1 - CINA SI SGONFIA IL CALCIO IN EUROPA IN FUGA DOPO CINQUE MILIARDI INVESTITI
Luca Pagni per “Affari & Finanza - la Repubblica”
Due miliardi di euro investiti in poco meno di tre anni, soltanto per comprare il controllo o partecipazioni di minoranza in squadre di calcio in tutta Europa. Altri 3 miliardi investiti in società che si occupano di diritti televisivi e consulenze sportive. Per non parlare delle faraoniche campagna acquisti per convincere i giocatori delle principali leghe affiliate all'Uefa a trasferirsi per giocare in Asia.
Dopo tre anni passati a gonfiare a dismisura valutazioni di società e prezzi del cartellino dei top player, la bolla degli investimenti cinesi nel calcio è scoppiata. Operazioni fallite come l' ingresso nel Milan, acquisizioni caricate di troppi debiti. Ora Pechino prepara la rivincita: d' ora in poi solo investimento redditizi oppure se utili a far crescere il calcio in patria.
SQUADRA DI CALCIO IN EUROPA CON PROPRIETA CINESE
L'operazione che ha portato la cordata guidata dal misterioso uomo d' affari Yonghong Li a rilevare il Milan dalla Fininvest di Silvio Berlusconi, a metà 2107, è emblematica di quanto accaduto nel mondo del pallone in Europa negli ultimi 3-4 anni, dove gli addetti ai lavori si erano convinti di aver trovato negli investitori cinesi un nuovo filone d' oro. Mister Li, cinese con passaporto di Hong Kong, ha accettato di pagare per il club rossonero una cifra - a detta degli analisti - fuori mercato: 740 milioni.
Troppi i debiti complessivi e di natura incerta: in pratica, una operazione tutta a leva, con un prestito finale da 300 milioni, sottoscritto con il fondo Elliott, a un tasso medio attorno al 10%. E ora la procura di Milano - su segnalazione di Bankitalia - sta indagando per capire la provenienza dei fondi utilizzati da mister Li, provenienti da banche off shore.
L'ingresso di un imprenditore cinese nel Milan è stata l'ultima grande operazione che ha attraversato il mondo del pallone europeo a partire dal 2015, già coinvolto in una trasformazione epocale, dove sono sempre più numerose le proprietà straniere e i fondi di investimento che diventano proprietari dei club.
Secondo un rapporto Uefa dell' anno scorso, soltanto nel 2016 ci sono stati 10 passaggi di proprietà nelle principali leghe professionistiche del Vecchio Continente e di questi 8 hanno visti protagonisti capitali cinesi. In un report citato dal Financial Times, si legge che imprenditori cinesi a vario titolo hanno investito tra il 2014 e il 2017 oltre 2 miliardi di euro per acquisire quote di controllo o di minoranza di 20 squadre europee, più altri 3 per le media company. Interamente sotto il controllo cinese sono passate il Milan, l'Inter ma anche il Parma in Italia, il West Bromwich Albion nella Premier League inglese, il Socheaux in Francia, Espanyol e Grenada in Spagna.
L'ESEMPIO DI XI JINPING
Poi ci sono gli investimenti in quote di minoranza che sono meno comprensibili se non si capisce il contesto in cui è nato lo sbarco in massa in Europa. Tutto ha origine dalle velleità di Xi Jinping, il presidente cinese: grande appassionato di calcio, ha varato a partire dal 2013 un piano di lungo periodo per trasformare la Cina in una grande potenza del pallone, mettendo a disposizione 800 miliardi al 2025, incrementando le scuole calcio (ne vuole almeno 50mila in tutto il paese), per puntare all'organizzazione dei Mondiali e utilizzare il football (lo sport più diffuso e seguito televisivamente nel mondo) come veicolo per aumentare l'influenza e l'autorevolezza sullo scenario globale.
Oltre all'impegno economico in favore del movimento giovanile, il governo cinese ha approvato una politica fiscale favorevole all'ingaggio di grandi campioni, mentre all'estero ha dato una sorta di via libera per investimenti in grandi stile in Europa. Con l'obiettivo di mettere le mani, attraverso l' acquisizione di club e società specializzate nei media, a quelle competenze di cui la Cina non dispone. Nonostante la passione crescente verso lo sport, e il calcio in particolare, i cinesi non hanno una grande cultura "agonistica": per capirci, allo stadio esultano per ogni gol, anche quando segna la squadra avversaria per cui tifano.
