L’ALTRA METÀ DEL MURO ADESSO È ROSA – SEMPRE PIÙ DONNE SFONDANO NEL MONDO DEI GRAFFITI – DALLA COLOMBIA ALLA REPUBBLICA CECA, PASSANDO PER ITALIA E REGNO UNITO, LA BOMBOLETTA È FEMMINA – A LONDRA, IL MESE PROSSIMO, IL LORO FESTIVAL
1.”L’ALTRA METÀ DEL MURO ADESSO È ROSA”
Fabio Sindici per “la Stampa”
Nelle strade di Medellin le ragazze con la bomboletta, i secchielli di colore in mano e la mascherina sul viso, sembra che dipingano a ritmo di musica. Ognuna il suo tratto di muro. La musica viene dalle tante scuole di hip-hop, spuntate come fiori tropicali nei barrios della «città della primavera eterna», l’ex capitale mondiale del narcotraffico. Le vie tortuose, che sono state lo scenario di selvagge guerre tra bande, abbagliano per i murales: giungle fluorescenti e ammiccanti fanciulle pirata, ma pure cadaveri insanguinati e cumuli di teschi, a ricordare gli anni in cui la città colombiana era considerata la più pericolosa del mondo.
Le chicas della libertà
Ora le battaglie urbane hanno altre regole, altre armi: aerosol, collage murali, provocazione e fantasia. L’arte di strada a Medellin è libera, quasi in tutti i quartieri. E le chicas dei graffiti sono le protagoniste di questa trasformazione – più numerose, più inventive e ammirate degli artisti maschi. Il graffito è libero anche a Wynwood, quartiere di Miami un tempo degradato, una delle aree metropolitane più disegnate del globo. E anche qui le donne hanno conquistato la scena.
«La street art non è più un club esclusivamente maschile» dice il critico d’arte Jeffrey Deitch, che di recente ha invitato una squadra di artiste a dipingere i celebri Wynwood walls, per la mostra en plein airWomen on the walls. «C’è un approccio femminile ai graffiti molto vario, e insieme specifico; solo che finora non era stato messo a fuoco» ragiona Deitch.
Certo, gli uomini sono ancora la stragrande maggioranza a praticare quest’arte semi-clandestina, fatta di virtuosismi con lo spray e arrampicate atletiche sulle facciate dei palazzi, come di fughe rompicollo dalla polizia. Ma le ragazze sono uscite dal cono d’ombra; e dalla tutela delle crew dominate dai maschi. «L’altra metà del muro» ha conquistato i riflettori.
Come a Londra, dove il 7 e l’8 marzo, a Leake street, dietro la stazione di Waterloo, si terrà Femme Fierce, un festival di graffiti e arte urbana tutto al femminile, giunto alla sua seconda edizione. Sempre in Inghilterra, il quotidiano The Guardian ha indicato una donna come erede di Bansky, il divo dei graffiti. Anche di lei si conosce solo la firma sull’intonaco: Bambi. Anche lei usa gli stencil, come il suo maestro. Solo che ama raffigurare celebrità, da Madonna alla regina Elisabetta, con didascalie di critica politica e sociale. Graffi anche quelli.
Dal velo al tacco a spillo
Colpisce, nel mondo dei graffiti al femminile, la varietà di tecniche e tematiche. Dalle masquerades di signore vagamente fatali che accendono le pareti firmate dalla francese Miss Van, una delle prime artiste di graffiti ad affermarsi, alle ragazze toste in velo, tacchi a spillo e spray anti-aggressione che Mirah Shidadeh ha impresso sulle strade del Cairo.
Dai muri di fiori della parigina Fafi – regista e graphic artist oltre che graffitista – alla norvegese Zina che quando «spruzza» i suoi ritratti in blu, come a Leake street, lo fa sempre seguendo la traccia di un pezzo musicale. Alcuni graffiti, come quelli di Lady Pink, hanno perforato da tempo il soffitto di cristallo del mondo dell’arte e sono ora nelle collezioni del Metropolitan e del Whitney Museum a New York. Altri rimangono elusivi.
Come quelli che un’anonima artista di Singapore, ribattezzata «Sticker Lady», aveva disseminato tre anni fa in diversi angoli della città-stato asiatica ossessionata dall’ordine e del decoro. Rischiando fino a tre anni di prigione. «Quando ho iniziato, i poliziotti erano tolleranti con le ragazze.
