I PADRONI DEL PALLONE - DOPO FRANCHI E SORDILLO, IL CALCIO È FINITO IN MANO A “IMPRESENTABILI” GAFFEUR - TONINO MATARRESE SULL’OMICIDIO RACITI DISSE: “I MORTI FANNO PARTE DEL SISTEMA” - DOPO ESSERE STATO SILURATO, LOTITO PROMETTE: “NON VI LIBERERETE DI ME”
1. LOTITO FA L’OFFESO MA PREPARA LA RISCOSSA
Alessandro Bocci per il “Corriere della Sera”
«Claudio devi capire». Claudio per la verità non ha capito. Non subito, almeno. Carlo Tavecchio ha chiamato Lotito un’ora prima di entrare a Palazzo Chigi da Graziano Delrio ed è stata la telefonata più difficile da quando il ragioniere di Ponte Lambro è diventato presidente della Federcalcio. Lotito è stato lo sponsor di Tavecchio, la sua guida, la spalla su cui piangere nei momenti duri dopo lo scivolone su Optì Pobà. Ed è stato sempre Lotito, prima delle elezioni federali, a frenare Tavecchio, che in un momento di sconforto voleva alzare bandiera bianca.
Ora invece il presidente della Lazio è stato dimezzato. «Sto per annunciare al governo che farai un passo indietro». Silenzio, gelo. Lotito c’è rimasto male. Ma non è stato un tradimento. Serviva un segnale dopo che Pino Iodice, il d.g. dell’Ischia, aveva rivelato i contenuti della spregiudicata telefonata di quello che tutti ormai consideravano il vero padrone del calcio italiano. E Lotito, nei toni e nei modi, così si comportava. Spadroneggiando.
Tavecchio, con la saggezza dei vecchi brianzoli, gli ha spiegato che il vento è cambiato. Ci sono le inchieste di Palazzi (ben due), la rabbia dei consiglieri offesi (Abodi e Nicchi), l’indignazione dell’opposizione (Tommasi e Ulivieri); senza contare la grave frattura che paralizza la Lega Pro. Non era possibile far finta di niente. Lo imponeva la ragione di stato, lo pretendevano governo e Coni, che sono stati informati nel vertice di martedì sera a Palazzo Chigi.
Tavecchio ha deciso lunedì mattina ed è andato dritto per la sua strada. Non a caso Giovanni Malagò, anche lui presente al vertice, è stato solerte ad applaudire la svolta: «Voglio e devo fare i complimenti a Tavecchio, che ha saputo gestire con capacità e senso delle istituzioni una situazione che poteva ritorcersi contro la Federcalcio». E per placare l’ira dell’uomo al centro del mirino pare sia intervenuto anche Adriano Galliani, che di Claudio è amico.
Lotito resterà consigliere federale, ma durante il prossimo Consiglio (nell’ultima settimana di febbraio) perderà la delega sulle riforme. Il cambio di rotta provocherà trambusti, non una vera e propria rivoluzione. Perché Carlo (Tavecchio) e Claudio (Lotito) resteranno amici, per quanto si possa essere amici in un mondo così. E sbaglia chi si è convinto che il dirigente più invadente del calcio italiano non sarà più centrale dentro il Palazzo. La vera rivoluzione arriverà, casomai, quando Lotito sarà abbandonato dalla Lega di serie A, la Confindustria del pallone, il motore dell’intero movimento. E per adesso non ci sono segnali che ciò avvenga. Di conseguenza sarà ancora lui l’interlocutore principale di Tavecchio nel cammino, lento e pieno di insidie, verso le riforme.
Nei prossimi mesi però gli equilibri potrebbero mutare e senza Lotito le tensioni dentro il Palazzo federale attenuarsi. Tavecchio darà nuovo impulso alle riforme. In questo senso va letto il pranzo semi clandestino con Damiano Tommasi. «Perché per cambiare c’è bisogno di tutti», lo slogan della Federazione. Il presidente ha fretta: ha promesso le riforme e non dovrà deludere la sua maggioranza. Lotito, invece, fa l’offeso, ma già ieri ha ripreso a lavorare sino a mezzanotte, passando da una telefonata all’altra sui suoi quattro cellulari: «Non vi libererete di me», il grido di riscossa. Sarà ancora lui il padrone?
2. SOR CLAUDIO E I SUOI FRATELLI, BESTIARIO DEI PADRONI DEL CALCIO
Malcom Pagani per “il Fatto Quotidiano”
I padri nobili alla Artemio Franchi, traditi da una curva estiva, non ci sono più: “Non permetterò che facciate pazzie al calciomercato: da voi esigo chiarezza nei bilanci e, soprattutto, la massima onestà”.