Via libera dal governo In una società complessa e dove spesso i segnali politici vanno interpretati, il via libera del governo è stato preso alla lettera. Come una disponibilità a investire senza badare a spese e senza limiti all'indebitamento. Anzi, i grandi gruppi finanziari e industriali sono stati incoraggiati a farlo.
Anche perché lo stesso Xi è sceso in campo per dare l' esempio: quando il gruppo guidato dal magnate Li Ruigang, a capo di China Media Capital, una delle media company più grandi del paese, ha rilevato il 13% del Manchester City, Xi è volato in Inghilterra per farsi fotografare al momento della firma e mentre palleggia sul campo del club di proprietà degli sceicchi di Abu Dhabi.
A dimostrazione di come la Cina intenda il calcio anche da usare sullo scacchiere geopolitico. Peccato che nel giro di meno di tre anni la "bolla" sia scoppiata. Ci sono stati fallimenti come quello del Milan, con il fondo Elliott intervenuto a rilevare il club rossonero quando è diventato palese che la proprietà cinese non era in grado di sostenere le spese di un club di punta della Serie A.
Ma, in contemporanea, è iniziata la fase del rientro dei capitali. È il caso del gruppo Wanda, che per coprire una parte dei debiti accumulati, ha ceduto il suo 20% dell'Atletico Madrid e grazie ai successi del club spagnolo (fresco vincitore della Supercoppa Uefa sui rivale Real) è uscito dal suo investimento persino con un piccolo guadagno (attorno ai 5 milioni di euro). Ma il gruppo Wanda, di proprietà di Wang Jinlin, il secondo uomo più ricco della Cina, ci porta all'altro ambito sportivo che catalizza gli investimenti di Pechino: il mercato dei diritti televisivi e gestione eventi sportivi.
Per poco più di un miliardo di euro, nel 2015 Delian Wanda Goup ha rilevato Infront, il colosso che ha in mano - tra gli altri - la gestione dei diritti delle nazionali di calcio di Italia e Germania. È guidato da Philippe Blatter, nipote di quel Joseph Blatter che per 17 anni è stato il padre padrone della Fifa. Un investimento ingente: soltanto cinque anni prima, il fondo di investimento Bridgestone lo aveva rilevato per 550 milioni. In seguito all'eccessivo indebitamente per questo e altri investimenti, Wanda ha varato un piano di cessioni anche per rispondere all' ultimatum di Fitch che minaccia il downgrade se non rimborserà prestiti per 2,1 miliardi entro fine 2018.
INVESTIMENTI A LEVA
Investimento a leva è stato anche quello del fondo Orient Hontai Capital che - nella primavera scorsa - ha acquisito il 53,5% di Imagina Media Audiovisual, di cui fa parte anche Mediapro, il gruppo spagnolo al centro delle cronache calcistiche per aver presentato offerte per i diritti tv della Serie A, ma anche della Liga spagnola, della Ligue 1 francese e della Champions League per il solo mercato iberico), per un totale di 23 miliardi da corrispondere in 6 anni.
Ma la Serie A ha bocciato l'offerta per il timore dei debito sulle spalle del gruppo, avendo Moody's giudicato l'acquisizione da parte di Orient Hontai Capital "speculativa e a rischio insolvenza". E in Spagna Mediapro si è dovuta accordare con Telefonica cui ha ceduto una parte dei diritti della Champions.
Ancora peggio è andata a Beofeng Technology e Everbright Securities che a metà 2016 hanno rilevato per 940 milioni MP&Silva, il gruppo fondato a Singapore dall'italiano Riccardo Silva che fino all' anno scorso aveva i diritti della Serie A per l' estero e del Conmebol, l' equivalente della Uefa sudamericana. Ma ora la situazione è critica la società ha aperto una serie di contenziosi sia con la Lega di Seria A sia con la Premier League per una serie di pagamenti non effettuati sui diritti tv e si andrà per le vie legali.
Una serie di rovesci, a cui si devono aggiungere le spese "folli" per ingaggiare calciatori in patria mal digeriti dal governo: tutti ciò ha portato Xi a cambiare la politica calcistica.
Basta con le spese indiscriminate e a leva: d' ora in poi, solo acquisizioni con un piano industriale che possa portare utili e che siano in qualche modo funzionali allo sviluppo della Cina come potenza calcistica mondiale.
Oltre a selezionare, con gli stessi criteri, gli investimenti degli ultimi anni per chiudere i conti con il passato: le cessioni e i ridimensionamenti degli ultimi mesi sono solo l' inizio.
Chiariamoci: le spese per lo sport non si fermeranno di certo: il settore pesa per lo 0,7% del Pil cinese, mentre nelle economie occidentali avanzate è tra il 2 e il 3%.
