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AMANDA-LA A QUEL PAESE! – MICA SCEMA LA KNOX: “DOPO QUATTRO ANNI DI GALERA, NON ME LA SENTO DI TORNARE IN ITALIA”
Meo Ponte per "La Repubblica"
L'appuntamento è per le nove, ora di Seattle, su Skype. Amanda probabilmente si è appena alzata, ha i capelli raccolti, indossa una t-shirt celeste.
Il 30 settembre inizia il processo a Firenze per l'uccisione di Meredith. E lei ha deciso di non esserci. Perché?
«Perché quei giorni coincidono con l'inizio dell'anno scolastico: dovrò andare a lezione. Qui sto cercando di ricostruire la mia vita e lo faccio studiando. E poi non posso permettermi di andare e venire dall'Italia per essere presente alle udienze: costa troppo.
Soprattutto però, per quanta fiducia abbia nel processo e nonostante non abbia pregiudizi nei confronti dei giudici, sono stata già in carcere ingiustamente per quattro anni e dopo questa esperienza non me la sento di tornare dove sono stata in prigione per così tanto tempo ».
Che cosa si aspetta da questo nuovo processo?
«Mi aspetto che il verdetto sia come quello dei giudici della Corte di Appello di Perugia. Sono curiosa di vedere che cosa succederà a Firenze. La Suprema ha Corte ha date precise indicazioni: secondo la sua sentenza non c'era bisogno di un movente per uccidere Meredith, contro di me c'erano prove circostanziate.
Hanno però ignorato il fatto che la Corte d'appello si era resa conto che non c'erano tracce mie in quella stanza: è impossibile parlare di prove circostanziali se non c'è traccia della mia presenza in quella casa. Questa è la prova della mia innocenza. Si è discusso a lungo di indizi e prove ora sono curiosa. E aspetto con ansia di sapere su che cosa focalizzeranno la loro attenzione questi giudici. Non so cosa succederà , aspetto con il cuore in gola...».
Ha mai pensato di aver sbagliato qualcosa in quell'autunno del 2007?
«Gli sbagli che ho fatto sono irrilevanti rispetto alle indagini. Se io avessi potuto capire quello che mi stava succedendo quella notte in questura avrei insistito per avere un avvocato. Ero una bambina, non capivo che cosa stava accadendo. Era stata appena uccisa una mia amica e già questo non era facile da capire per una ragazza di vent'anni.
Mi sono trovata in una situazione troppo grande per me. Avevo bisogno di un sostegno, di un aiuto. Avevo bisogno che i miei diritti fossero rispettati. Di certo ho sbagliato a fare il nome di Patrick Lumunba ma non sono certo corsa in questura a dire: "Ehi so chi è il colpevole. Pensavo di aiutare la polizia che però aveva già le sue idee.
Idee che io non ho capito».
Secondo lei cosa è successo quella sera in via della Pergola 7?
«Ci sono le prove che questo ragazzo, Rudy, era lì. C'è il suo Dna dappertutto, in tutta la stanza, nel sangue di Meredith. E la sua storia dice che si introduceva nelle case, con un coltello. Lui poi ha buttato via i vestiti ed è scappato. Non so se c'era qualcuno con lui, di certo lui è entrato in quella casa.
E non so se Meredith era dentro o se è arrivata dopo. Se lui fosse drogato o avesse soltanto paura che Meredith lo denunciasse. So però che la sua presenza in quella casa e la partecipazione al delitto sono provate. E che non era un caso complicato».
Come è cambiata dopo questa esperienza?
«Mi sento molto cresciuta. à come se fossi invecchiata di quarant'anni, in quei quattro di galera. E sento questo peso, questa tristezza enorme che ormai definisce il mio modo di vedere la vita.
Ho passato un periodo in cui tutto era velocissimo e io doveva capire come sopravvivere. Mi sentivo cacciata come un animale. Ora mi porto dentro questo peso, questa roccia su cui posso riflettere».
Hai incontrato Raffaele a New York qualche mese fa?
«Ha un cugino che vive lì e io provo a vederlo quando posso. Non possiamo vederci spesso e quindi ci sentiamo tramite Skype, con il cellulare oppure via mail. Quando posso vederlo però lo vedo.
E lo accoglie anche la mia famiglia perché ormai ne fa parte. Rimane sempre l'affetto anche se non stiamo più insieme. Siamo come due reduci, due soldati che hanno combattuto insieme in guerra»
Se potessi parlare ai giudici di Firenze che cosa direbbe loro?
«Ripeterei che non ho ucciso la mia amica Meredith. Ho sofferto tanto per questa esperienza. Ho fiducia in loro, penso che siano persone intelligenti che valutino i fatti. Ho fiducia nei fatti. Ho fiducia in un verdetto giusto e aspetto. Io sono innocente, Ho già detto in aula tutto quello che sapevo, quello che immaginavo potesse essere utile per trovare l'assassino di Meredith. Non so niente di più. Ho soltanto sofferto e vorrei tanto che tutto questo finalmente finisse».
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