ROBA DA "MAAT" – ANTONIO RIELLO IN TRASFERTA AL MUSEO DELL’ARTE, DELL’ARCHITETTURA E DELLA TECNOLOGIA DI LISBONA: “UN GIGANTESCO LABIRINTO-MONUMENTO INNALZATO ALLA PERENNE FAME DI ENERGIA DELL’ETÀ INDUSTRIALE. MA ANCHE UNO STRAORDINARIO RITRATTO ALL’INSTANCABILE INGEGNO UMANO” – LE INSTALLAZIONI DI JOANA VASCONCELOS: “LA PIÙ BELLA È ‘DRAG RACE’. UNA LUSSUOSISSIMA PORSCHE 911 TARGA DECAPPOTTABILE LA CUI CARROZZERIA È IMPREZIOSITA DA INSERTI IN LEGNO FINEMENTE DORATO E DA RIGOGLIOSE PIUME DI STRUZZO ROSSO AMARANTO…”

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Antonio Riello per Dagospia

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A Lisbona, lungo la riva settentrionale del Rio Tejo, non lontano dalla torre di Belem, si vede una costruzione industriale in mattoni che un po’ assomiglia alla Tate Modern di Londra (è infatti una vecchia centrale elettrica a carbone che risale ai primi del ‘900).

 

Accanto c’è una smagliante e nuovissima struttura architettonica tutta bianca che, da lontano, sembra una elegante astronave. La congiunzione tra passato e futuro difficilmente potrebbe essere risolta in modo più convincente e brillante. Infatti i due edifici ad un certo punto si fondono assieme e costituiscono il MAAT (Museo dell’Arte, dell’Architettura e della Tecnologia) inaugurato nel 2016. Attualmente il direttore è Joao Pinharanda. Il progetto, nel suo insieme, è opera dello studio di Architettura di Amanda Levete che ha la sua sede a Londra.

 

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La ex-centrale contiene degli spazi dedicati al contemporaneo, ma soprattutto è dedicata alle tematiche energetico-ambientali, affrontate con un approccio decisamente poco ideologico ed invece (per fortuna) molto scientifico. La parte più affascinante sta nella visita che si snoda dei grandi locali tecnici che contengono il complesso macchinario di caldaie e generatori (e mille altri aggeggi).

 

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Tutto conservato esattamente come se fosse ancora in piena funzione. Un bel caso di “Archeologia Industriale”. Stupisce non poco l’incredibile coordinamento organizzativo che comportava una centrale di questo tipo (e naturalmente anche la impressionante dedizione di chi ci doveva lavorare).

 

Siamo di fronte a un gigantesco labirinto-monumento in ferro e acciaio innalzato alla perenne fame di energia dell’Età Industriale. Ma è anche uno straordinario ritratto all’instancabile ingegno umano, soprattutto in quella fase della Storia dell’Occidente che Kenneth Clark definisce come “Materialismo Eroico” (dai primi dell’800 fino alla fine della Prima Guerra Mondiale).

 

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Robuste, affidabili, ingombranti, tangibili certezze che, in questo presente fatto di furbe intelligenze artificiali e vaghi ambienti virtuali, finiscono a volte perfino per mancarci. Le atmosfere, in poche parole, sono molto simili a quelle che si possono apprezzare alla Centrale Montemartini di Roma.

 

La parte nuova, davvero spettacolare, è corredata da un buon ristorante con vista mozzafiato. Al proprio interno, in questo momento, ospita la mostra “O Castelo Surrealista” che racconta le gesta del più significativo artista surrealista portoghese, Mario Cesariny (1923-2006). In pratica è stato Cesariny ad importare in Portogallo, un certo tipo di Avanguarda francese.

 

Lo spettatore è di fronte a una Wunderkammer di scritti e opere d’arte che vedono coinvolto anche il padre nobile del movimento, André Breton. Oggetti, quadri, sculture, quaderni, documenti, lettere: una miniera-archivio quasi infinita di materiale molto ben esposto.