2 - "SBAGLIATI MANAGER E STRATEGIE MA ORA PECHINO RIPARTIRÀ PER ESSERE LEADER MONDIALE"
Luca Pagni per “Affari & Finanza - la Repubblica”
Professor Giuliano Noci, cosa è cambiato nel rapporto tra la Cina e il calcio in Europa: prima hanno comprato club, calciatori e società di diritti tv senza badare al prezzo. Poi gli investimenti sono crollati e sono emersi problemi finanziari. Cosa non ha funzionato?
«L'Europa è il continente in cui la Cina ha investito di più, sia nell'industria che nei servizi. Compreso intrattenimento e calcio: tra il 2015 e il 2017 si calcola che abbiano speso almeno 2 miliardi di euro. E sempre nel 2015, appena prima della visita del premier Xi Jinping in Europa, è stato varato un piano del governo per fare della Cina una delle potenze mondiali del calcio con l'obbiettivo futuro di vincere la Coppa del Mondo.
Nella società cinese così eterodiretta, questo è stato visto come una sorta di via libera alla società per comprare club e calciatori. Quando le cifre spese sono diventate eccessive, come nel caso del Milan, sempre che i capitali fossero di Yonghohng Li, e si è cominciato a spendere più per i calciatori della serie A cinese che per investimenti con una logica industriale, il governo è intervenuto».
"No, qualcosa di simile è accaduto anche in altri settori. Il governo ha dato la linea su tutti gli investimenti all' estero. Il calcio rientra negli investimenti consentiti ma a determinate condizioni. Gli investimenti continueranno in Europa ma saranno più selettivi e verranno approvati solo quelli che hanno prospettive industriali e che abbiano anche ricadute positive per la Cina».
Quindi la Cina vuole sempre diventare una potenza del calcio mondiale?
«Assolutamente si. Questo nel simbolismo cinese è fondamentale: ora la Cina non guarda più al suo interno, ma guarda fuori, basti pensare alla nuova Via della seta. Gli investimenti nello sport hanno un grande potenziale simbolico, soltanto li faranno a diverse condizioni. Gli investimenti saranno impressionanti: l'industria sportiva cinese passerà, in 25-30 anni, dagli attuali 270 a 800 miliardi di dollari, di cui il calcio sarà solo una parte».
I cinesi hanno considerato "immorale" aver speso così tanto per i calciatori. Ma non hanno altrettanto remore a comprarsi le risorse di mezza Africa. Qual è la differenza?
«Nella mentalità della società cinese, gli investimenti in Africa sono destinati alla crescita del sistema economico nonché a beneficio della collettività: per il cinese lo Stato è il padre che provvede al benessere sociale. Inoltre, trovano giustificazione nell'orgoglio nazionalistico cinese, esattamente come avviene per la nuova Via della seta, mentre le spese folli per un giocatore non hanno lo stesso impatto e viene alla fine considerata una spesa fine a se stessa, se non inutile».
Gli investimenti nelle società di diritti tv e consulenza sportiva si sono rivelato un mezzo fallimento. Come mai?
«Per i cinesi, gli investimenti industriali in Europa, che finanziariamente sono poco complessi, lo sono molto dal punto di vista manageriale. Anche i cinesi più evoluti hanno notevoli difficoltà a capire l'Europa, non riescono a immaginare un posto così piccolo con regole così diverse da paese a paese. Per non parlare delle diverse culture sportive e di un settore complicato come il calcio. Hanno fatto investimenti a leva e non hanno fatto grandi scelte nella gestione manageriale. Questi due fattori combinati hanno portato a risultati negativi, dimostrando che non basta avere i soldi».
I grandi club europei speravano di guadagnare grandi cifre con l'espansione commerciale in Cina, Finora così non è stato. Dove hanno sbagliato?
«Sono mancate le competenze giuste. il Potenziale del mercato cinese e asiatico è superiore a quello europeo. Ma occorre avere sia la competenza per gestire in modo verticale un simile potenziale sia avere manager che sappiano gestire la industry sportiva (e in Italia non ci è arrivato nessuno, nemmeno la Juventus). Ma saper gestire un grande club non basta, bisogna anche conoscere il mercato della grande distribuzione asiatica. Sono competenze che non si formano in poco tempo, da qui la necessità di avere un piano di crescita di lungo periodo, di almeno 5-10 anni. Si deve creare un legame emotivo importante con i giovani cinesi, per esempio attraverso le scuole calcio. E soltanto dopo farli diventare il volano per una distribuzione commerciale di massa. Ci si arriverà ma mi aspetto che ci voglia ancora del tempo».