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ECCO CHI È GERMANA CHIODI, LA SEGRETARIA-ASSISTENTE A CUI BERNARDO CAPROTTI HA DEDICATO UN CAPITOLO NEL TESTAMENTO E A CUI HA DESTINATO LA METÀ DEI SUOI RISPARMI - RISERVATA, DI POCHE PAROLE, LA SIGNORA CHIODI È ENTRATA IN ESSELUNGA NEL 1968, QUANDO NON AVEVA ANCORA VENT'ANNI. SI SONO DATI DEL “LEI” PER MEZZO SECOLO, ALMENO IN PUBBLICO
1 - IL FUNERALE IN PUNTA DI PIEDI «COSÌ NON DISTURBO NESSUNO»
Daniele Manca per il “Corriere della Sera”
«Per le mie esequie dispongo quanto segue: ...1) spero di morire in questa casa... 2) Il Santuario di San Giuseppe mi attende; è a 300 metri... 3) il mattino, il più presto possibile, onde non disturbare il prossimo...». Sembra di sentirlo parlare con quell' inflessione lombarda «da brianzolo» come teneva a precisare, quando doveva far capire la natura del suo pensiero, l' origine del suo pensiero.
Eccolo Bernardo Caprotti. «Mi sono sempre sentito figlio e cittadino della Brianza, di quel particolare territorio che sta fra Monza e il Lago di Como, nel quale i miei vecchi per lunghi anni hanno tessuto e filato "cottoni": così, nella corrispondenza di 150 anni fa, loro chiamavano il cotone, giacché nell' industrializzazione l'inglese cotton venne a sostituire l' italiano bambagia», racconta nel suo libro «Falce e Carrello».
Lui in quella bambagia poteva dire di esserci nato. Ma il suo posto se l' era conquistato, come ricorda ancora nel testamento. «Ho lavorato duramente. Ho sofferto l' improvvisa tragica scomparsa di mio padre (avevo 26 anni ed avevo lavorato con lui solo 6 mesi)». E a 26 anni si ritrova a dover mandare avanti l' azienda tessile di famiglia. È lì che inizierà a sentirsi un imprenditore di quelli che ama perché «amano quello che fanno... I Piero Antinori, i Frescobaldi, famiglie antiche».
Un po' meno ama «i finanzieri...» o comunque chi vuole stare sul palcoscenico «capisco chi si compra uno yacht di 16 metri... ma suvvia perché acquistarne uno di 100?», dirà in uno dei rari incontri pubblici. Caprotti se ne sta volentieri tra le mura dei suoi supermercati. Tra le due o poco più persone che non siano stretti collaboratori o familiari, e che nomina nelle sue ultime volontà, c' è Giuseppe Tornatore. Un regista, il regista Oscar con il film «Nuovo Cinema Paradiso».
Quello che confeziona un cortometraggio, più che uno spot, sulla Esselunga che ruota attorno alla data del 7 ottobre (data di nascita di Caprotti) usata come espediente narrativo per raccontare un' azienda di famiglia e per la famiglia. E dove l' imprenditore appare nei panni di un panettiere del supermercato. Non del «droghiere» che era la figura che spesso usava, con un pizzico di civetteria, per definirsi. È grazie a quella pellicola che l' azienda diventa più «attrattiva». Ma «a rischio. È troppo pesante condurla, pesantissimo "possederla", questo Paese cattolico non tollera il successo».
Così scriverà il Caprotti «cattolico, educato dai gesuiti, ma laico, cristiano e fiero di essere cattolico», racconterà in un incontro pubblico con Maurizio Lupi. Al quale, all' epoca di Forza Italia, era il 2010, vorrà precisare sorridendo «sono contento di essere qui, ma guardi io sono stato leghista. A pranzo con Umberto Bossi ci sono andato una, due, tre, quattro, tante volte, e sono fiero di quella dedica che mi ha fatto e che conservo: a Bernardo con affetto». Dei leghisti apprezza la natura liberale, nel senso dei liberali di una volta, quelli di Malagodi «che una volta ho pure votato», dirà ancora. La schiena diritta, la rettitudine morale, la meritocrazia . Quella meritocrazia che racconterà agli alunni del Leone XIII di Milano.
