RINASCITA O FUNERALE? LA CONCORDIA È LA NAVE DELLE METAFORE, MA SOLO UNA COSA È CERTA: CHE SIAMO AFFONDATI

1. DEI RELITTI E DELLE PENE
Marcello Veneziani per "Il Giornale"

Di prima mattina seguivo ieri dal¬la sp¬onda opposta le prime ope¬razioni di recupero della Concordia. C'era uno splendido arcobaleno sul mare, sembrava un'impresa benedet¬ta dal cielo: in hoc signo vinces. Il San¬to Protettore Civile, Franco Gabrielli, si sentiva investito come Costantino dell'appoggio divino e si mostrava trionfale ai microfoni.

C'è voluto un anno e mezzo per quella rotazione che riporta a galla la nave. Un segno di ripresa del Paese, narrano commossi i tg, la metafora di una rinascita che cancella la brutta associazione d'idee che fu fatta nel mondo tra l'Italia che affonda e il naufragio della Concor¬dia. Finalmente cancellata l'era schet¬tina di Mari&Monti. Confortante.

Però vorrei ricordare che anche sul piano simbolico non si tratta di un'opera di fondazione, non sta na¬scendo né sta tornando in vita qualco¬sa. Stanno solo trasferendo un ciclopi¬co cadavere in obitorio. Certo,non c'è paragone tra la rottamazione della Grande Nave e la rottamazione del Piccolo Matteo (pertinente invece l'auto-paragone di Renzi col mago Otelma, lui sarebbe il gradino prece¬dente).

Ma qui stiamo parlando di smantellamento e magari di donazio¬ne degli organi navali. È possibile che l'orgoglio d'Italia sia affidato a un relit¬to e a una gigante¬sca impresa di pom-pe funebri per sistemare e trasferire la carcassa in un cimitero adeguato? Il massimo a cui può aspirare il Paese è la composizione e la manutenzione di un cadavere? L'Italia dei relitti e del¬le pene. Restiamo a Letta perché non riusciamo a stare in piedi.


2. IL REALITY DELLA FERITA DELLA COSTA CONCORDIA
Aldo Grasso per "Corriere.it"

La lunga diretta no stop dedicata al recupero del relitto della Costa Concordia passerà alla storia come il più grande reality della nostra tv: un colossal per investimenti (circa 600 milioni), per spettacolarità, per copertura mediatica.

Da ieri mattina, da quando sono iniziate le operazioni, le televisioni di tutto il mondo hanno cominciato a diffondere le immagini dell'isola del Giglio: dirette, live streaming sul web, aggiornamenti e commenti sui social network. Il reality si chiama, tecnicamente, parbuckling (ribaltamento), una tecnica utilizzata in passato soprattutto per recuperare navi da guerra, come la USS Oklahoma. Ma la Costa Concordia è tutt'altra cosa. Ribaltare una «balena d'acciaio» che è lunga 300 metri e pesante 114 mila tonnellate è uno show che non si può perdere.

Eppure, nelle lunghe ore in cui abbiamo seguito l'operazione, non è successo quasi nulla: piccoli spostamenti quasi impercettibili (solo la ruggine e le alghe sono i segnali visibili che qualcosa sta emergendo), interminabili conferenze stampa, interviste prudenti ai responsabili, lezioni di grande sobrietà da parte del capo della Protezione civile, Franco Gabrielli.

Perché allora questo recupero e questi lenti lavori di rotazione suscitano così tanto interesse? Intanto perché la ferita è ancora aperta: sulla nave viaggiavano passeggeri di molte nazioni e le immagini del naufragio hanno avuto un impatto sconvolgente che le ha subito elevate a simbolo: la leggerezza di un comandante, l'imperizia nell'evacuazione, i tanti eroismi di gente sconosciuta, i morti, la drammatica telefonata fra il comandante Francesco Schettino e il capitano Gregorio Maria De Falco della Capitaneria di porto di Livorno, il senso dell'onore perduto in fondo al mare.

Ma quello che ci incolla al video o al computer è quella condizione che Hans Blumberg ha chiamato «Naufragio con spettatore», dove si sviluppa l'antica metafora del naufragio, usata da tutte le letterature per illustrare i rischi dell'esistenza umana nel corso della «navigazione della vita». Abbiamo assistito a un naufragio ma ora (tocchiamo ferro) potrebbe essercene un secondo.

La nostra condizione di spettatori ci permette di avere i piedi ben piantati sulla terraferma e osservare un disastro. Non godiamo delle tribolazioni altrui bensì dal confronto tra la nostra sicurezza e il possibile esito rovinoso dell'evento. E questo si chiama reality. Speriamo, però, che tutto si concluda per il meglio. E questo, per noi, si chiamerà riscatto.

 

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