NON DI SOLO VIRUS MUORE L’UOMO – CON GLI OSPEDALI PIENI PER I MALATI COVID, SI RINVIANO GLI INTERVENTI E LE PERSONE MUOIONO DI PIÙ PER TUMORI, ICTUS E INFARTI – SETTANTAMILA ITALIANI HANNO VISTO SLITTARE UN’OPERAZIONE E GLI ONCOLOGI LANCIANO L’ALLARME: “ESISTE IL RISCHIO CHE NEGLI CI SI RITROVI ANCORA DI FRONTE A UNA COMPETIZIONE TRA PAZIENTI”
Fabio Di Todaro per www.lastampa.it
coronavirus ospedale di varese
Un drastico taglio, ma non con il bisturi. Piuttosto, al bisturi. Chi ha dovuto frequentare gli ospedali per curare un tumore nel corso della prima ondata di Covid-19 sa quanto sia stato difficile evitare che la pandemia avesse un riflesso sulla propria malattia.
L’emergenza infettiva ha infatti determinato «un'importante riduzione in quasi tutti gli ambiti della chirurgia oncologica», è il responso di un’indagine presentata nel corso del congresso della Società Italiana di Chirurgia Oncologica (Sico) presieduta dal capo dell’oncologia dei sarcomi dell’Istituto dei Tumori di Milano, Alessandro Gronchi. Capitolo chiuso? Macché.
Proprio nella fase in cui gli specialisti si erano ripromessi di smaltire gli arretrati entro la fine dell’anno, il Covid-19 ha rialzato la testa. I calendari degli interventi di chirurgia oncologica, per il momento, non sono stati toccati. Ma quanto accaduto tra marzo e aprile va tenuto in considerazione, per non reiterare gli errori.
«Il rischio che negli ospedali ci si ritrovi ancora di fronte a una competizione tra pazienti esiste», afferma Ugo Boggi, a capo dell’unità operativa complessa di chirurgia generale e dei trapianti dell’azienda ospedaliero-universitaria di Pisa.
Tumori: meno interventi a causa del Covid-19
I chirurghi oncologi italiani hanno fotografato l’impatto della pandemia sugli interventi che vengono effettuati per la rimozione di un tumore. Partendo dall'assunto che ogni anno in Italia quasi 300mila pazienti vengono operati per asportare una forma di cancro, non si è probabilmente lontani dal dato complessivo se si ipotizza che (almeno) settantamila italiani abbiano dovuto fare i conti con lo slittamento di un intervento chirurgico.
O, nella migliore delle ipotesi, con l’indicazione a recarsi in un centro più vicino al proprio domicilio. E - possibilmente - esposto a un più basso rischio infettivo. Finora, però, non c’erano dati ufficiali. Da qui la rilevanza dell’indagine voluta dalla Sico per verificare quanto accaduto nei centri che effettuano il maggior numero di procedure di chirurgia oncologica.
Gli esperti hanno individuato i 29 ospedali con la maggiore esperienza nel trattamento chirurgico dei tumori (59.6 per cento nel Nord Italia, 20.7 per cento sia nelle Regioni del Centro sia del Sud del Paese) per poi procedere alla raccolta delle informazioni suddivise per tipologia di cancro trattato (tiroide, melanoma, sarcomi, esofago, stomaco, fegato, pancreas, colon-retto, seno).
In linea generale, «a risentire maggiormente della pandemia sono stati gli interventi che avrebbero portato al ricovero dei pazienti in terapia intensiva», ha spiegato Boggi, di fronte a una platea (virtuale) di quasi 200 colleghi. E dunque: la cura dei tumori del fegato, del pancreas, del peritoneo e dei sarcomi addominali.
Sanitari dedicati quasi solo al Covid-19
CORONAVIRUS - CAMICI PER GLI OSPEDALI
A causare una flessione degli interventi sono stati pure il calo degli accessi ai percorsi per la diagnosi e la riduzione della mobilità lungo lo Stivale, che ha determinato un sensibile calo delle prestazioni nelle strutture di eccellenza: molte delle quali localizzate nelle aree più colpite dalla pandemia.
Ma è sull’aspetto dell’organizzazione interna che occorre lavorare in questa fase, per evitare spiacevoli ricadute. Oltre alla riduzione dei posti in terapia intensiva, la pandemia ha determinato il dirottamento degli anestesisti e degli infermieri verso i pazienti più gravi colpiti da Covid-19. Una scelta obbligata, che però «ha portato a vedere prevalere i diritti degli uni su quelli degli altri», riconosce Boggi, docente di chirurgia generale a Pisa e a Pittsburgh.
le foto di medici e infermieri che lottano con il coronavirus 1
Un limite che rischia di tornare a galla nelle prossime settimane, se i contagi e i ricoveri non dovessero calare. «I dati ci dicono che l’attività negli istituti oncologici è calata meno che nelle altre strutture. Più in affanno invece sono andati gli ospedali generalisti». È dunque soprattutto in questi luoghi di cura - ospedali e policlinici - che le risorse sanitarie da destinare ai pazienti sono entrate in competizione. Per evitare di ritrovarsi ancora una volta di fronte al dilemma su chi trattare prima, «negli ospedali vanno creati dei centri tumori funzionali e incrementati i posti di terapia subintensiva e intensiva». Diversamente, il prezzo da pagare a causa della pandemia sarà destinato a crescere ulteriormente.