1- IL “SALOTTO BUONO” HA FATTO CRAC! MEDIOBANCA? È RIMASTA UNA MEZZA-BANCA... 2- GIORNO DOPO GIORNO, LIGRESTI DOPO LIGRESTI, LA PRIMARIA LOGGIA DEI POTERI FORTI ITALIANI, CHE SOTTO LA GUIDA DI ENRICO CUCCIA HA SPADRONEGGIATO PER OLTRE MEZZOSECOLO DA FIAT A GENERALI, CON NAGEL & PAGLIARO SI AVVIA SUL VIALE DEL TRAMONTO 3- LE LITI IN RCS. LO STOP DELL'ANTITRUST SU FONDIARIA. LO SCONTRO SU GENERALI. LA STORICA RETE DI PROTEZIONE DELLA BANCA D'AFFARI NON ESISTE PIÙ. E GLI APPETITI DI NUOVI PRETENDENTI, A PARTIRE DA MATTEO ARPE & MENEGUZZO, È GIÀ INIZIATA

Camilla Conti e Luca Piana per l'Espresso

Mediobanca? È rimasta una Mezza-banca... La battutaccia maligna circola tra i concorrenti della finanza milanese. Motivata dalla lunga serie di critiche, attacchi e battute d'arresto subita nel recente passato dalla storica banca d'affari. Una sequenza che mette il suo ruolo in discussione e le sue partecipazioni al centro di grandi appetiti.

Ha iniziato Mario Monti in febbraio: "I salotti buoni hanno tutelato l'esistente e non sempre hanno fatto l'interesse di lungo periodo", ha affermato. Ha alzato il tiro Diego Della Valle, il creatore della Tod's, che ha definito il manager-presidente Renato Pagliaro un "funzionario che pretende di decidere" il futuro del "Corriere della Sera", il quotidiano più ambito dai potenti da salotto.

Ha concluso la raffica Leonardo Del Vecchio, criticando i finanziamenti elargiti al traballante gruppo di Salvatore Ligresti: "Mi chiedo perché gli abbiano dato tutti quei soldi", ha detto il fondatore di Luxottica. Il quale, peraltro, ha attaccato Giovanni Perissinotto, numero uno di Generali, la principale partecipazione di Mediobanca: "Dovrebbe dare dignitosamente le dimissioni".

Uscite pubbliche che resterebbero solo parole se non fosse in corso la durissima battaglia che Mediobanca sta combattendo intorno ai fortini del proprio drappello di partecipazioni, da Generali a Rcs, la casa editrice del "Corriere", da Telecom Italia alla Fondiaria Sai dei Ligresti, sostenuta con un mega-prestito da 1,1 miliardi. Province che un tempo costituivano il cortile di casa, dove l'istituto faceva il bello e il cattivo tempo. E alle quali, negli ultimi anni, l'amministratore delegato Alberto Nagel e Pagliaro hanno affiancato molte altre attività.

Per togliere a Mediobanca quella patina di muffa data dall'essere una realtà troppo domestica e rafforzarla oltre confine. Hanno aperto filiali a Parigi, New York, Madrid, Francoforte e Londra, che oggi garantiscono un terzo dei ricavi delle attività di banca d'affari. Hanno moltiplicato dipendenti e fatturato e avviato business di successo, come "CheBanca!". Senza nulla togliere al mestiere tradizionale: lo confermano i ripetuti aumenti di capitale di grandi banche italiane che Mediobanca è riuscita a portare a termine fra mille difficoltà.

Sulle partecipazioni, però, è bufera. I due colpi più duri sono arrivati da Mario Monti e dall'Antitrust. Il governo ha introdotto una norma che impedisce a una persona di sedere nel consiglio di amministrazione di due società attive nella stesso settore. Tra le molte teste cadute, ci sono quelle illustri di Nagel e Saverio Vinci, il direttore generale di Mediobanca, che hanno dovuto abbandonare il consiglio Generali, puntello cruciale per le operazioni finanziarie dell'istituto.

Il secondo cazzotto è stato sferrato dall'Antitrust, che ha sospeso fino a inizio giugno la fusione tra Unipol e Fondiaria Sai, sostenuta da Mediobanca per mettere in salvo la compagnia dei Ligresti. Nell'immediato, è forse questa la decisione che mette più a rischio gli interessi dell'istituto.

