alberi

LA LINGUA SEGRETA DEGLI ALBERI: LA QUERCIA E’ AMICHEVOLE, IL TIGLIO SAGGIO, IL FAGGIO GENEROSO - SVELATI I CODICI DI COMUNICAZIONE: TRA LORO SI MANDANO MESSAGGI DI AMICIZIA, DI ALLARME E DI AMORE - ESISTONO ALBERI LITIGIOSI, LA BETULLA PIÙ DI TUTTI

ALBERIALBERI

Giordano Tedoldi per Libero Quotidiano

 

Di cosa parlano gli alberi? Va bene, forse il termine «parlare» non è esatto, ma di certo gli alberi comunicano tra loro. Le acacie, ad esempio, quando una gazzella o una giraffa si pasce delle sue foglie, se ne accorgono benissimo, e mettono in allarme tutte le acacie vicine, con un gas, l' etilene, emesso dalla prima che è stata addentata. Le altre, captando il segnale, producono una sostanza amara nel fogliame, che fa da repellente per gli erbivori, costretti a proseguire il pasto a 50 o 100 metri di distanza.

 

Ma questi «dialoghi» riguardano molte altre specie arboree, come scrive Peter Wohlleben, ne La saggezza degli alberi (Garzanti, 205 pagg., 16 euro): «Probabilmente la maggior parte delle piante ha un sistema di comunicazione chimica e noi siamo circondati da un mondo vegetale impegnato in una fitta e vivace conversazione».

 

Dunque dobbiamo liberarci della visione che mette piante e alberi all' ultimo gradino delle specie viventi, appena sopra gli oggetti inanimati. Wohlleben, guardaboschi tedesco, è un ambientalista che degli alberi sa tutto, guida escursioni nei boschi e crea foreste che si ispirano a quelle primordiali. Usa cavalli e non macchinari pesanti, che schiacciano il terreno rendendolo impenetrabile all' ossigeno, vitale per le radici degli alberi.

 

ALBERIALBERI

Non fa preferenze tra gli alberi, ma ci informa che i due sovrani sono il faggio e la quercia. Il primo si riconosce dalla bellissima corteccia liscia, come una livrea grigia-argentea. Ed è un re generoso: lascia cadere dai rami le foglie che creano un tappeto assorbito dal terreno, diventando humus per la crescita di altre specie, i suoi vassalli. Le faggete per questo sono dette «madri dei boschi».

 

Questo gigante che, con i suoi 50 metri, supera in altezza anche la quercia, viene frenato nella sua avanzata solo dal nostro intervento: «Se l’uomo non ne avesse bloccato la diffusione con il disboscamento, a quest' ora il faggio, nel suo lento viaggio verso nord, sarebbe arrivato fino alla Svezia meridionale. È infatti in grado di scalzare le altre specie, perché sopporta bene l' ombra e può crescere al di sotto dei concorrenti, fino a spingersi attraverso le loro chiome, superarle e quindi togliere loro la luce con il proprio fogliame».

 

PORTATE RISPETTO

 

La quercia è l' albero eroico, quello più robusto, che accetta senza lamentarsi umidità, aridità, indurimento del terreno e ghiaccio. Lesioni che in altri alberi porterebbero alla marcescenza, vengono risanate grazie alle sostanze curative del durame, cioè la parte legnosa più interna.

 

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Se la quercia è amichevole, e sta bene in compagnia di altre specie, esistono alberi litigiosi, la betulla più di tutti. I suoi rami lunghi e flessuosi sono vere e proprie fruste che, vibrate dal vento, amputano i rami degli altri alberi. A quel punto, dalle ferite, si infiltrano funghi e batteri che, penetrando fino all' interno del tronco, portano i rivali a una lenta morte. Esistono alberi saggi, come il tiglio, che per natura crescono in angolini appartati, ben tollerando l' ombra. E proprio come l' uomo saggio vive più a lungo, il tiglio è l' unico che può vivere fino a mille anni.

 

Se ne incontrate uno, magari anche malridotto - spesso hanno bisogno di puntelli, proprio come i vecchi si appoggiano al bastone - portategli il rispetto dovuto alla sua veneranda età. Forse è sbagliato proiettare negli alberi sentimenti umani, però Wohlleben non si fa scrupolo di parlare anche di amicizia. Come si comportano due alberi che hanno stretto amicizia? «Spingono verso il partner solo teneri ramoscelli, come per sfiorarsi a vicenda, e tengono i rami grossi e la parte più consistente delle fronde dalla parte opposta. Da lontano, i due sembrano un' unica creatura e, in fondo, si appartengono come una vecchia coppia felicemente sposata».

 

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E c' è spazio anche per un atteggiamento di cura, da parte della pianta madre, per i suoi piccoli, che però devono dimostrarsi forti. Nelle foreste vergini - non intaccate dall' intervento dell' uomo - esiste una selezione naturale per cui la madre (l' albero più antico, più alto e dalla chioma più folta) lascia passare la luce in modo che sopravvivano solo gli alberelli più forti. Sembra una crudeltà, ma invece questo dosaggio della luce è necessario a irrobustire i piccoli.

 

Quelli che provano a barare, cercando la luce attraverso rami laterali troppo grandi, alla morte della pianta madre, si troveranno più esposti alle intemperie proprio a causa di quelle goffe propaggini, come una nave che nella tempesta non abbia ammainato le vele. Spezzandosi, questi rami laterali diventano altrettanti focolai di infezione fungina. Gli alberelli disciplinati, che hanno investito nella crescita verticale, diventeranno i nuovi sovrani del bosco.

 

Ci sono poi alberi che piangono, non solo, come le betulle e i salici, per i loro rami spioventi e malinconici, ma perché lacrimano, specie quando sono ferite o attaccate. Sono le conifere, le uniche che hanno la resina, una secrezione che è anche un disinfettante e un cerotto. Se nella corteccia si formano delle crepe, i dotti resiniferi rilasciano la resina che chiude ermeticamente la ferita in pochi secondi. Oppure, se attaccato da un coleottero, appena questo scava la corteccia, il pino o l' abete «piange» resina, che blocca l' intruso in un bozzolo colloso. Quindi se vedete delle conifere bagnate di lacrime, non crucciatevi troppo, hanno solo respinto con successo un' invasione di insetti voraci.

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