«Dovete fare quello che vi piace. Ma questo significherà anche studiare. Al liceo io mi sono ritrovato a fare la parafrasi dell' intera Gerusalemme liberata . A metterla in prosa». Il sacrificarsi per se stesso e per gli altri. Un'etica che gli trasmise il padre, ragazzo del '99, di educazione tedesca, ma anche l' intera famiglia. Quella famiglia che, nel suo caso, si ritrova ad essere divisa. «Non sono stato molto premiato per quanto ho fatto, o ho cercato di fare, a favore di Giuseppe e Violetta, svantaggiati dalla legge italiana rispetto ad una Marina con madre».
Si legge nel testamento. La sua scelta di concentrare la maggioranza della società nella mani della seconda moglie e di sua figlia è una decisione che mira a dare tranquillità soprattutto alle decine di migliaia di dipendenti. E fatta «auspicando che non ci siano ulteriori contrasti e pretese. Che ognuno possa starsene in pace nei propri ambiti».
Traspare l' amarezza per quelle divisioni. È forse il cruccio di una vita. Scriverà nel testamento, parlando di ciò che lasciava al figlio Giuseppe, tra l' altro, «l' intero archivio di famiglia... Il corpo di tutto quanto sopra costituisce il centro delle nostre origini, la nostra tradizione di generazioni. Questo ho tramandato a mio figlio Giuseppe, in questo conto ho tenuto questo mio figlio». Ecco i due volti di Caprotti, la famiglia che avrebbe dovuto essere il cuore dell' impresa creata, e l' Esselunga. A essa dedicherà la parte finale delle ultime volontà con quel grido «mai alle Coop».
bernardo violetta e giuseppe e caprotti
Verrà ricordato per questa battaglia con le cooperative. Una battaglia però anche qui, condotta perché riteneva si muovessero in modo opaco, poco trasparente. Altro che politica. Riteneva che lo Stato, la burocrazia, spesso si adoperasse per rallentare l' azione delle imprese. Quando parlava di Roma diceva: «Ogni volta che vado vedo che crescono palazzi. Ma cosa produce Roma? Timbri e permessi». La competizione, la concorrenza, e ancora la meritocrazia, erano il suo faro.
Lo scontro con i sindacati c' è stato ed è stato durissimo quando, invece di difendere i diritti, impedivano alla azienda di crescere o peggio la immobilizzavano. I suoi dipendenti e quello che qualcuno chiama paternalismo.
ESSELUNGA CHIUSE PER LUTTO DOPO LA MORTE DI CAPROTTI
Nelle battute di caccia con Giannino Marzotto ricordava che cosa era stato a Valdagno, allora sede dell' omonima industria tessile leader in Italia, lo scontro sindacale. Ma anche quelle lacrime che improvvise sgorgano a Brescia, un paio d' anni fa, quando su un palco per raccontare la sua storia, ricorda una lettera appena ricevuta da una dipendente in difficoltà perché non poteva pagarsi le cure mediche. «Noi ricchi che andiamo negli ospedali nei reparti dei cosiddetti solventi, non dobbiamo dimenticare chi non può, se non hai soldi come fai a curarti?», dirà.
L' individuo come motore della società, dell' economia. La libertà. Un valore che lo guidava. A chi gli chiedeva un parere sul fascismo, la prima cosa che sottolineava era la mancanza di libertà che è una delle cose decisive per una comunità sana. Immediato gli veniva il paragone con le sue vicende. «Ho attaccato le Coop, ho potuto farlo perché c' è libertà. E non ho avuto ritorsioni», ammetterà.