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Il salone centrale della struttura è invece dedicato a Joana Vasconcelos (1971). E’ l’artista portoghese oggi probabilmente più apprezzata. Coinvolge nelle sue creazioni manodopera e artigianato locale e in particolare comunità di anziani tagliati fuori dai cicli produttivi. In questo senso considera le sue opere come dei progetti di carattere collettivo o comunque definite da una loro natura “sociale”.

 

Si comincia con una installazione, “Valkyrie Octopus” (2015). Un polipo davvero gigante (asimmetrico e con uno sviluppo spaziale imprevedibile) fatto tutto di stoffa, pizzi, specchi, paillette e ricami. Una divinità femminile pagana? A qualcuno potrebbe rammentare una versione ingrandita e “morbida” delle sculture di Niki de Saint Phalle (1930-2002) oppure una scena di Alice nel Paese delle Meraviglie.

 

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In realtà è lo spazio vuoto che si trova tra i tentacoli del polipo il vero centro di interesse, una “piazzetta” dove il visitatore trova e incontra gli altri e magari si fa anche un selfie. Per esplorare questo spazio ci vogliono parecchi minuti, spesi tutti in una atmosfera quasi incantata.  

 

Proseguendo ci sono altre installazioni della Vasconcelos. Una meglio dell’altra e tutte, in qualche maniera, legate ai veicoli su ruote.

 

“Strangers in the night” e’ del 2000. L’omonima canzone di Frank Sinatra fa da colonna sonora ad uno strano intrigante oggetto: un raffinato divano per una persona posto in una specie di scatola/gabbia metallica rivestita di luci e fanalini di automobile accesi che lampeggiano ininterrottamente.

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La straziante tristezza della solitudine individuale nella società contemporanea diventa qui una faccenda quasi epica. Ricorda la disperazione gaia di certe atmosfere urbane create del grande artista americano Richard Kienholz (1922-2010). Ma potrebbe anche essere (chi lo sa?) solo il ricordo di un amore fugace e perduto. Comunque non ci si stanca di guardarlo e di ascoltarlo (e ri-ascoltarlo).

 

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“War Games” (2011) appare come un’auto (una Morris Oxford VI) il cui interno illuminato è pieno zeppo di peluche e bambolotti di varie dimensioni (vien da pensare pensare alle atmosfere suscitate da Charlemagne Palestine). All’esterno dell’auto ci sono una serie di fucili giocattolo accoppiati a delle lucine sgargianti (genere Luna Park). La fuga? La gioia? La paura? La salvezza? La vertigine? Difficile dire quale è la sensazione dominante. Di sicuro un’opera emotivamente molto forte e destabilizzante.

 

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La più bella (straordinariamente bella!) ma anche la più “facile” è “Drag Race” del 2023. Una lussuosissima Porsche 911 Targa decappottabile la cui carrozzeria è impreziosita da inserti in legno finemente dorato (piccoli capolavori di ebanisteria, si coglie tra le righe qualcosa dei lavori di Wim Delvoy) e da rigogliose piume di struzzo di colore rosso amaranto. E’ l’installazione più fotografata: semplicemente irresistibile.

 

Come direbbe una persona non avvezza al lessico dell’Arte? “una vera figata”. Sembra quasi una versione ridotta del Bucintoro del Doge di Venezia montata su quattro ruote. Forse però, se paragonata alle altre opere, in fondo meno capace di evocare complesse vibrazioni.

 

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All’esterno degli edifici altre due opere imponenti della stessa artista. Un bellissimo anello monumentale fatto di cerchioni (dorati) e di fari d’auto si staglia contro il cielo di Lisbona con un impatto visivo davvero notevole. E una sua enorme maschera fatta di specchi barocchi e specchietti retrovisori di automobile e’ appoggiata sulla riva. Questo lavoro forse meno interessante e misterioso del resto: a dire il vero fa un po’ Carnevale di Venezia.

 

La realizzazione del MAAT è stata generosamente finanziata anche da fondi europei. Per nostra consolazione possiamo comunque affermare che, almeno stavolta, sono stati spesi bene.

 

MAAT (Museo Arte Architettura Tecnologia)

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Av. Brasília, 1300-598  Lisbona

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