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‘’L’OPERA D’ARTE È UN VIAGGIO NEL NULLA E RITORNO’’ – LA POETICA LECTIO MAGISTRALIS DI ANSELM KIEFER ALL’UNIVERSITÀ DI TORINO: “POTETE SEMPRE FIDARVI DEI VOSTRI OCCHI?”
Estratto della lectio magistralis di Anselm Kiefer all’Università di Torino pubblicato da “la Stampa” (Traduzione di Carla Reschia)
Gli artisti sono dei franchi tiratori. Utilizzano i diversi risultati della scienza, cercano di creare un nuovo contesto imparando ogni cosa. La mitologia li aiuta a dare attraverso l’immagine una spiegazione coerente e non partigiana del mondo, opere che sono costantemente reinterpretate nel corso del tempo, a seconda dell’epoca.
Ricordo qui Robert Fludd, il rosacroce, il massone, il matematico, il cabalista, il chimico, che riuscì a stabilire figurativamente il rapporto tra il microcosmo e il macrocosmo.
Penserete di certo ad Einstein, che per tutta la sua vita, ha cercato di fare la stessa cosa.
Ma è stato Robert Fludd a coniare la celebre, e poetica, frase: «Ogni fiore sulla terra corrisponde a una stella nel firmamento». Ecco come gli scritti di Fludd e altri cabalisti, ricercatori e poeti mi hanno aiutato a trovare la mia monade. La nascita di un quadro risponde a un processo complesso, durante il quale i miei stati d’animo sono in continua evoluzione.
In primo luogo, mi trovo in una condizione fisica in cui mi sembra essere bloccato nella materia stessa del dipinto, un tutt’uno con l’esistente. L’inizio è al buio, con un senso d’emergenza. Un palpito. Questo è indefinibile ma mi spinge ad agire. Entro dunque nella materia, nel colore, nella sabbia, nella creta, nella cecità del momento. Quello che entra in azione allora, vicinissimo a me, è «qualcosa» paradossalmente informe ma di grande precisione. Faccio a questo punto un passo indietro per distinguere ciò che è lì davanti a me, e che mi permetterà di continuare il lavoro.
Un faccia a faccia che mi porta al di fuori di me stesso, e nel quale mi posso affrontare. C’è il dipinto e io sono nel dipinto. Uno stato a cui fa subito seguito la delusione. Un terribile senso di vuoto. Una mancanza che non è comunque il risultato di ciò che potrei aver omesso di rivelare. Una mancanza che non può essere riempita da qualsiasi altra forma. E mi toccherà quindi continuare la ricerca facendo riferimento ad altri elementi altrettanto incerti, storici, figurativi o di qualsiasi altro tipo, come la poesia, la filosofia...
Ne parlano testi radicati in me, molto diversi ma parte della mia mitologia: l’ossimoro corneliano, Questo oscuro chiarore che cade dalle stelle; territoriale, con Quevedo, Vi porto tutte le Indie nelle mie mani; Osip Mandel’stam m’apre, Il rumore del tempo; Robert Fludd, La vita segreta delle piante; Saint-John Perse m’invita al Tempo circolare delle stelle, del mare e delle donne.
Paul Celan mi offre la Corona di settembre, Neri fiocchi o La sabbia delle urne...; ma soprattutto la poetessa assoluta Ingeborg Bachmann: Svegliate nell’accampamento tzigano, destate nella tenda del deserto, la sabbia ci scorre tra i capelli o anche, la Boemia giace nel mare ... e altri autori, Georges Bataille, Heidegger, Isaac Luria, Jules Michelet, Jean Genet, Rilke, Adalbert Stifter, Céline, Khlebnikov, Paul Valérie, per citarne alcuni. Come molti poeti, filosofi, pensatori, oratori di tutti i tempi, con il quale mantengo un contatto quotidiano, a cui rendo omaggio e che estendono lo spazio polifonico del mio lavoro. Il dipinto prende come soggetto il mondo, è il suo modo di materializzarsi.
Quando diventa oggetto, l’espongo all’aria aperta, al vento e alla pioggia. Mi rivolgo dunque alla natura, affinché mi aiuti a completarlo. Anche il linguaggio, le parole possono aiutarmi. Nulla può sfuggire all’arte. D’altronde non ho fede che nell’arte, perché senza di essa perdo terreno. Voglio dire un’arte forte che s’interroga per meglio superare i propri limiti.
Limiti da cui uscirà trasformata, carica di componenti in grado di rinnovarla. Questa è una realtà, la creazione di un’opera implica un rischio positivo che deve essere preso sul serio. Poi capita di sorprendersi nel constatare che in essa c’è qualcosa di molto diverso da quello che pensavamo di aver creato, notando anche, alla fine, che è molto lontana da noi.
Dipingere è un incessante avanti e indietro tra niente e qualcosa. Un processo che non è soggetto ad alcuna regola, ma che oscilla tra uno stato e l’altro, fino a che il dipinto lascia lo studio per viaggiare per il mondo e non può più pertanto essere rielaborato. Questo è un fatto, è molto difficile definire l’arte.
Spesso sfugge alla nostra comprensione, ma una cosa è certa: l’uomo che vi parla non può vivere senza arte. Parlo, per quello che mi riguarda, di una totale dipendenza. E anche se incarna la più grande delle illusioni, è ai miei occhi, nello stesso movimento, la libertà e la schiavitù. Quindi, la mia vita è dettata dall’arte. L’arte mi sostiene, ci sostiene, ci agita o ci calma, ci distrae e c’interroga.
Una fede incondizionata nell’arte, che può essere delusa, naturalmente, ma non abbandonata, mai. Perché, infatti, chi, a parte l’artista, può produrre un significato in un mondo assurdo? Sublime paradosso, riesce a trasformare le cose più brutte, le più insignificanti, in cose splendide.
Davanti alla vostra università c’è una statua di Minerva. Penso qui a un quadro del mio collega Sigmar Polke intitolato Can you always believe your eyes? [Potete sempre fidarvi dei vostri occhi?] dove vediamo una donna che levita, dove la testa si perde nel dipinto. Un’allusione ad Atena, l’equivalente greco di Minerva, che è nata dalla testa di Zeus. Ora, Minerva non è solo la patrona della scienza, ma anche degli artisti e io spero che continuerà ad accompagnarmi nel cammino.