base jumping

IL SALTO DEL TRAPASSO - IN 35 ANNI SONO MORTI 311 RAGAZZI COL BASE JUMPING, QUEST'ANNO GIA' 37 SCHIANTI - L’ULTIMA FOLLIA E’ LANCIARSI DAL BRENTO, SULLE DOLOMITI TRENTINE: MILLE METRI IN 10 SECONDI PRIMA CHE SI APRA IL PARACADUTE - MAURIZIO DI PALMA, FAMOSO PER IL SUO SALTO DAL DUOMO DI MILANO: “SENZA SOCIAL, IL 90% DI NOI FAREBBE ALTRO” (VIDEO)

 

Giampaolo Visetti per “la Repubblica”

 

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Un passo in più nel vuoto, non un rumore sul Becco dell’Aquila. Ancora dieci secondi di silenzio assoluto, mentre l’ombra si mangia l’ultimo raggio di sole del Garda: poi uno schiocco lontano e il paracadute si apre mille metri più in basso, in fondo alla parete più strapiombante d’Europa. Il base jumping è semplice: un salto in là dentro l’aria.

 

Ma volare via liberi da un luogo fisso è difficile e per l’uomo che indossa una tuta con le ali ha ragioni e conseguenze più vaste. Gli psicologi lo sintetizzano così: provare a se stessi di non aver paura di morire aiuta a continuare a vivere. Per i neuroscienziati l’ormone dell’adrenalina, simile a una droga, allevia il dolore. Quale?

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Il più diffuso: affrontare la realtà. Per la prima volta la voglia di essere liberi e il bisogno di calmare il male quotidiano si abbracciano in un gesto puro, bellissimo, agghiacciante ed estremo, che non impone un fisico perfetto, o una meta al limite. Ci si può gettare da palazzi, antenne, ponti e rocce: una città vale un oceano, un grattacielo sostituisce una montagna, chiunque si scopre fuoriclasse.

 

Anche per quella che si considera la regina delle discipline-limite, la realtà comincia però a diventare inaccettabile. In 35 anni i morti sono 311. Oltre la metà si è schiantata dopo il 2009. L’anno nero è questo, il 2016: 37 ragazzi uccisi in un’estate, una strage, 15 solo in agosto. L’ultimo il 9 ottobre, un canadese.

 

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Tutti hanno un dettaglio in comune: sono morti in diretta, filmandosi con una mini telecamera, o con il cellulare. «Senza social — dice Maurizio Di Palma, 37 anni di Pavia trapiantato a Dro, uno dei base jumper più forti del mondo, famoso per il salto di due anni fa dal Duomo di Milano — il 90% di noi farebbe altro. Ma la società più esibizionista della storia non può puntare il dito contro l’egocentrismo di chi, quantomeno, conserva il coraggio di lasciarsi precipitare davvero».

 

Località Gaggiolo, in Trentino, oltre un chilometro sotto uno degli “exit” più spettacolari del pianeta, quasi diecimila salti all’anno: il punto è che nessuno, tra chi indossa una tuta alare e chi ripiega il paracadute, non controlla prima di tutto che la GoPro sia già sulla modalità “automatico”. Va in scena lo spettacolo del mito di Icaro nell’era del web. È un altro debutto sociale: la specie umana sviluppa un’attività non umana grazie alla prevalenza della realtà virtuale su quella fisica.

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«Al mondo ci sono tremila base jumper — dice Cristian Benedini, aero-fotografo e cineoperatore — in Italia meno di sessanta. Eppure su YouTube e su Facebook il video di un volo raccoglie milioni di like. Pochi lo fanno, molti criticano, una massa incontenibile si limita a guardarci in Rete». È uno shock che imbarazza perfino i politici, fino ad oggi incapaci di fissare le regole dello sport estremo più di moda tra i giovani. Le immagini più condivise del 2016 sono quelle che ha girato il meranese Armin Schmieder, pochi istanti prima di sfracellarsi vicino a Berna.

 

Sotto accusa tutti e nessuno: gli sponsor che ingaggiano chi rischia di più, i web-inserzionisti che linkano gli spot ai video di chi ha ripreso in diretta la propria morte, i materiali sempre più spinti, le società di eventi che si contendono i saltatori più folli, i sindaci che chiudono gli occhi per non perdere il turismo di tendenza, i base jumper che cominciano a schiantarsi contro le case e per la strada.