Oggi non fanno sconti, «non importa di che sesso sei» racconta Lady Pink. Non è stato facile farsi rispettare per Sany, graffiti bomber a Praga e autrice di un documentario, Girl Power, che segue le vite e le opere delle artiste di strada lungo i muri di quattro continenti.
L’uscita del film è prevista per la fine del 2015. Intanto, un blogumentary in rete, racconta i giorni e le notti delle graffitare di Los Angeles (LA Graffiti Girls). E lancia accuse: i veri vandali sono i vigilantes che coprono di vernice i graffiti, sporcando senza arte né permessi. Il senso della sfida non manca alle ragazze.
Come Jilly Ballistic, che a New York inserisce donne soldato e icone del movimento femminista nei cartelloni pubblicitari delle gallerie della metropolitana. Come Shamsia Hassani, che è cresciuta dipingendo silhouette di donne in burka sui muri di Kabul dove sogna di aprire una scuola per graffitisti. Saranno ancora una minoranza, ma di sicuro quello dei graffiti non è più un mondo solo per uomini.
2. ALICE: “NON SOLO MURALES ILLEGALI”
Da “la Stampa”
Nel curriculum Alice Pasquini, nome di battaglia AliCé, ha un master in critica d’arte all’Universidad Computense di Madrid e una denuncia per imbrattamento a Bologna. Il ritratto della più famosa street artist italiana è tra questi due estremi. Lontani solo in apparenza. Lei lo ammette: ha dipinto legalmente e illegalmente. Più di mille murales lasciati da Londra a Capoverde, dai quartieri degradati di New York alle facciate della Mosca post-sovietica.
La trentacinquenne romana veste i muri di ragazze sospese, colte nel morso di una mela e in abbracci appassionati come in un murale a Brest, in Bretagna. Nei suoi graffiti, donne forti, indipendenti. Come lei, che ha viaggiato tanto, firmando angoli nascosti di Saigon e di Giacarta. Fino alla parete dell’Ufficio dei rapporti con il cittadino del comune di Roma, dove ha realizzato una serie di lavori. Legali.
[F. S.]
3. SANY: “LA STREET ART È UNA BATTAGLIA”
Da “la Stampa”
Gli inizi come artista di strada non sono stati facili per Sany.«I writer maschi ricoprivano i miei lavori di scritte poco simpatiche, tipo: “torna in cucina”», ricorda. Il mondo dei graffiti era molto competitivo per una ragazzina nella Praga ex-comunista del 2000. Lei non si è scoraggiata: «Ascoltavo hip hop, ballavo la break dance. E continuavo a dipingere muri».
Oggi si è fatta accettare, ma è l’unica graffitista nella Repubblica Ceca.
Nel 2008, all’università, pensò a un progetto per sostenere le ragazze nella Street Art. Così è nato Girl Power, un documentario che rintraccia i graffiti al femminile in sei anni di pellegrinaggi dall’Europa all’America, dal Sudafrica all’Australia. La prima parte racconta le vite delle artiste, i luoghi dei graffiti. La seconda è una soggettiva sul making del film con le avventure sulla strada. «La street art è così: devi correre, combattere».
[F. S.]
4. LADY PINK: “È PIÙ BELLO SE NON TI PAGANO”
Da “la Stampa”
I graffiti non sono fatti per le persone tenere, ha dichiarato in un’intervista Sandra Fabara, più conosciuta come Lady Pink, veterana e star della Street Art. Eppure lei ha cominciato a scrivere il suo pseudonimo sui muri proprio per dimenticare un amore da adolescente.
Era il 1979, aveva 15 anni, la writer ecuadoregna che ha avuto come scuola d’arte le strade del Queens, a New York. Anche il nome ha un’origine romantica: viene dalla sua passione per l’epoca vittoriana. Invece i suoi murales sono di un pop strabordante. Un’energia che le ha guadagnato il rispetto delle crew maschili.
È stata protagonista di film comeWild Style, ha collaborato con protagoniste dell’establishment artistico quali Jenny Holzer, è contesa da gallerie e musei. Negli Anni ’90 è tornata a dipingere in strada, dopo un periodo di pittura in studio. «Non c’è appagamento nel dipingere solo per profitto».
[F. S.]