LA PUBLIC COMPANY CI RIPROVA - TORNA AD AFFACCIARSI SULLA FINANZA ITALIANA (TELECOM) IL MODELLO DELLA MONTEDISON DI SCHIMBERNI (SI SPERA CON ESITI DIVERSI, DATO CHE FU SCALATA DA GARDINI)

Fabio Tamburini per ‘CorriereEconomia - Corriere della Sera'

Carlo Bompieri era un personaggio d'altri tempi, passato a miglior vita, che conosceva bene il mondo della finanza. Era stato amministratore delegato della Banca commerciale quando aveva come presidente un grande banchiere, Raffaele Mattioli, e, in gioventù, aveva avuto rapporti di frequentazione quotidiana con Enrico Cuccia, fondatore di Mediobanca, con cui condivideva perfino rari momenti di svago.

Bompieri aveva il gusto delle battute caustiche e, in tema di governance delle società, ne amava una più di altre: «La public company in Italia - diceva - è come portare un cane in chiesa». Intendeva dire, senza nascondere il suo disappunto, che nell'Italia governata da Cuccia l'asse portante erano i patti di sindacato, senza lasciare spazio a modelli d'importazione che avevano successo in realtà assai diverse come il capitalismo americano.

La svolta
I tempi però cambiano. La fine dei patti di sindacato è stata annunciata nel giugno scorso dalla stessa Mediobanca. E pochi giorni fa Vito Gamberale, amministratore delegato di F2i e protagonista del lancio della telefonia mobile sul mercato italiano, ora molto ascoltato da Marco Fossati, capofila dell'opposizione a Telco (l'azionista che controlla oltre il 22 per cento di Telecom Italia, partecipata dagli spagnoli di Telefonica e dagli alleati Mediobanca, Generali, Intesa Sanpaolo), è entrato a gamba tesa nel confronto sugli assetti futuri del gruppo con una intervista al Corriere della Sera: «L'unico modello praticabile - ha dichiarato - è quello di public company in cui il management lavora per gli interessi di tutti gli azionisti».

La sortita di Gamberale si spiega nel tentativo di trovare la via di uscita allo stallo attuale. L'assemblea del fine dicembre scorso ha fotografato un azionariato della società spaccato sostanzialmente a metà. Da una parte gli azionisti di Telco, dall'altra una rappresentanza dei fondi italiani, quella più consistente dei fondi esteri e naturalmente Fossati. Il problema è che la situazione richiederebbe ben altra solidità societaria perché il piano industriale va ridisegnato in uno scenario competitivo che per le telecomunicazioni europee risulta molto difficile, l'indebitamento resta significativamente elevato, il capitolo della controllata Tim Brasil richiede decisioni condivise.

In più, con ogni probabilità, il governo punterà al rilancio degli investimenti nello sviluppo della rete a banda larga, ritenuta indispensabile per lo sviluppo del Paese. Per questo servono soldi, tanti soldi. Gli azionisti di Telco sono disponibili a provvedere? L'alternativa è, appunto, il modello di public company, che permetta di mettere in cantiere una ricapitalizzazione adeguata. Magari con l'intervento di società del mondo pubblico come contributo per gli investimenti nella fibra ottica. E a garanzia che vengano davvero fatti.

I tentativi
Rispunta così il modello public company che finora, sul mercato italiano, è stato decisamente sfortunato. Il profeta, a metà degli anni Ottanta, è stato Mario Schimberni ma la sua Montedison ha finito per essere scalata dalla Ferfin di Raul Gardini. Poi, nella primavera 1993, la voleva Romano Prodi, all'epoca presidente dell'Iri, per le privatizzazioni di Banca commerciale e Credito italiano.

Il risultato, come sintetizzò Sergio Siglienti, uno dei dirigenti storici della Comit, fu che «la public company venne scalata ancora prima di nascere». Infine, una quindicina di anni fa, nel maggio 1998, è toccato a Gianmario Rossignolo, all'epoca numero uno di Telecom Italia, annunciarla davanti ad una platea di sindacalisti e lavoratori della Cgil. Loro furono entusiasti ma Rossignolo, soltanto pochi mesi dopo, prese atto delle reazioni ostili dell'azionista Ifil, la finanziaria degli Agnelli, e decise di lasciar perdere.

L'antesignano Schimberni, affiancato da Giuseppe Garofano, l'amministratore delegato della controllata Meta, società di servizi finanziari, puntò sulla public company perché servivano capitali per fare grande la chimica italiana e per giocare la carta dell'autonomia da Mediobanca.

Ricorda Giulio Sapelli, economista e professore, in quegli anni borsista senior alla London School of economics: «Mi chiamarono da Montedison chiedendomi di scrivere qualche pagina che servisse da supporto teorico. Volevano che spiegassi, e lo feci con entusiasmo, cosa fossero e come funzionassero le public company. Erano un oggetto misterioso che, traducendo i termini in modo grossolano, venivano addirittura scambiate per società a capitale pubblico».

