COSA METTI NEL MIO BICCHIERE? UNA BLOGGER AMERICANA VINCE LA SUA BATTAGLIA PER LA TRASPARENZA ALIMENTARE E COSTRINGE BUDWEISER E BUD LIGHT A SVELARE LA RICETTA DELLE LORO BIRRE
Guido Olimpio per il “Corriere della Sera”
Vani in hindu significa «voce». E Vani Hari la sua voce la fa sentire. Eccome. Determinata, combattiva, con una grande seguito e qualche critico, ha costretto alcuni giganti del cibo a svelare i loro segreti. «Voglio sapere cosa mettete nei vostri prodotti», ha intimato e alla fine ha portato a casa la lista. L’ultima sfida alla società Anheuser-Busch, la fabbrica delle celebri birre Budweiser e Bud Light.
Nata 34 anni fa in Nord Carolina, Vani faceva la consulente ed era costretta a continui viaggi. Spostamenti, pranzi veloci, spuntini, snack. Insomma, una vita di corsa come tanti. Piccoli e grandi problemi. Di lavoro e fisici. Compresa un’appendicite. Che — sostiene — l’ha spinta a lanciare la prima delle sue campagne. Ad aiutarla il carattere e la capacità di dibattere, una tecnica studiata al liceo. Un’arma in più nel duello con i colossi alimentari. Quando entra in un negozio e acquista un prodotto, Vani controlla subito l’etichetta degli ingredienti. Non si accontenta di leggerli, desidera sapere e scoprire.
Una «rompiscatole» che indaga aiutata da molti sostenitori e dai lettori del suo blog molto popolare, «Food Babe». In questo modo è arrivata a scoprire la ricetta delle due birre. Non appena ha lanciato la campagna ha subito raccolto 44 mila firma, poi molto sostegno. E alla fine l’AB ha accettato. La ditta ha fornito l’elenco di ingredienti. Scontati: acqua, malto, riso, luppolo.
«Non siamo obbligati a farlo — ha dichiarato un dirigente —. Ma abbiamo voluto svelarli per andare incontro alle attese di Vani e del pubblico». Poi hanno rivolto un invito a Vani: «Venga pure a visitare i nostri impianti, così si renderà conto di persona di quanto avviene». Magari si porterà dietro il marito. A sentire lei è un patito della Budweiser e dunque ci sarebbe anche un interesse personale: «Per questo ho chiesto la composizione della loro birra».
Forte della vittoria, Hari ha girato la stessa richiesta al gruppo MillerCoors, concorrente dell’AB e non meno famoso. Per ora, la società non ha replicato. Ma forse lo farà, malgrado non ci sia nulla ad imporlo. Però è difficile tenere testa alla guerriera del cibo. Ne sanno qualcosa alcuni marchi noti, finiti nel mirino. Bar che vendono caffè, bibitoni incredibili e beveroni. Una catena di fast food che serve cibo messicano e ha sfondato sul mercato statunitense.
Un’altra che ha come specialità il pollo in tutte le sue varianti. E quindi una società che commercializza i «macaroni cheese», pasta e formaggio in scatola.
Insieme alla battaglia «su quello che c’è dentro quel panino», Vani Hari si è fatta portavoce del mangiar sano. Un tema cruciale in un paese come gli Stati Uniti, dove l’obesità è un problema che coinvolge sempre di più i minori. Questione centrale in molti interventi della first lady, Michelle Obama, instancabile nel predicare una buona alimentazione e protagonista di recente di un furioso scontro con il Congresso su cosa propinano le mense scolastiche agli studenti. Anche se in America come altrove gli economisti devono fare i conti con le ristrettezze del bilancio.
Polemiche non sono mancate neppure su Hari. Qualche specialista ha messo in dubbio le sue conoscenze scientifiche e mediche: «Come può esprimere pareri senza avere le basi necessarie?». Replica della paladina: «Non mi serve una laurea che provi la mia onestà intellettuale, ho fatto ricerche per anni. E poi sono più giornalista che nutrizionista». Facile comprendere che non tutti siano soddisfatti della sua spiegazione.
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Vani ha incassato i colpi ed è andata avanti come un treno. Infilandosi ovunque ci fosse un’opportunità. All’ultima convention del partito democratico è spuntata con una provocazione. Ha innalzato un cartello sul cibo «modificato» nel bel mezzo del discorso del segretario all’Agricoltura, Tom Vilsack. «Il cibo è come una medicina. Se è cattivo ci ammaliamo», è uno degli slogan di Vani. Che aggiunge: «Paghi il contadino o paghi l’ospedale». Una scelta sulla quale è facile trovarsi d’accordo.