Le parole erano importanti. La parola data ancor di più. La generosità necessaria, le donazioni in misura importante al Vidas e al museo per la Shoah. L' irritazione per chi non capiva. Quell'«esperienza negativa» con la Pinacoteca Ambrosiana ricordata nel testamento di un uomo che non ha mai amato nascondersi dietro le parole.
2 - GERMANA, LA DONNA AL CENTRO DELL' AZIENDA CHE HA AVUTO METÀ DEI SOLDI DEL PATRON
Daniela Polizzi per il “Corriere della Sera”
A lei «voglio esprimere la mia immensa gratitudine per lo straordinario aiuto che mi ha prestato nel corso degli anni». Chi è Germana Chiodi, la segretaria-assistente a cui Bernardo Caprotti ha dedicato un capitolo nel testamento e a cui ha destinato la metà dei suoi risparmi? Riservata, di poche parole, ma incisiva e acuta, la signora Chiodi è entrata in Esselunga nel 1968, quando non aveva ancora vent' anni. Si sono dati del «lei» per mezzo secolo, almeno in pubblico. Germana Chiodi è diventata la memoria storica del gruppo e della stessa famiglia.
L' azienda si chiamava allora Supermarkets Italiani, aveva una ventina di dipendenti. Da poco tempo l' imprenditore milanese ne aveva preso le redini come amministratore delegato, dopo una fase di gestione affidata ai soci del gruppo Rockfeller che non aveva dato i risultati sperati. Erano anni impegnativi ma anche pieni di entusiasmo, quelli della campagna pubblicitaria delle «Mille lire lunghe».
Germana Chiodi ha fatto parte della storia di Esselunga fino a diventare dirigente a capo della squadra che compone la segreteria del gruppo, che in Esselunga è uno dei centri chiave del sistema. Consigliere molto ascoltato di Caprotti, condivideva le scelte che abbracciavano tutti gli aspetti aziendali e strategici. Faceva da collegamento con la famiglia, la moglie Giuliana Albera e la figlia Marina Sylvia. Un ruolo rafforzatosi negli ultimi tempi, durante la malattia di Caprotti.
Naturale così che l' inventore della distribuzione moderna in Italia l' abbia inclusa, e ricordata con gratitudine, nel testamento, mettendola tra i membri della sua famiglia di cui la sua assistente ha seguito tutte le vicende, anche le più travagliate. Come spiega lo stesso Caprotti: «Germana custodisce il ricchissimo archivio che narra anche le molte dolorose vicende familiari oltre che aziendali». È chiaro il riferimento ai rapporti burrascosi con i figli Giuseppe e Violetta a cui in passato aveva affidato la gestione di Esselunga. E le parole sono forse anche un segnale e un invito lanciato ai suoi eredi di non ingaggiare altre nocive battaglie giudiziarie. Anche in vista di una futura vendita, attraverso «una collocazione internazionale».
CAPROTTI all esselunga di APRILIA
La somma che verrà destinata alla sua assistente fidata (cui il patron aveva già donato 10 milioni tre anni fa) sarà definita più avanti, quando sarà stato completato il punto su titoli e conti correnti del patron. Nel testamento, all' interno della cerchia ristrettissima di persone care, Caprotti ha incluso anche Cesare Redaelli.
Vale a dire il professionista che per mezzo secolo si è occupato della sua contabilità, in azienda e in famiglia. «Con tanto affetto mi ha seguito negli anni, anche nelle mie cose personali». A lui ha lasciato la somma di 2 milioni di euro. Oltre a Redaelli e Chiodi, alla quale Caprotti ha destinato anche «due dipinti di fiori di Mario Nuzzi», Caprotti non può fare a meno di ricordare, questa volta con dispetto, anche monsignor Franco Bruzzi, prefetto dell' Ambrosiana, che aveva espresso «dileggio» per il suo dipinto di scuola leonardesca che l' imprenditore voleva donare alla pinacoteca di Milano.
GIULIANA ALBERA CON IL MARITO BERNARDO CAPROTTI E LA FIGLIA MARINA SYLVIA