Alessandro Di Matteo per “la Stampa”
Stavolta Enrico Letta si è arrabbiato davvero, quel rilancio di Carlo Calenda nel fine settimana non se lo aspettava proprio perché il colloquio a due di giovedì sera nella sede era stato - o meglio, era sembrato - risolutivo. I due si erano visti nella sede dell'Arel, il centro studi creato da Beniamino Andreatta e ora guidato dal leader Pd.
Una «stretta di mano», racconta Letta parlando ai sindaci del partito, un patto siglato tra gentiluomini, che comprendeva per i collegi uninominali anche i nomi di Luigi Di Maio, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli e delle ministre Mariastella Gelmini e Mara Carfagna. Un accordo che avrebbe dovuto essere ufficializzato proprio oggi e che invece il leader di Azione ha cominciato a rimettere in discussione sabato.
luigi di maio presentazione impegno civico
Eppure, nonostante tutto, questa mattina alle 11, alla Camera, si farà un ultimo tentativo: Letta - insieme alle due capigruppo Pd e a Marco Meloni - incontrerà Calenda, Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi per Azione e Più Europa. E al tavolo si arriverà con una novità: la mossa di Fratoianni, che ieri sera in Tv ha detto di essere pronto a rinunciare al collegio uninominale, se lo faranno tutti i «leader e segretari di partito», cioè anche Letta e Calenda. Si vedrà stamattina se è solo un'altra mano del classico "gioco del cerino", cioè una mossa per lasciare a Calenda l'intera responsabilità della rottura, o se si tratta di un'apertura vera.
Di sicuro l'irritazione di Letta è quella di tutto il partito. Ieri all'ora di pranzo il leader Pd ha convocato d'urgenza la riunione della segreteria e del coordinamento, organo di cui fanno parte anche i ministri e le capigruppo. Un vero gabinetto di guerra, uno sfogatoio durato un paio d'ore durante le quali la maggior parte degli intervenuti ha attaccato il leader di Azione: «Non può trattarci così! È inaffidabile, la sua lettera è irricevibile. Vuole fare anche le nostre liste?».
DARIO FRANCESCHINI SERVE AI TAVOLI ALLA FESTA DELL UNITA
Dario Franceschini, raccontano, è stato tra i più duri nel commentare le mosse di Calenda. In particolare, il ministro se l'è presa con quella lettera fatta arrivare domenica sera dal leader di Azione con le condizioni per un accordo, una sorta di ultimatum: «Le sue uscite - avrebbe detto il Franceschini - sono quelle di uno che vuole far saltare il tavolo». Molto critici anche Giuseppe Provenzano, Matteo Orfini, Goffredo Bettini, Andrea Orlando, che però a differenza dei giorni scorsi ha invitato ad usare la diplomazia: «Cerchiamo di chiudere rapidamente questa vicenda, di non trascinarla. Ma facciamo attenzione, perché vuole addossare a noi la colpa della rottura. Non diamogli argomenti».
Il timore di un Calenda che corre da solo e che alla fine toglie voti più al Pd che a Fi, del resto, è il vero motivo per cui Letta sta lavorando da settimane per chiudere un'intesa. I sondaggi - come anche quello Youtrend in partnership con Cattaneo Zanetto & Co di ieri - dicono che se l'accordo salta il centrosinistra potrebbe perdere 16 collegi uninominali, quelli dove ottiene il seggio solo chi arriva primo (12 alla Camera e 4 al Senato).
Calenda, in realtà, è convinto che andando da solo potrebbe intercettare molti più voti dei delusi soprattutto di Fi, alla fine togliendo al centrodestra più seggi di quelli che si otterrebbero con l'accordo col Pd. Ma, appunto, non è ciò che pensano al Nazareno: «La sua è una tesi non suffragata dai sondaggi che abbiamo».
Di certo, appunto, si vuole fare in modo che la responsabilità della eventuale rottura ricada tutta sul leader di Azione. Ecco perché Letta farà di tutto fino all'ultimo, nonostante l'irritazione. Chi ha parlato con lui lo descrive davvero arrabbiato, «per me la parola data è tutto, la stretta di mano è tutto», si sarebbe sfogato. La sua mossa «grave», insistono dal Nazareno.
Ma oggi si cercherà di fare un altro passo, come del resto sollecitato nel vertice Pd di ieri da Stefano Bonaccini, Michele Emiliano e anche da Lorenzo Guerini, sia pure in maniera più «tiepida», raccontano. Da Più Europa non viene data ancora per chiusa la partita: durante le telefonate con Letta di ieri, raccontano, ci sarebbe stato «qualche spiraglio» dal leader Pd. E di sicuro uno spiraglio è quello aperto da Fratoianni, perché significherebbe accogliere uno dei punti posti da Calenda.
Del resto, la rottura con Calenda creerebbe anche un altro problema al Pd, che sarebbe costretto a rivedere anche la strategia della campagna elettorale. Se Conte prova a intestarsi il ruolo di unico vero partito "di sinistra", Letta negli ultimi giorni ha ripetuto che «la sinistra è il Pd», rilanciando anche la proposta della tassa di successione. Ora, dice un dirigente Pd, se Calenda rompesse, «toccherebbe fare tutto a noi: la sinistra, i riformisti, i moderati». Stamattina ci sarà l'ultima mano di poker.