E ancora: «Non so come lo venne a sapere Leo Valiani, uno dei padri del Partito d'azione, che aveva un ufficio in Comit ed era mio protettore. Mi chiamò e mi fece una lavata di capo dicendomi che non era il caso di mettersi contro Mediobanca».

In effetti la reazione di Cuccia fu immediata: fuori Schimberni da Montedison. Il primo tentativo di trovare un padrone al gruppo chimico fu con Carlo de Benedetti, che rifiutò. La soluzione venne trovata con Gardini che chiuse in bellezza la scalata grazie anche ai finanziamenti delle banche orientate da Mediobanca, Schimberni pagò dazio e la public company fu uccisa nella culla.

Fino a quando tentò di resuscitarla Prodi per Comit e Credito italiano. Ma, anche in quel caso, la reazione di Cuccia fu determinata, come confermano le lettere scambiate tra lui e il professore nell'estate 1993. Finì che la privatizzazione portò ad un nucleo di azionisti stabili, tutti vicini a Mediobanca. Vicende che, ormai, appartengono al passato. Montedison si è dissolta, Comit è stata assorbita da Banca Intesa Sanpaolo, il Credito italiano trasformato in Unicredit è uscito dall'orbita di Mediobanca. E ora, per Telecom, la partita si è riaperta.

 

Vito Gamberale VITO GAMBERALE jpegMARCO PATUANOPATUANO MARCO FOSSATI jpegenrico cuccia x agnelli enrico cucciaVLADIMIR PUTIN E ROMANO PRODIsergio siglienti mario schimberni

Ultimi Dagoreport

donald trump dazi giorgia meloni

DAGOREPORT! ASPETTANDO IL 2 APRILE, QUANDO CALERÀ SULL’EUROPA LA MANNAIA DEI DAZI USA, OGGI AL SENATO LA TRUMPIANA DE’ NOANTRI, GIORGIA MELONI, HA SPARATO UN’ALTRA DELLE SUE SUBLIMI PARACULATE - DOPO AVER PREMESSO IL SOLITO PIPPONE (‘’TROVARE UN POSSIBILE TERRENO DI INTESA E SCONGIURARE UNA GUERRA COMMERCIALE...BLA-BLA’’), LA SCALTRA UNDERDOG DELLA GARBATELLA HA AGGIUNTO: “CREDO NON SIA SAGGIO CADERE NELLA TENTAZIONE DELLE RAPPRESAGLIE, CHE DIVENTANO UN CIRCOLO VIZIOSO NEL QUALE TUTTI PERDONO" - SI', HA DETTO PROPRIO COSI': “RAPPRESAGLIE’’! - SE IL SUO “AMICO SPECIALE” IMPONE DAZI ALLA UE E BRUXELLES REAGISCE APPLICANDO DAZI ALL’IMPORTAZIONE DI MERCI ‘’MADE IN USA’’, PER LA PREMIER ITALIANA SAREBBERO “RAPPRESAGLIE”! MAGARI LA SORA GIORGIA FAREBBE MEGLIO A USARE UN ALTRO TERMINE, TIPO: “CONTROMISURE”, ALL'ATTO DI TRUMP CHE, SE APPLICATO, METTEREBBE NEL GIRO DI 24 ORE IN GINOCCHIO TUTTA L'ECONOMIA ITALIANA…

donald trump cowboy mondo in fiamme giorgia meloni friedrich merz keir starmer emmanuel macron

DAGOREPORT: IL LATO POSITIVO DEL MALE - LE FOLLIE DEL CALIGOLA DELLA CASA BIANCA HANNO FINALMENTE COSTRETTO GRAN PARTE DEI 27 PAESI DELL'UNIONE EUROPEA, UNA VOLTA PRIVI DELL'OMBRELLO MILITARE ED ECONOMICO DEGLI STATI UNITI, A FARLA FINITA CON L'AUSTERITY DEI CONTI E DI BUROCRATIZZARSI SU OGNI DECISIONE, RENDENDOSI INDIPENDENTI - GLI EFFETTI BENEFICI: LA GRAN BRETAGNA, ALLEATO STORICO DEGLI USA, HA MESSO DA PARTE LA BREXIT E SI E' RIAVVICINATA ALLA UE - LA GERMANIA DEL PROSSIMO CANCELLIERE MERZ, UNA VOLTA FILO-USA, HA GIA' ANNUNCIATO L'ADDIO ALL’AUSTERITÀ CON UN PIANO DA MILLE MILIARDI PER RISPONDERE AL TRUMPISMO - IN FRANCIA, LA RESURREZIONE DELLA LEADERSHIP DI MACRON, APPLAUDITO ANCHE DA MARINE LE PEN – L’UNICO PAESE CHE NON BENEFICIA DI ALCUN EFFETTO? L'ITALIETTA DI MELONI E SCHLEIN, IN TILT TRA “PACIFISMO” PUTINIANO E SERVILISMO A TRUMP-MUSK...

