MA DUBAI SE LA LATITANZA NON CE L’HAI – CON LA RATIFICA DEL TRATTATO DI ESTRADIZIONE TRA L’ITALIA E GLI EMIRATI ARABI È FINITA LA PACCHIA PER MAFIOSI E CRIMINALI ECONOMICI DA TULLIANI E MATACENA, PASSANDO PER L’EX AD DI EUTELIA SAMUELE LANDI E VARI CAMORRISTI: ECCO GLI ITALIANI CHE RISCHIANO DI DOVER RIENTRARE IN PATRIA E FARE I CONTI CON LA GIUSTIZIA – LE ALTERNATIVE CI SONO, MA NON SONO SICURE
1 – VACANZA FINITA PER I LATITANTI ITALIANI A DUBAI
Fabio Amendolara per “la Verità”
Il grand hotel Dubai chiude. Le vacanze nel Golfo Persico degli italiani latitanti lì da anni sono finite: è prevista per oggi, salvo colpi di scena, la ratifica del trattato di estradizione tra Italia ed Emirati Arabi firmato nel 2015.
Superato il passaggio normativo legato alla pena di morte (negli Emirati Arabi è prevista dalla legislazione) che ne impediva la completa approvazione da parte italiana, si va alla ratifica in Parlamento. Una pessima notizia per chi, criminale economico o padrino della mala, aveva scelto quel Paese perché si sentiva al sicuro.
GIANCARLO TULLIANI A DUBAI DA CHI
Potrebbero essere guai seri, ad esempio, per il potente armatore siciliano ed ex parlamentare Amedeo Matacena, condannato in via definitiva a tre anni per concorso esterno in associazione mafiosa e dal 2014 ricercato con un mandato di cattura internazionale per un' inchiesta su un trasferimento fraudolento di beni che vede tra gli indagati anche l' ex ministro Claudio Scajola.
L' altro big a cui potrebbero tremare le gambe è il cognato dell' ex presidente della Camera Gianfranco Fini: Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta, a Dubai già ci viveva prima che il gip di Roma Simonetta D' Alessandro disponesse per lui la privazione della libertà personale con l' accusa di aver riciclato i soldi del re del gioco d' azzardo legalizzato Francesco Corallo.
Tulliani, nel mese di marzo dello scorso anno, al termine di inutili ricerche, è stato dichiarato latitante. Il 4 novembre, dopo essere stato inseguito da una troupe di giornalisti di La7, si rivolse alla polizia per protestare. Fu in quell' occasione che scoprì l' esistenza di un mandato di cattura internazionale che pendeva sulla sua testa e che ora potrebbe riportarlo in Italia.
GIANCARLO ELISABETTA TULLIANI - LABOCCETTA - GIANFRANCO FINI
Dubai è la meta scelta, sin dal 2010, anche dal famigerato manager in bancarotta Samuele Landi, ex amministratore delegato di Eutelia, il quale porta sulle spalle due condanne che sommate fanno un totale di 15 anni di detenzione. Negli Emirati ha ripreso a fare affari e ha avviato un' azienda che sta sperimentando sistemi di telecomunicazione non intercettabili.
Stessa spiaggia e stesso mare per Andrea Nucera, costruttore fallito, ricercato per la bancarotta fraudolenta nata dal crac della società Geo, dopo la lottizzazione abusiva della zona diventata il più grande cantiere edile del Ponente ligure. Nucera, che nel suo esilio arabo si è portato dietro la nonnina ultranovantenne, ha avviato nuove attività imprenditoriali, aprendo ristoranti e negozi.
Anche Claudio Cirinnà, fratello della Signora delle unioni civili, fu cercato dai carabinieri inutilmente a Dubai, meta scelta per sottrarsi a un' indagine su una brutta faccenda legata a un traffico illecito di carburante tra l' Italia e la Repubblica Ceca.
Nelle intercettazioni lo definivano «il matematico» e, infatti, con precisione matematica, sparì proprio il giorno delle perquisizioni.
Da anni si godono una insolente vacanza nel Golfo Persico due capibastone della camorra: Tano Schettino, considerato dalla Procura antimafia napoletana il broker della droga del clan degli scissionisti di Scampia (nel 2016 fu arrestato e liberato a Dubai nel giro di 40 giorni) e il suo socio in affari Raffaele Imperiale, al secolo Lelluccio Ferrarelle, perché passò con successo dalla distribuzione delle acque minerali alla grande distribuzione della cocaina.
Anche Imperiale ha scelto Dubai, dove vive spendendo ogni mese 400.000 euro, almeno secondo le stime tracciate fino al 2016, anno dell' inchiesta che ha disposto il suo arresto.
A Dubai c' è anche Mazinga, nomignolo usato da Massimiliano Alfano, giovane salernitano, romano d' adozione, che ordinò la gambizzazione di un' estetista sessantenne nel quartiere Ardeatino. Si era trasferito sul Golfo già prima dell' arresto anche Anton Giulio Alberico Cetti Serbelloni, rampollo di una famiglia nobile di Milano che nell' albero genealogico vanta anche un papa, Pio IV, e che ha costruito un impero nel campo immobiliare e dell' arte.