Per l'Antitrust, Mediobanca è il principale azionista delle Generali (col 13,2 per cento) e vi esercita un controllo di fatto; la banca è anche il principale finanziatore di Fondiaria e uno dei maggiori di Unipol, quindi ha un'influenza molto forte sul gruppo che nascerà. Eccessiva, ai fini della tutela della concorrenza: se le repliche non saranno convincenti, la fusione sarà bocciata.

Al di là delle rassicurazioni che Mediobanca e Unipol stanno tentando di fornire, uno degli aspetti delicati di questa vicenda è quello dei tempi. La procura di Milano ha già chiesto il fallimento di due holding non quotate della famiglia Ligresti e Premafin, la finanziaria che controlla Fondiaria, ha già convocato per il 17 maggio l'assemblea per un aumento di capitale di 400 milioni, che l'Unipol si è impegnata a sottoscrivere per la quota di competenza dei Ligresti.

Se saltasse la ricapitalizzazione, Premafin rischierebbe di ritrovarsi in stato d'insolvenza. Si potrebbe riaprire la porta al piano di salvataggio alternativo della coppia Roberto Meneguzzo-Matteo Arpe (con Palladio Finanziaria e Sator). Oppure le banche creditrici dei Ligresti potrebbero monetizzare il 36 per cento di Fondiaria che hanno in pegno, lasciando fallire Premafin. Opzioni che comportano molti punti interrogativi sul destino del miliardo abbondante prestato da Mediobanca a Fondiaria.

Ai tempi di Enrico Cuccia, il fallimento di Ligresti sarebbe stato impensabile. "Il ruolo di Mediobanca è cambiato: prima rimetteva a posto i cocci e gestiva i problemi degli altri. Che ora, invece, sono diventati problemi suoi", dice un critico. Nel caso Fondiaria, in effetti, per Mediobanca intervenire non significa salvare la testa a un vecchio alleato, quanto garantire la tenuta del proprio bilancio.

Va detto che, nell'ultimo decennio, i rapporti dei vertici dell'istituto con il costruttore-finanziere non sono stati idilliaci. Ligresti, si racconta, ha ignorato i ripetuti inviti a tenere i propri figli lontani dalla gestione e ha fatto scappare Enrico Bondi, il manager che Mediobanca aveva voluto al vertice del gruppo dopo l'unione Fondiaria-Sai, per aumentarne la credibilità.

E così Ligresti, facendo leva sugli eccellenti rapporti con personaggi del calibro di Silvio Berlusconi e Cesare Geronzi, ha potuto rendersi indispensabile anche quando era in crisi. Con il risultato che Mediobanca, malgrado gli scontri, almeno fino al 2008 ha continuato a sostenerlo con prestiti.

Il crollo di Ligresti non è però l'unico fronte aperto. C'è la questione Telecom Italia, con la holding Telco (Mediobanca ne ha l'11,6 per cento) che sarà presto costretta all'aumento di capitale. E ci sono gli scontri al vertice di Rcs, emersi con clamore dagli attacchi di Della Valle nei confronti di Pagliaro e resi ancora più evidenti dall'annunciata intenzione delle Generali di uscire dal patto di sindacato che vincola il voto fra gli azionisti storici.

Anche per la casa editrice, però, lo scontro vero si è consumato sui problemi di bilancio. Con Mediobanca propensa a vendere la francese Flammarion per fare cassa e il socio di maggioranza relativa, l'imprenditore della sanità lombarda Giuseppe Rotelli, deciso a non mollare il mercato transalpino, a costo di dover ricorrere a un aumento di capitale per rimettere in sesto i conti. Un aumento, beninteso, che diversi azionisti storici potrebbero non sottoscrivere e che potrebbe servire a Mediobanca per ridurre la propria partecipazione.

In prospettiva, però, il fronte più caldo rischia di essere quello delle Generali. Perissinotto "dovrebbe dimettersi dignitosamente", ha detto Del Vecchio, che ha contestato i pesanti investimenti finanziari. Curiosamente, si dice che il boss di Luxottica fosse uno di quegli imprenditori che lo stesso Nagel aveva voluto con Francesco Gaetano Caltagirone e Lorenzo Pellicioli nel consiglio Generali per aumentarne le capacità manageriali e per renderlo più autorevole.

