Tommaso Labate per corriere.it
Hai voglia a dire che «non è una questione personale, è solo politica», come hanno fatto negli ultimi giorni Renzi riferendosi a Conte, Conte riferendosi a Renzi, il Pd a Conte, i 5 Stelle al Pd. Quando la politica sale a bordo del tagadà di riunioni notturne, telefonate segrete e nomi da spendere - nella fase che sta per entrare nel vivo e durerà fino alla nascita del prossimo governo, insomma - c’è sempre qualcuno che entra in conclave papa per uscirne cardinale e viceversa.
Nessuno forse potrà battere l’amaro record del vecchio dc Mauro Favilla, già sindaco di Lucca. In uno degli ultimi governi Andreotti, entra al Quirinale per giurare da ministro delle Finanze e arriva fino a infilarsi nel Salone delle Feste. Mentre sta ripassando il giuramento e sistema l’abito blu che da lì a qualche secondo sarà immortalato nelle foto di rito, qualcuno lo richiama indietro.
Per un ricalcolo sul manuale Cencelli, figlio dell’ultima riunione riservata per chiudere il cerchio, quel ministero spettava a un altro. Meno doloroso, perché ben ricompensato, fu lo strazio patito ad Arcore dal professor Marcello Pera. Altra riunione riservata, altro destino che cambia.
PAOLO CIRINO POMICINO GIULIO ANDREOTTI
«Ascoltiamo tutti il professore. Sarà il nostro ministro della Giustizia», esordisce Berlusconi pochi giorni prima di avere l’incarico nel 2001. Pera argomenta, elenca, spiega, illumina. Poi però prende la parola Umberto Bossi, che non l’aveva mai visto prima. Testuale, per come riportato da più presenti: «Professore, ci posso fare una domanda? Ma lei ce li ha i...» scandì il Senatùr, chiedendo che il futuro Guardarsigilli - eufemismo - avesse un fare decisamente meno garbato e più aggressivo. Il posto andò al ruvido leghista Castelli, Pera finì a fare il presidente del Senato.
Ci sono casi, poi, in cui è proprio il riunirsi di nascosto l’oggetto del contendere, l’argomento di una guerra che cova sottotraccia. Trent’anni prima che Conte usasse Palazzo Chigi per reclutare i responsabili, a Ciriaco De Mita era venuto in mente di blindarsi da presidente del Consiglio tentando la scalata alla guida della Dc. Andreotti spedì Paolo Cirino Pomicino in missione. E ‘o ministro , che non aveva fama di ricercatore di eufemismi, la mise giù piatta: «Ciriaco, quello che tu monti a colazione, io te lo smonto a cena».
Negli anni a venire, quelli della Seconda Repubblica, il re assoluto del vertici notturni e diurni sarebbe diventato Franco Marini, alla cui scuola è cresciuto anche Dario Franceschini. «Non sentooooo!», urlava Marini in piena notte, trasformando il suo essere leggermente ipoudente in una sordità strategica, che usava a suo vantaggio quando gli altri erano già sfiniti sui fogli pieni di nomi, che fossero liste di candidati o di ministri poco contava.
Una volta si vendicarono di lui togliendo in extremis a uno dei suoi fedelissimi, il sardo Salvatore Ladu, il ministero delle Politiche comunitarie del governo D’Alema bis. I compagni di corrente soccorsero il parlamentare mentre in macchina, di ritorno dal Quirinale alla Camera, proferiva minacce di suicidio dal finestrino. Certo, ci sono casi in cui anche una riunione segreta può aspettare.
Nelle fasi cruciali della nascita del partito Udr, Clemente Mastella ricevette una chiamata di Francesco Cossiga. Tono grave, atteggiamento di chi ha urgenza: «Clemente, corri a casa mia!». Fece anticamera per secondi che divennero minuti e minuti che divennero mezz’ore. Poi entrò nello studio del presidente emerito. Stava giocando alla Playstation.
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