LE NUOVE REGOLE DI BRUXELLES SUI FALLIMENTI BANCARI (CHE IMPONGONO UNA TOSATA AI CONTI CORRENTI IN CASO DI CRAC) SONO PIÙ SEVERE DELLE NORME IN VIGORE IN SVIZZERA, LIECHTENSTEIN E A MONTECARLO - COSÌ ORA RICCONI E GRANDI IMPRESE POTREBBERO PORTARE LA LIQUIDITÀ ALTROVE
Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"
Quei geni dell’Unione europea l’hanno fatta davvero grossa. Lo scherzetto del «bail in», vale a dire la nuova regola che impone a un correntista di contribuire coi suoi quattrini all’eventuale fallimento di una banca, potrebbe rivelarsi un boomerang clamoroso. La direttiva sui crac bancari, che in Italia entrerà in vigore a gennaio 2016, corre il rischio di rendere altri paesi, quelli fuori dell’Ue, assai più «attraenti» per un risparmiatore e pure per le imprese.
Il terreno è minato e il confronto fra ordinamenti diversi non è mai semplice. Tuttavia, stando ai pareri di vari esperti, sembra piuttosto evidente che la liquidità è destinata a subire minacce meno pesanti se il salvadanaio è lontano dai confini Ue. Qualche esempio. Tanto per restare nel Vecchio continente, Montecarlo, Liechtenstein e Svizzera hanno sistemi meno severi. Il «bail in» blinda depositi e conti correnti fino alla soglia di 100.000 euro oltre la quale è previsto un eventuale taglio (se non basta la sforbiciata ad azioni e obbligazioni).
Non funziona così nei tre paesi appena citati nei quali, di fatto, sono in vigore le vecchie regole italiane ed esiste un articolato sistema di tutele dei depositi: un fondo, cioè, che copre fino al tetto di 100.000 euro i correntisti di una banca, in caso di default. Superato quel limite non esistono protezioni specifiche. Ma da quelle parti la regolamentazione «locale» non fa nemmeno scattare le pesanti tagliole che a Bruxelles hanno deciso di introdurre per gli istituti di credito europei. Anzi.
Le banche di quei paesi assicurano comunque garanzie ulteriori: obiettivo, del resto, è incentivare i clienti, specie quelli più facoltosi. Certo, in caso di fallimento, gli azionisti e gli obbligazionisti - in misure diverse oltreche proporzionali ai rischi assunti al momento dell’investimento - non sono immuni da perdite. Per i cosiddetti depositanti, invece, nessuna punizione prescritta per legge.
Se ci si allontana dall’Europa, poi, si scopre che la tutela dei depositi è decisamente più consistente negli Stati Uniti d’America. Lo Zio Sam è più generoso: copre i conti correnti con un paracadute da 250.000 dollari (229.000 euro al cambio di ieri), anche se sulla costa atlantica è in corso un acceso dibattito sui fondi assicurativi chiamati a proteggere i depositi, che sarebbero ampiamente sottofinanziati. Come dire: se il botto è troppo forte (magari nel caso di fallimento di un colosso finanziario), i consumatori restano con un pugno di mosche in mano. O quasi.
Ancor più complesso il quadro in Medio Oriente, dove le regole finanziarie son poche e non facilmente interpretabili. I clienti di una banca di Dubai (Emirati Arabi), a esempio, sulla carta non hanno alcuna garanzia in relazione alle somme depositate allo sportello. Ma la finanza araba è probabilmente troppo lontana e forse poche persone sarebbero disposte a spostare la liquidità nella banca di uno sceicco. Ragionamenti differenti, invece, potrebbero essere sviluppati per uno sportello svizzero o nel Principato di Monaco: aprire un conto corrente all’estero «non è vietato» dalle leggi italiane, spiega Fabrizio Vedana, vicedirettore generale di Unione fiduciaria.
Dal punto di vista fiscale non cambia nulla: «ci sono le imposte sui capital gain, la cosiddetta patrimoniale (Ivafe) cioè l’imposta di bollo, le imposte sui redditi da capitale», dividendi o cedole sui titoli. Le informazioni sui conti esteri vanno inserite nella dichiarazione dei redditi (nel quadro Rw) oppure si può affidare tutto a un intermediario italiano che opera in qualità di sostituto d’imposta e gestisce tutti gli aspetti tributari. Ma se la partita, sul versante delle tasse, finisce in pareggio, perché scegliere una banca in Liechtenstein, Montecarlo o Svizzera? «La valutazione - spiega ancora Vedana - può essere legata all’opportunità: c’è chi sceglie di diversificare sia per quanto riguarda il rischio-paese sia per il rischio-banca».
Ma adesso c’è il «bail in». E le aziende - ossia i clienti in linea teorica più esposti ai rischi di un eventuale fallimento bancario - potrebbero scegliere di traslocare Oltreconfine. Tutto sommato, i sistemi informatici e di home banking consentono di avere il pieno controllo dei depositi bancari anche a lunga distanza. Da questo punto di vista, il fattore territorio è decisivo fino a un certo punto. Sul piano dei rapporti banca-cliente, ovviamente, lo spostamento di importanti somme di denaro potrebbe pregiudicare, per un’impresa, la concessione di prestiti e finanziamenti.
Ciò vuol dire che le scelte potrebbero essere complesse. In ballo, come spiegato ieri su queste colonne, c’è una montagna di denaro: sui depositi delle aziende e delle partite Iva italiane giacciono quasi 270 miliardi di euro. Cifra che cresce esponenzialmente se si estende l’analisi a tutti i paesi membri dell’Unione europea, nei quali si applica la direttiva sulle «risoluzioni bancarie». E tutto quel denaro potrebbe far gola agli operatori finanziari dove i rischi, d’ora in poi, saranno più contenuti. L’ennesimo autogol europeo.