Poi Del Vecchio, dal consiglio è uscito, in rotta con la gestione Perissinotto, e ha rimpolpato la propria quota, come Caltagirone: hanno il 3 e il 2,2 per cento. Il tutto mentre il francese Vincent Bollorè, costretto a scegliere tra il consiglio Mediobanca e quello Generali, ha optato per il secondo. "Il 25 aprile sarà ricordato come la data della liberazione dell'Italia dalla cultura bizantina delle partecipazioni incrociate", aveva scritto il "Financial Times" in occasione dell'entrata in vigore delle nuove regole contro i conflitti d'interessi, coincisa con la festa della Liberazione. Se per Mediobanca sarà un male, si vedrà nel tempo. Intanto, l'occupazione delle posizioni da parte dei nuovi potenti è già iniziata.

 

 

I SOCI DI PIAZZETTA CUCCIAFOTOGRAFI IN PIAZZETTA CUCCIA DELLA VALLEAlberto Nagel e Renato Pagliaro Salvatore LigrestiDEL VECCHIO GIOVANNI PERISSINOTTOSAVERIO VINCI LAD DI UNIPOL CARLO CIMBRI unipolROBERTO MENEGUZZO MATTEO ARPE BERLUSCONI E GERONZI FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE ALBERTINA CARRARO

Ultimi Dagoreport

donald trump vladimir putin

DAGOREPORT – PUTIN NON PERDE MAI: TRUMP ESCE A PEZZI DALLA TELEFONATA CON “MAD VLAD”. AVEVA GIÀ PRONTO IL DISCORSO (“HO SALVATO IL MONDO”) E INVECE HA DOVUTO FARE PIPPA DI FRONTE AL NIET DEL PRESIDENTE RUSSO ALLA TREGUA DI 30 GIORNI IN UCRAINA – ZELENSKY COTTO E MANGIATO: “SE NON SEI AL TAVOLO DEL NEGOZIATO, SEI NEL MENÙ” – LE SUPERCAZZOLE DEL TYCOON SU IRAN E ARABIA SAUDITA E LA PRETESA DELL’EX AGENTE DEL KGB: ACCETTO IL CESSATE IL FUOCO SOLO SE FERMATE GLI AIUTI ALL’UCRAINA. MA TRUMP NON POTEVA GARANTIRE A NOME DELL’EUROPA – DOPO IL SUMMIT A GEDDA DI DOMENICA PROSSIMA CI SARÀ UNA NUOVA TELEFONATA TRA I DUE BOSS. POI L’INCONTRO FACCIA A FACCIA…

donald trump dazi giorgia meloni

DAGOREPORT! ASPETTANDO IL 2 APRILE, QUANDO CALERÀ SULL’EUROPA LA MANNAIA DEI DAZI USA, OGGI AL SENATO LA TRUMPIANA DE’ NOANTRI, GIORGIA MELONI, HA SPARATO UN’ALTRA DELLE SUE SUBLIMI PARACULATE - DOPO AVER PREMESSO IL SOLITO PIPPONE (‘’TROVARE UN POSSIBILE TERRENO DI INTESA E SCONGIURARE UNA GUERRA COMMERCIALE...BLA-BLA’’), LA SCALTRA UNDERDOG DELLA GARBATELLA HA AGGIUNTO: “CREDO NON SIA SAGGIO CADERE NELLA TENTAZIONE DELLE RAPPRESAGLIE, CHE DIVENTANO UN CIRCOLO VIZIOSO NEL QUALE TUTTI PERDONO" - SI', HA DETTO PROPRIO COSI': “RAPPRESAGLIE’’! - SE IL SUO “AMICO SPECIALE” IMPONE DAZI ALLA UE E BRUXELLES REAGISCE APPLICANDO DAZI ALL’IMPORTAZIONE DI MERCI ‘’MADE IN USA’’, PER LA PREMIER ITALIANA SAREBBERO “RAPPRESAGLIE”! MAGARI LA SORA GIORGIA FAREBBE MEGLIO A USARE UN ALTRO TERMINE, TIPO: “CONTROMISURE”, ALL'ATTO DI TRUMP CHE, SE APPLICATO, METTEREBBE NEL GIRO DI 24 ORE IN GINOCCHIO TUTTA L'ECONOMIA ITALIANA…

donald trump cowboy mondo in fiamme giorgia meloni friedrich merz keir starmer emmanuel macron