A più di trent’anni dalla morte del più nobile tra i presidenti della Federcalcio, l’appello è rimasto inascoltato e neanche il sistema si sente troppo bene. Dominato dall’omertà, dal terrore delle ritorsioni e dalle diserzioni che tradiscono origini ed essenza (su tutti il pretoriano di provincia vicino a Claudio Lotito, il pandoro trasformato in tartufo, Luca Campedelli, per anni descritto come artefice della favola Chievo) il regimetto si compatta e indifferente alle critiche, circonda di affetto e servilismo il suo uomo forte. Parlano per opporsi soltanto Juventus e Roma. Si è svegliata (meritoriamente) la Fiorentina. Qualche distinguo flebile giunge da Cairo. Sul resto, il penoso silenzio della complicità condivisa.
Che su Carpi, Latina e Frosinone, Lotito abbia detto quello che Galliani e De Laurentiis pensano da anni (non di rado ad alta voce, blaterando a ondate di Superlega), non è un mistero. Ed è anche difficile stupirsi dei toni utilizzati dal Sor Claudio, quando a Nord di Roma, a Parma, dopo aver visto approdare e levare in fretta le tende prima Tanzi e poi Ghirardi, c’è ora il signor Manenti, anche detto: “Bonifico in arrivo”.
Manenti, planato sulle macerie della squadra di Donadoni dopo un paio di naufragate acquisizioni di altra natura e sosia sputato di De Niro in Taxi Driver, proprio come il Travis Bickle del film di Scorsese, è chiamato al lavoro sporco: “Ogni volta che riporto la macchina in garage devo ripulire i sedili”. Non è chiarissimo se gli verrà concesso il tempo di farlo, ma in ogni caso, ricordava un esperto di nome Stendhal: “Ogni vera passione non pensa che a se stessa” e quindi, nel peggiore dei casi, il Parma farà la fine di altre squadre nobili decadute (Fiorentina, Napoli e Torino) fatte fallire a tavolino e poi recuperate a nuova vita.
Lotito è solo l’interprete più efficace di un microcosmo che archiviato Federico Sordillo, ha rappresentato soltanto, almeno dalla metà degli Anni 80, un campo di battaglia per interessi che con lo sport avevano relativamente a che fare. Uno comanda e gli altri, comodamente seduti e adeguatamente foraggiati (Tavecchio insegna), eseguono.
Antonio Matarrese - Copyright Pizzi
Eseguono perché la soglia di indignazione si è abbassata, perché l’oblìo cancella qualunque indecenza, perché i gaffeur sono elevati a padri della patria e perché come ricordava un maestro nel genere, Tonino Matarrese, proprio nelle ore successive all’omicidio di Filippo Raciti: “I morti fanno parte del sistema calcio” e lo spettacolo non si può fermare. Quello offerto da questi giorni di golpetti all’amatriciana e silenzi assordanti, è in linea con le piazzate più o meno folkloristiche che alle nostre latitudini da sempre circondano il pallone. Era stato proprio il fratello di Tonino, Vincenzo Matarrese, a subire in diretta l’aggressione verbale di Luciano Gaucci (perché espellerlo dal circo ed esiliarlo a Santo Domingo quando gli epigoni odierni gli sono parenti se non figli?).
Accadde in località Perugia, quando sotto l’occhio delle telecamere, in un’indimenticabile sceneggiata, Lucianone gridò la propria indignazione per una sfortunata direzione arbitrale toccata in sorte al suo Perugia: “Figli di puttana, vi siete comprati l’arbitro!”. Oggi il potere di Lotito è, anche plasticamente, nelle sue mani.
La Gazzetta dello Sport vorrebbe le sue dimissioni e il pallone, compatto, non solo non ne discute, ma si esercita nel pernacchio in cui eccelleva il principe De Curtis. Sempre di commedia si tratta. Il presidente di un Avellino che fu, Sibilia, redarguiva a schiaffi i giocatori che violavano il coprifuoco aspettandoli sotto casa. A Beniamino Vignola toccarono prima un ceffone e poi una carezza dialettica: “È un bambino disubbidiente”.
Lotito non ha bisogno di picchiare. I suoi lo ascoltano a prescindere. E come nei sonetti del Belli, non contano un cazzo perché a contare davvero è solo chi non si vergogna e si compiace anche dell’ombra che proietta.