IBRA HA FATTO INCAZZARE ANCHE LEBRON JAMES – L’ATTACCANTE DEL MILAN IN UN’INTERVISTA HA PARLATO DEL CESTISTA: “È FENOMENALE, MA NON MI PIACE QUANDO LE PERSONE CHE HANNO UNA SORTA DI STATUS FANNO POLITICA” – RISPOSTA DELLA STAR DELL’NBA: “DIVERTENTE CHE QUESTE PAROLE VENGANO DA LUI, PERCHÉ NEL 2018 IN SVEZIA HA FATTO LE STESSE COSE. NON ERA STATO LUI, QUANDO ERA TORNATO IN SVEZIA, A DIRE CHE SENTIVA UN CERTO TIPO DI RAZZISMO IN CAMPO SOLO PERCHÉ IL SUO COGNOME ERA DIVERSO DA QUELLO DEGLI ALTRI? ERA LUI, GIUSTO?”
LeBron James contro Zlatan Ibrahimovic. Argomento della polemica fra le due stelle che fra il marzo 2018 e il novembre 2019 hanno anche condiviso il cielo sportivo di Los Angeles (uno coi Lakers nel basket, l’altro coi Galaxy nel calcio): l’impegno politico e sociale.
L’attaccante del Milan in una recente intervista per la Uefa a Discovery + in Svezia aveva infatti detto: «LeBron è fenomenale in quello che sta facendo, ma non mi piace quando le persone che hanno una sorta di status fanno politica». Nella notte di venerdì 26 febbraio, dopo la vittoria su Portland, la stella dei Los Angeles Lakers ha risposto chiaro e tondo a Ibra: «Sono il tipo sbagliato da criticare». E ha argomentato così.
«Anche Ibra ha fatto politica»
«Divertente che queste parole vengano da lui, perché nel 2018 in Svezia ha fatto le stesse cose», ha spiegato LeBron, chiaramente documentatosi sulla biografia di Zlatan, per poi continuare: «Non era stato lui, quando era tornato in Svezia, a dire che sentiva un certo tipo di razzismo in campo solo perché il suo cognome era diverso da quello degli altri? Era lui, giusto?».
Il riferimento è al 2018 quando Ibra aveva accusato la stampa svedese di non risparmiargli critiche piene di pregiudizi: «È razzismo sistematico, non diretto ma sistematico — aveva detto allora l’attaccante del Milan —. Se possono scegliere tra difendermi e attaccarmi, scelgono di attaccarmi. Lo fanno perché mi chiamo Ibrahimovic e non Andersson o Svensson. Se mi chiamassi Andersson o Svensson, credetemi, mi difenderebbero a prescindere, anche se rapinassi una banca. Mi difenderebbero e basta, perché quello che ho fatto io non l’ha mai fatto nessuno».
Responsabilità
Ora che Zlatan dice alla tv svedese cose come «Non faccio politica ... Questo è il primo errore che le persone fanno quando diventano famose. Stanne fuori. Fai solo quello che sai fare meglio», LeBron rilancia, attaccando la teoria zlataniana del “disimpegno”: «Sono la persona sbagliata da criticare perché parla di politica senza saperne niente. Io mi preparo prima di parlare, i miei commenti arrivano da una mente molto educata». E aggiunge: «Non c’è modo che io stia zitto, che mi limiti allo sport: capisco quanto sia potente la mia voce e quanto io possa aiutare a combattere le ingiustizie, quelle che vedo nella mia comunità. Ho i 300 ragazzi della mia scuola di Akron a cui pensare, che vedono ingiustizie ogni giorno. Hanno bisogno di una voce, e io voglio essere la loro voce».
Cambiare le cose
LeBron, che spesso si è definito «More than an athlete», più che un atleta, cita anche Renee Montgomery, l’ex stella Wnba da ieri una dei tre proprietari delle Atlanta Dream. La squadra era di proprietà di una candidata repubblicana per il Senato Usa che aveva criticato le giocatrici per il loro impegno sociale. Le giocatrici da quel momento hanno abbracciato e sponsorizzato il candidato avversario: era nettamente indietro nei sondaggi quando l’hanno fatto, ha finito per vincere le elezioni. «Chiedete a lei cosa sarebbe successo se fossi stato zitto», ha concluso LeBron.
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