UN ALTRO BUCO NELL’ACQUA DELLA MAGISTRATURA! DOPO 7 ANNI È STATO PROSCIOLTO L’EX SENATORE DEM STEFANO ESPOSITO: “NESSUNA PROVA, ACCUSE INFONDATE” - I GIUDICI DI ROMA ARCHIVIANO IL PROCEDIMENTO A CARICO DELL'EX PARLAMENTARE E STRAPAZZANO I MAGISTRATI TORINESI RILEVANDO SERI "DUBBI SULLA FONDATEZZA" DELL'IMPIANTO ACCUSATORIO MESSO IN PIEDI DAL PM NELL’INCHIESTA BIGLIETTOPOLI. NON CI FU CORRUZIONE NÉ TRAFFICO DI INFLUENZE – ESPOSITO: “IL DANNO CHE MI È STATO INFLITTO È INCALCOLABILE. UNA FERITA APERTA CHE NON SI RIMARGINA”
Non una prova, solo ipotesi e supposizioni, vicende scollegate tra loro, spesso distanti nel tempo e usate per puntellare un impianto accusatorio a dir poco traballante. Anzi, i giudici del Tribunale di Roma sottolineano con nettezza “dubbi sulla fondatezza” dei capi di imputazione.
E così dopo sette anni il procedimento avviato dalla procura di Torino nei confronti di Stefano Esposito è stato archiviato. Il decreto, firmato lo scorso 24 giugno dal gip Angelo Giannetti e “scoperto” dall’interessato solo ieri, ha accolto in toto la richiesta dei sostituti procuratori capitolini Rosalia Affinito e Gennaro Varone che, dopo una lunga e accurata disamina, hanno fatto crollare il castello di accuse mosse all’ex senatore torinese.
Tirato in ballo nell’ambito della cosiddetta “Bigliettopoli”, la maxi inchiesta avviata dal pm Gianfranco Colace, per un presunto scambio di favori con l’imprenditore Giulio Muttoni, ex patron della società promotrice di spettacoli Set Up Live e amico d’infanzia, a Esposito erano stati contestati reati gravissimi, soprattutto per un politico all’epoca in piena attività, e rinviato a giudizio nel 2022 con l’accusa di turbativa d’asta, corruzione e traffico d’influenze.
Un’indagine che si è trasformata in una Caporetto giudiziaria. Il primo colpo è arrivato quando la Cassazione ha trasferito a Roma per competenza gran parte delle carte, disponendo l’annullamento del rinvio a giudizio e consegnando i faldoni alla procura della Capitale. Non solo i magistrati torinesi non avrebbero dovuto indagare per palese incompetenza territoriale, ma lo hanno fatto pure violando la legge.
Per la Corte Costituzionale, Esposito venne intercettato illegalmente ben 500 volte in tre anni, tra 2015 e 2018, in quanto i pm torinesi sapevano fin dall’inizio che era un parlamentare e che dunque dovevano chiedere preventivamente l’autorizzazione al Senato. E proprio utilizzando un centinaio di tali ascolti Esposito venne poi mandato a processo. Per la cronaca, Muttoni fu intercettato a sua volta 23.738 volte. Una condotta, quella della procura subalpina, che ha indotto il Csm ad avviare un procedimento disciplinare contro il titolare dell’inchiesta, Colace, e Lucia Minutella, la gip che ne ha avallato la decisione.
Ma i pm di piazzale Clodio sono entrati nel merito dell’attività inquisitoria e smontato uno per uno le contestazioni, arrivando a concludere che non solo Esposito non ha approfittato per vantaggi personali o altrui (ipotesi liquidata come “congetturale spunto investigativo”) del suo ruolo di parlamentare ma che non sono ravvisabili reati. I prestiti, ottenuti da Muttoni nel 2010 e 2013 sono stati restituiti con interessi, definendo “irragionevole” l’ipotesi accusatoria.
Lecito è stato il suo interessamento nell’interdittiva antimafia comminata a Set Up, come peraltro si evince dai successivi sviluppi che ha visto il filone relativo a infiltrazioni mafiose prima avocato dalla Procura generale e successivamente archiviato. I magistrati capitolini concludono: “Le prove, considerate nella loro individualità e, quindi in sintesi logica, non rivelano mai, in alcun caso, la loro concreta, ragionevole idoneità a dimostrare l’esistenza di un patto illecito per l’esercizio di funzioni pubbliche, né per una spendita di carisma, derivante dal ruolo apicale, per ottenere entrature illecite verso pubblici ufficiali”.
Riassumendo, questa vicenda giudiziaria non solo è stata avviata da una procura incompetente per territorio e condotta in palese violazione della legge e della Costituzione, ma le accuse erano infondate, basate su congetture, labili spunti investigativi, irragionevolezza del dato temporale. “Il danno che mi è stato inflitto è incalcolabile – commenta Esposito –. Una ferita aperta che non si rimargina. Questa archiviazione segna la fine di una sofferenza non raccontabile, ma non cancella le sofferenze e le conseguenze a lungo termine.
Per sette anni, 2589 giorni, sono stato vittima di accuse infamanti e di gravi violazioni dei miei diritti. Non considero questa una vittoria. Le cicatrici che porto, così come quelle inflitte alla mia famiglia, non potranno mai essere cancellate da niente e da nessuno. La giustizia ha ristabilito la verità, ma il prezzo che ho pagato è stato altissimo. Cercherò di continuare a raccontare questa vicenda affinché simili ingiustizie non si ripetano, con la consapevolezza che, nel nostro Paese, non tutte le vittime di ingiustizia hanno la possibilità di difendersi per così tanti anni e di poter raccontare la propria storia”.