutto fino alla fine - dice Gaetano Aufiero - . Prendo atto che si era deciso di farlo morire da detenuto, solo, senza il conforto dei familiari. Nemmeno in punto di morte». Passo indietro: febbraio 2006. Novara. Era da molti anni che Cutolo non parlava col mondo. Aveva scelto questa linea di chiusura (nelle teche Rai è conservato uno straordinario botta e risposta con Enzo Biagi). Dopo delle lettere e un lungo lavoro con i suoi avvocati, va in porto l' idea dell' intervista. Domande e risposte attraverso i legali Gaetano Aufiero e Paolo Trofino (altro storico difensore). Il titolo: Cutolo, l' ultimo desiderio.
Il mio seme per un figlio. Caso non unico ma raro per un detenuto del suo calibro, con qualcosa come tredici ergastoli sule spalle, l' ex boss e la moglie avevano ottenuto l' ok dai magistrati per l' inseminazione artificiale. Risultato: nella notte del 30 ottobre 2007 nasce Denise Cutolo. Secondogenita di "don Rafaè" (il primo figlio, Roberto, fu ucciso a Varese il 19 dicembre 1990).
Anche di Denise parlava Cutolo.
La figlia del 41bis. In carcere a Parma si lamentava del fatto che, allo scoccare dei 12 anni, non avrebbe più potuto abbracciarla: solo vederla attraverso il vetro. «Se non posso più accarezzare mia figlia, preferisco mi facciano un' iniezione letale». Nell' intervista del 2006 gli chiesi se si sentiva di chiedere perdono a qualcuno. Rispose così. «Il perdono si chiede espiando la pena fino all' ultimo, e basta».
enzo biagi intervista raffaele cutolo RAFFAELE CUTOLO NEGLI ANNI OTTANTA RAFFAELE CUTOLO