GIANCARLO TULLIANI E FRANCESCA A DUBAI
È finito a Dubai per un' evasione fiscale da un miliardo di euro. In Italia è atteso per un ordine di esecuzione per l' espiazione di una pena residua di poco più di otto anni di reclusione.
L' ultimo nome della lista è quello dell' imprenditore piacentino Luigi Provini, ricercato con l' accusa di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio per un giro di frodi fiscali nel quale sarebbero finite anche le sponsorizzazioni di team e piloti di Formula uno e rally.
E ora che il trattato è quasi legge per loro potrebbe essere in preparazione un biglietto di sola andata per l' Italia. Potrebbe. Perché non è detto che l' estradizione sia automatica: la magistratura valuterà gli incartamenti giudiziari, ma è al governo emirato che spetterà comunque l' ultima parola.
2 – LE METE PREFERITE DAI BANDITI IN FUGA MA UN PORTO SICURO PER LORO NON C' È
Alessandro Da Rold per “la Verità”
È un duro colpo per la criminalità perdere Dubai come città ideale per la propria latitanza. Da anni nell' avamposto degli Emirati Arabi Uniti non si rifugiavano solo gli italiani rincorsi da mandati di cattura internazionali, ma anche inglesi o francesi che avevano trovato nell' emirato il posto ideale dove potersi dare alla macchia.
Del resto al giorno d' oggi non è facile trovare un Paese dove scappare e trovare rifugio per evitare le patrie galere. Lo sanno bene gli avvocati di diversi criminali che hanno imparato a diffidare dei consigli che i loro clienti ricevono per ottenere ospitalità.
L' estradizione e i mandati di cattura sono regolati da trattati internazionali che vengono stipulati dai singoli Paesi. Ma spesso e volentieri c' è chi ribalta le carte in tavola, contrattando altri favori politici oppure anche commesse con importanti aziende di Stato.
L' Italia, regno di mafia, 'ndrangheta e camorra, non ha al momento stipulato trattati di estradizione con l' Angola, l' Arabia Saudita, l' isola di Aruba, il Barhain, le Barbados, il Belize, le Bermuda, la Bierlorussia, il Botswana, il Bhutan, la Costa d' Avorio, la Dominica, l' Etiopia, le isole Fiji, le Filippine, il Gibuti, la Guinea Bissau, Capo Verde, la Guinea Equatoriale, Haiti, l' Indonesia, la Liberia, la Libia, la Malesia, la Mongolia, il Myanmar, la Namibia, il Mozambico, la Papua Nuova Guinea, la Repubblica Democratica del Congo, lo Swaziland, l' Uganda, lo Yemen, lo Zimbabwe e il Turkmenistan.
Sono posti «sicuri»? A detta di alcuni legali contatti dalla Verità che vogliono mantenere l' anonimato, non troppo. Proprio perché spesso l' estradizione di un latitante può rientrare in un gioco politico interno al Paese che lo richiede, innescando così estradizioni lampo o mandati di arresto, oppure al contrario, fermando le procedure di espatrio.
Per di più spesso i ricercati italiani all' estero fanno valere in giudizio la situazione malandata delle nostre carceri o anche il carcere duro del 41 bis, che spesso nel mondo non viene riconosciuto. Nel 2016 ci fu il caso di Stefano Marchi, considerato uno dei 100 più pericolosi latitanti italiani, trafficante internazionale di cocaina, scappato nel 2011 sull' isola di Capo Verde perché condannato a 20 anni di reclusione.
La Procura di Genova riuscì a farlo arrestare solo nel 2014, ma non è mai riuscita a estradarlo.
Tra i latitanti italiani più pericolosi, oltre a Mattia Messina Denaro, considerato l' ultimo capo della mafia, c' è Marco Di Lauro, un camorrista figlio di Paolo detto Ciruzzo o' milionario, protagonista delle faide di Scampia.
È in fuga da 13 anni, c' è chi sostiene di averlo visto negli Emirati Arabi, ma l' Interpol e la mitica sezione Catturandi dei carabinieri, gli investigatori che inseguono i «fantasmi», continuano a cercarlo.
Certo, c' è poi chi dice che possa essere ancora in Italia, ma sui super latitanti le voci sono incontrollate: lo stesso Messina Denaro è stato più volte accostato a tantissimi Paesi tra cui la stessa Capo Verde.
Una delle latitanze più lunghe che si ricordino è stata quella di Vito Roberto Palazzolo, considerato dai magistrati palermitani il cassiere di Totò Riina, braccato solamente nel 2012 in Thailandia, dopo una vita dorata in Sudafrica.
Ora Palazzolo si trova nel carcere di Opera, ma quando scappò all' inizio degli anni Novanta, ricercato dalle polizie di mezzo mondo, tra cui l' Fbi americana e persino quella svizzera, spesso faceva avanti e indietro tra Cape Town e lo Swaziland, territorio più sicuro.
In quel caso le autorità sudafricane hanno protetto Palazzolo dalle richieste di estradizione in Italia, anche perché lui aveva costruito intorno a sé una forte rete politica che gli permetteva di restare al sicuro. Solo un avventato viaggio a Bangkok permise ai magistrati di Palermo di braccarlo e assicurarlo alla giustizia. Insomma, c' è chi può permettersi la latitanza e chi no.