DERBY D’ORIENTE - DOPO LA “RIVOLUZIONE DEGLI OMBRELLI” HONG KONG E CINA SI SFIDANO ANCORA: COLPA DEL SORTEGGIO PER I MONDIALI 2018 - PER IL REGIME DI PECHINO PERDERE SAREBBE UNO SMACCO POLITICO
Giampaolo Visetti per “la Repubblica”
Per i tifosi non sarà la sfida del secolo. Per tutti gli altri potrebbe diventarlo. Le vie del calcio sono sempre più infinite e, con l’esplodere del business, si rivelano più dirette, e decisive, di quelle della storia. Dall’altra notte poi l’Asia si chiede se possono condurre perfino a una, involontaria, rivoluzione. Scherzi della sorte.
Le urne di Kuala Lumpur, dove si sono decise le qualificazioni ai Mondiali 2018 in Russia, hanno partorito il match che tutti avrebbero preferito evitare: Cina contro Hong Kong, confronto di cartello del gruppo C, andata il 3 settembre nella metropoli finanziaria del Sud, ritorno il 17 novembre in una sede, per prudenza, da definire.
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Sulla carta, stando al campo, non ci sarà partita. La Cina è all’82esimo posto nel ranking Fifa, Hong Kong al 147esimo. Il presidente cinese Xi Jinping sta investendo una fortuna per centrare la fase finale del Mondiale in casa di Vladimir Putin: il “chief executive” di Hong Kong, Leung Chun-ying, ha confessato di non aver mai seguito il football, nemmeno in tivù. Questa volta però la sfida è tutta fuori dallo stadio e promette di essere politicamente esplosiva.
Hong Kong, ex colonia britannica per 156 anni, è stata restituita alla madrepatria Cina l’1 luglio 1997. Margareth Thatcher e Deng Xiaoping concordarono il modello «un Paese, due sistemi», istituendo la Regione amministrativa speciale, destinata a trasformarsi in capitale della finanza e avamposto della democrazia occidentale nel Mar cinese meridionale.
parlamentari pro democrazia protestano ad hong kong
Vent’anni di dorata e maledetta transizione: Hong Kong è Cina a tutti gli effetti, risponde al partito-Stato del comunismo di Pechino, ma fino al 2017 godrà dei diritti che il capitalismo democratico dell’Occidente considera scontati. È grazie a questo privilegio che il gioiello del Sud, allenato dai maestri inglesi, vanta una nazionale distinta da quella cinese, gloriosamente fondata nel 1949, anno della vittoria rivoluzionaria di Mao Zedong. Ed è proprio da questa contrastata storia che adesso cominciano i dolori.
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La clessidra dei compromessi si svuota, l’occidentalizzata Hong Kong sente il fiato del regime di Pechino sul collo, Europa e Usa si svegliano afoni e l’agenda si rivela pericolosamente occupata: sfida per il Mondiale nel 2015, fine del regime speciale nel 2017, finali del Mondiale ed “elezioni- truffa” nel 2018. Il pallone anticipa le bandiere, ma potrebbe bastare un goal per far esplodere le tensioni già scoppiate a fine settembre con la “rivoluzione degli ombrelli” pro-democrazia, repressa in dicembre.
Paradossi da Guerra Fredda: cosa accadrebbe se a Hong Kong riuscisse il miracolo di eliminare la Cina dai Mondiali? E cosa succederà se entrambe si qualificassero, ritrovandosi in Russia fra tre anni, quando nemmeno i “due sistemi” esisteranno più e la metropoli non sarà che una tra le tante nella seconda economia del pianeta? Come si comporteranno sugli spalti hongkonghesi e cinesi, già divisi da rancori che non affondano soltanto in autoritarismo e democrazia, o in capitalismo ed economia di Stato?
A Kuala Lumpur la malizia della sorte si è rivelata subito, fermandosi poi a un passo dall’abisso. Nel gruppo C Hong Kong è uscita per prima, la Cina per ultima. Evitato però il disastro di una sfida a tre anche con Taiwan, Paese che Pechino continua a non riconoscere. Scongiurato per un soffio anche il match fratricida tra Nord e Sud Corea, sempre sul filo della guerra, finite nel gruppo H e G. E se la Cina superasse l’esame contro l’ex colonia, sulla strada verso Mosca potrebbe imbattersi nel Giappone, avversario contro cui da due anni combatte per gli arcipelaghi contesi nel Pacifico.
Da brivido i precedenti: nel 1985, quando a Hong Kong regnava Elisabetta II, la colonia sconfisse 2-1 i compagni rossi, escludendoli dalla Coppa d’Asia. Vendetta di Pechino nel 2004: 7 a 0 e peggior umiliazione di quelli che nel frattempo s’erano scoperti connazionali.
Imparagonabile il presente.
Archiviato il trionfo delle Olimpiadi 2008, la Cina punta a diventare una super-potenza anche nel calcio. Xi Jinping vuole un’edizione dei Mondiali e pretende presto di vincerli. Ordina che il football sia eletto a sport nazionale, diventi obbligatorio nelle scuole e che i nuovi miliardari rossi acquistino l’industria globale del pallone: diritti tivù, stadi, sponsor e squadre storiche, dall’Atletico Madrid al Milan di Berlusconi. In palio, leadership, egemonia e affari del secolo: a meno che a Hong Kong non riesca, rincorrendo la sfera, lo sgambetto del millennio.
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