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«Nove morti su dieci — dice Maurizio di Palma — sono vittime della forma più estrema di volo con la tuta alare. La comunità del web esige emozioni sempre più forti: è tempo di riportare il limite sotto controllo». Il suo nome è Proximity: picchiata radente, seguendo il contorno di una montagna, o nella variante Terrain, sfiorando gli ostacoli. La distanza fatale è ridotta a meno di cinque metri, in qualche caso a due, mentre l' uomo precipita a 250 chilometri all'ora.

 

Chi risale le pareti arrampicando, ma pure gli sciatori estremi, parlano di «istigazione al suicidio a fini di lucro». Nessuna attività conta una percentuale di vittime tanto alta, nell' assenza totale di regole e di codici di autocontrollo. Per chi ama saltare e volare i filtri sono invece sufficienti.

 

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«Devi essere maggiorenne - dice Luca Tondelli, modenese, campione mondiale di volo a testa in giù - aver fatto almeno duecento lanci da un aereo con il paracadute, aver frequentato un corso specifico ed esserti buttato prima da un ponte. Anni di addestramento e di passione: l' emergenza non è il base jumping, ma l' irresponsabilità di certi praticanti verso un' azione che non perdona l' errore».

 

Dal Brento a Chamonix, dall' Eiger a Verbier, sulle Alpi la verità è che gli uomini volanti ormai sono un fenomeno inarrestabile. Grazie a internet, investendo meno di 5mila euro, chiunque può acquistare tuta e paracadute, scovare un "oggetto" non ancora "bruciato", raggiungerlo in pochi minuti e buttarsi di sotto condividendo il selfie in diretta.

 

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A Dro per il sogno di lanciarsi a beneficio di YouTube bastano 500 euro. Da due anni è possibile fare tandem-base, una picchiata assicurati all' istruttore, unico luogo al mondo dopo il primo aperto da Sean Chuma in Idaho, negli Usa. Tra urla di terrore e pose da modelle, nel weekend si tuffano pensionati e casalinghe, ingegneri nucleari e studentesse.

 

«È un' emozione che in pochi secondi ti cambia per sempre - dice Valentina Tagliapietra, 30 anni, barista della "Parete Zebrata" - . Il salto sconvolge la tua valutazione delle cose, impari a gestire la paura, atterri e già aspetti il prossimo».

 

La società che ha consumato l' ultimo strappo con la natura e che dirotta in una palestra lo sforzo fisico scopre così di aver bisogno degli spazi perduti e della fatica per ritrovare, dopo uno shock, l' idea di un valore personale. «Demonizzare chi salta in - e imporre divieti come negli Usa non risolve il problema di contenere le vittime e garantire la sicurezza nei centri abitati. Dobbiamo capire il significato nuovo del rischio individuale nel tempo delle delusioni collettive e scoprire perché chi finge di non vedere la tragedia delle guerre passa il tempo a guardare i video di chi muore per divertimento».

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La comunità globale dei base jumper, riunita sul Brento in questi giorni d' autunno, nonostante l' anarchica purezza che la ispira una prima risposta tenta di definirla. Il sacrificio che si profila, per scongiurare divieti difficili da far rispettare, è oscurare i filmati di sui social e indurre gli sponsor a non finanziare gli "eroi" che oltrepassano consapevolmente, per soldi o per esibizionismo, il confine con la morte.

 

Censura e proibizionismo, ma un impressionante monito di gruppo c' è già. È la Spoon River web degli uomini con le ali, il cimitero virtuale dei base jumper, chiamato base jumping fatality list. Ognuno può leggere la biografia delle 311 vittime di un salto da Patrick de Gayardon in poi, guardare i loro volti, sapere cosa e come è successo.

 

uli  emanuele uli emanuele

«Ci aiuta a non ripetere gli errori - dice il padre della tuta alare contemporanea, il croato Robert Pecnik - ma pure a concentrarci sul rapporto tra la morte e la bellezza. Deve vincere la bellezza e perdere la vita annulla la possibilità della sua ricerca». A quota 1.544, dietro la parete "Vertigine", una stele espone i dieci comandamenti di chi salta. Consigli paterni, datati e nascosti tra i rami di faggio e di nocciolo. Qui la lista dei caduti non è aggiornata da vent' anni e si ferma a tre. Erano giovani, volevano volare, YouTube non esisteva, nessuno ha fermato quel passo in più oltre il vento. Prima di scoprire che anche nel vuoto, lanciati dentro la bellezza, si sente il dolore.

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