steve witkoff marco rubio donald trump

DAGOREPORT: QUANTO DURA TRUMP?FORTI TURBOLENZE ALLA CASA BIANCA: MARCO RUBIO È INCAZZATO NERO PER ESSERE STATO DI FATTO ESAUTORATO, COME SEGRETARIO DI STATO, DA "KING DONALD" DALLE TRATTATIVE CON L'UCRAINA (A RYAD) E LA RUSSIA (A MOSCA) - IL REPUBBLICANO DI ORIGINI CUBANE SI È VISTO SCAVALCARE DA STEVE WITKOFF, UN IMMOBILIARISTA AMICO DI "KING DONALD", E GIA' ACCAREZZA L'IDEA DI DIVENTARE, FRA 4 ANNI, IL DOPO-TRUMP PER I REPUBBLICANI – LA RAGIONE DELLA STRANA PRUDENZA DEL TYCOON ALLA VIGILIA DELLA TELEFONATA CON PUTIN: SI VUOLE PARARE IL CULETTO SE "MAD VLAD" RIFIUTASSE IL CESSATE IL FUOCO (PER LUI SAREBBE UNO SMACCO: ALTRO CHE UOMO FORTE, FAREBBE LA FIGURA DEL ''MAGA''-PIRLA…)

giorgia meloni keir starmer donald trump vignetta giannelli

DAGOREPORT - L’ULTIMA, ENNESIMA E LAMPANTE PROVA DI PARACULISMO POLITICO DI GIORGIA MELONI SI È MATERIALIZZATA IERI AL VERTICE PROMOSSO DAL PREMIER BRITANNICO STARMER - AL TERMINE, COSA HA DETTATO ''GIORGIA DEI DUE MONDI'' ALLA STAMPA ITALIANA INGINOCCHIATA AI SUOI PIEDI? “NO ALL’INVIO DEI NOSTRI SOLDATI IN UCRAINA” - MA STARMER NON AVEVA MESSO ALL’ORDINE DEL GIORNO L’INVIO “DI UN "DISPIEGAMENTO DI SOLDATI DELLA COALIZIONE" SUL SUOLO UCRAINO (NON TUTTI I "VOLENTEROSI" SONO D'ACCORDO): NE AVEVA PARLATO SOLO IN UNA PROSPETTIVA FUTURA, NELL'EVENTUALITÀ DI UN ACCORDO CON PUTIN PER IL ‘’CESSATE IL FUOCO", IN MODO DA GARANTIRE "UNA PACE SICURA E DURATURA" - MA I NODI STANNO ARRIVANDO AL PETTINE DI GIORGIA: SULLA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO AL PROSSIMO CONSIGLIO EUROPEO DEL 20 E 21 MARZO SULL'UCRAINA, LA PREMIER CERCHIOBOTTISTA STA CONCORDANDO GLI ALLEATI DELLA MAGGIORANZA UNA RISOLUZIONE COMUNE PER IL VOTO CHE L'ATTENDE MARTEDÌ E MERCOLEDÌ IN SENATO E ALLA CAMERA, E TEME CHE AL TRUMPUTINIANO SALVINI SALTI IL GHIRIBIZZO DI NON VOTARE A FAVORE DEL GOVERNO… 

picierno bonaccini nardella decaro gori zingaretti pina stefano dario antonio giorgio nicola elly schlein

DAGOREPORT - A CONVINCERE GLI EUROPARLAMENTARI PD A NON VOTARE IN MASSA A FAVORE DEL PIANO “REARM EUROPE”, METTENDO COSI' IN MINORANZA ELLY SCHLEIN (E COSTRINGERLA ALLE DIMISSIONI) È STATO UN CALCOLO POLITICO: IL 25 MAGGIO SI VOTA IN CINQUE REGIONI CHIAVE (CAMPANIA, MARCHE, PUGLIA, TOSCANA E VENETO) E RIBALTARE IL PARTITO ORA SAREBBE STATO L'ENNESIMO SUICIDIO DEM – LA RESA DEI CONTI TRA “BELLICISTI” E “PACIFINTI”, TRA I SINISTR-ELLY E I RIFORMISTI, È SOLO RINVIATA (D'ALTRONDE CON QUESTA SEGRETERIA, IL PD E' IRRILEVANTE, DESTINATO A RESTARE ALL'OPPOSIZIONE PER MOLTI ANNI)