LA GLOBALIZZAZIONE È FINITA - SE LA CINA APPOGGIASSE CONCRETAMENTE PUTIN, POTREMMO DIRE ADDIO AL FLUSSO CONTINUO DI MERCI CHE CIRCOLANO DA UNA PARTE ALL’ALTRA DEL GLOBO. NON CONVIENE A NESSUNO, MEN CHE MENO ALLA CINA: LA SUA ECONOMIA DIPENDE DALLE ESPORTAZIONI - UNA CRISI DEL DRAGONE DANNEGGEREBBE IL RESTO DEL MONDO ENORMEMENTE, MOLTO PIÙ DELL'ISOLAMENTO DELLA RUSSIA
Stefano Lepri per “La Stampa”
L'incognita peggiore per l'economia mondiale è rappresentata dalla Cina; ed è politica. Se Pechino passasse ad appoggiare in concreto l'avventura della Russia, sarebbe davvero finita la globalizzazione. Si interromperebbe in più punti quel flusso continuo di merci e di capitali che avvolge tutto il globo; quello per cui gli egiziani preparano il cous cous con grano ucraino, tanto per dire.
Cina e Russia hanno gli Stati Uniti come rivale comune. Ma la Cina ha scelto fin qui una strategia diversa, ed è verosimile che voglia proseguirla. Ha puntato sul successo economico, con buone carte per arrivare nel giro di un decennio o due ad essere il Paese più forte come dimensione del prodotto interno lordo e un valido competitore nelle tecnologie avanzate. Il tempo gioca a suo favore. La Russia invece azzarda perché il tempo le va contro.
XI JINPING VLADIMIR PUTIN - VIGNETTA DI GIANNELLI
La scommessa economica l'ha già persa: il tenore di vita dei suoi cittadini ristagna o cala, è ormai inferiore a quello dei suoi ex Paesi satelliti, salvo la Bulgaria. Campa sulle sue immense risorse di materie prime, ma non sa fare null'altro (pare che gli comincino a mancare perfino componenti essenziali per i carri armati). Contro il Covid-19 si vanta di un vaccino che funziona pochissimo (secondo alcuni statistici la vera mortalità russa sarebbe in realtà il triplo di quella italiana).
Che finisse così, in guerra, l'aveva previsto già tre anni fa uno degli economisti più esperti di cose russe, lo svedese Anders Åslund. Quelli che comandano a Mosca e a San Pietroburgo sono nella sua analisi una «cleptocrazia», ossia sono incapaci di gestire imprese produttive, le derubano soltanto.
un uomo guarda dentro a un mcdonald's chiuso in russia
La stessa Gazprom, il gigante del gas capace di mettere paura a Germania, Italia e tanti altri, sfrutta con minima efficienza i tesori di cui dispone sottoterra. Possibile che un Paese così possa scassare l'economia mondiale, di cui rappresenta appena l'1,7 per cento? Per l'invasione dell'Ucraina ha colto un momento delicato, in cui i Paesi avanzati sembravano in grado di mettersi alle spalle due anni di pandemia e riprendere la rotta di prima; il Pil mondiale, secondo l'Ocse, era già 4 punti sopra l'inizio del 2020.
l'impatto della guerra sull'economia
C'erano solo due intoppi. Il primo, l'errore di politica economica compiuto dagli Stati Uniti: troppi soldi spesi, e a pioggia, per contrastare gli effetti dei lockdown, che hanno addirittura aumentato i soldi in tasca agli americani, creando pressioni al rialzo dei prezzi. Il secondo era che in molti Paesi emergenti i contagi correvano ancora, cosicché non riprendevano appieno le forniture di merci al mondo più ricco.
un mese di piazza affari guerra in ucraina
Del troppo denaro in giro in America e delle strozzature nella produzione si poteva sperare di aver ragione nel corso dell'anno. Invece, proprio al punto in cui si era recuperato o (in Italia) si stava per recuperare il livello di prodotto precedente al Covid-19, tutto è cambiato. Si parla di "stagflazione" intendendo una fase di crescita bassa o nulla mentre i prezzi corrono. Per l'Europa, l'Ocse stima che la guerra ci appioppi prezzi più alti di 2 punti percentuali, e redditi in crescita di 1,4 punti in meno.
Dopo aver sperato che dopo una disgrazia epocale come il virus si potesse presto tornare al benessere di prima, ora sappiamo che non è più così. A qualcosa dovremo rinunciare, o perché il costo dell'energia resterà alto, o perché occorrerà investire molto in altre fonti, specie rinnovabili, per sottrarsi al ricatto russo, o perché dovremo spendere più in armi per difendere la nostra libertà.
Le guerre, in aggiunta ai lutti che portano, impoveriscono non solo perché occorre ricostruire, ma perché troncano legami economici reciprocamente vantaggiosi. Quest' ultimo è il punto. Se in nome della sicurezza i nostri Paesi vogliono riportare in patria produzioni finora affidate a terre lontane, dobbiamo prepararci a che cosino di più. La misura in cui questo avverrà è ardua da prevedere, e appunto dipenderà soprattutto dal fattore Cina.
mariupol distrutta vista dal drone 2
Allo stato attuale delle cose, una recessione vera e propria è esclusa sia dalle organizzazioni internazionali come Fmi e Ocse sia dagli analisti privati. Tuttavia, se il flusso di gas all'Europa dovesse interrompersi - o per volontaria rinuncia nostra, o per un improbabile ricatto di Putin - una recessione nel nostro continente l'avremmo. Sopportabile, dicono alcuni economisti tedeschi tra cui Moritz Schularick (-0,5% nella migliore delle ipotesi, -3% nella peggiore), e per difendere la libertà ne varrebbe la pena.
Ma i governi non sembrano disposti a sfidare l'impopolarità. Un fattore ancor meno chiaro è quanto sia fragile al momento la Cina. Per contrastare la crisi del settore immobiliare, espressasi nel crack Evergrande, il governo ha annunciato misure di stimolo che, nel giudizio di un economista espertissimo di Cina come Michael Pettis, ripercorrono vecchie strade, senza sanare lo squilibrio di fondo che sta nella debolezza dei consumi. E c'è poi il Covid ricomparso in forze nel Paese che ne è l'origine e che però pareva l'avesse sconfitto.
Una crisi in Cina danneggerebbe il resto del mondo enormemente più che l'isolamento della Russia; se grave, potrebbe spingere il suo governo all'avventura su Taiwan. Per fortuna pare improbabile. Resta che proprio la globalizzazione ha creato le risorse che possono consentire di riparare almeno in parte le fratture dell'ordine mondiale.
All'eccesso di risparmio che ha consentito di chiudere fabbriche e uffici senza disastri, grazie ai debiti che gli Stati hanno potuto contrarre, si può ancora attingere pur se i tassi sono meno bassi di prima. Ma se se ne serviranno solo per tamponare i danni con sussidi vari diffonderanno sfiducia, i tassi saliranno e l'inflazione non si placherà.
Occorre invece un piano coerente per fare a meno della Russia, come scriveva l'altro giorno Martin Wolf, editorialista principe del Financial Times; avendo imparato una lezione dalla storia, che il disastro causato dagli umani, la guerra, è peggiore della pandemia accollataci dalla natura.