DAGOREPORT: IL LATO POSITIVO DEL MALE - LE FOLLIE DEL CALIGOLA DELLA CASA BIANCA HANNO FINALMENTE COSTRETTO GRAN PARTE DEI 27 PAESI DELL'UNIONE EUROPEA, UNA VOLTA PRIVI DELL'OMBRELLO MILITARE ED ECONOMICO DEGLI STATI UNITI, A FARLA FINITA CON L'AUSTERITY DEI CONTI E DI BUROCRATIZZARSI SU OGNI DECISIONE, RENDENDOSI INDIPENDENTI - GLI EFFETTI BENEFICI: LA GRAN BRETAGNA, ALLEATO STORICO DEGLI USA, HA MESSO DA PARTE LA BREXIT E SI E' RIAVVICINATA ALLA UE - LA GERMANIA DEL PROSSIMO CANCELLIERE MERZ, UNA VOLTA FILO-USA, HA GIA' ANNUNCIATO L'ADDIO ALL’AUSTERITÀ CON UN PIANO DA MILLE MILIARDI PER RISPONDERE AL TRUMPISMO - IN FRANCIA, LA RESURREZIONE DELLA LEADERSHIP DI MACRON, APPLAUDITO ANCHE DA MARINE LE PEN – L’UNICO PAESE CHE NON BENEFICIA DI ALCUN EFFETTO? L'ITALIETTA DI MELONI E SCHLEIN, IN TILT TRA “PACIFISMO” PUTINIANO E SERVILISMO A TRUMP-MUSK...

steve witkoff marco rubio donald trump

DAGOREPORT: QUANTO DURA TRUMP?FORTI TURBOLENZE ALLA CASA BIANCA: MARCO RUBIO È INCAZZATO NERO PER ESSERE STATO DI FATTO ESAUTORATO, COME SEGRETARIO DI STATO, DA "KING DONALD" DALLE TRATTATIVE CON L'UCRAINA (A RYAD) E LA RUSSIA (A MOSCA) - IL REPUBBLICANO DI ORIGINI CUBANE SI È VISTO SCAVALCARE DA STEVE WITKOFF, UN IMMOBILIARISTA AMICO DI "KING DONALD", E GIA' ACCAREZZA L'IDEA DI DIVENTARE, FRA 4 ANNI, IL DOPO-TRUMP PER I REPUBBLICANI – LA RAGIONE DELLA STRANA PRUDENZA DEL TYCOON ALLA VIGILIA DELLA TELEFONATA CON PUTIN: SI VUOLE PARARE IL CULETTO SE "MAD VLAD" RIFIUTASSE IL CESSATE IL FUOCO (PER LUI SAREBBE UNO SMACCO: ALTRO CHE UOMO FORTE, FAREBBE LA FIGURA DEL ''MAGA''-PIRLA…)

giorgia meloni keir starmer donald trump vignetta giannelli

DAGOREPORT - L’ULTIMA, ENNESIMA E LAMPANTE PROVA DI PARACULISMO POLITICO DI GIORGIA MELONI SI È MATERIALIZZATA IERI AL VERTICE PROMOSSO DAL PREMIER BRITANNICO STARMER - AL TERMINE, COSA HA DETTATO ''GIORGIA DEI DUE MONDI'' ALLA STAMPA ITALIANA INGINOCCHIATA AI SUOI PIEDI? “NO ALL’INVIO DEI NOSTRI SOLDATI IN UCRAINA” - MA STARMER NON AVEVA MESSO ALL’ORDINE DEL GIORNO L’INVIO “DI UN "DISPIEGAMENTO DI SOLDATI DELLA COALIZIONE" SUL SUOLO UCRAINO (NON TUTTI I "VOLENTEROSI" SONO D'ACCORDO): NE AVEVA PARLATO SOLO IN UNA PROSPETTIVA FUTURA, NELL'EVENTUALITÀ DI UN ACCORDO CON PUTIN PER IL ‘’CESSATE IL FUOCO", IN MODO DA GARANTIRE "UNA PACE SICURA E DURATURA" - MA I NODI STANNO ARRIVANDO AL PETTINE DI GIORGIA: SULLA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO AL PROSSIMO CONSIGLIO EUROPEO DEL 20 E 21 MARZO SULL'UCRAINA, LA PREMIER CERCHIOBOTTISTA STA CONCORDANDO GLI ALLEATI DELLA MAGGIORANZA UNA RISOLUZIONE COMUNE PER IL VOTO CHE L'ATTENDE MARTEDÌ E MERCOLEDÌ IN SENATO E ALLA CAMERA, E TEME CHE AL TRUMPUTINIANO SALVINI SALTI IL GHIRIBIZZO DI NON VOTARE A FAVORE DEL GOVERNO…