"MAMME DISPERATE" - UN SONDAGGIO RIVELA CHE NON TUTTE LE MADRI SONO SODDISFATTE DI AVER FATTO FIGLI. LA SACRALIZZAZIONE DELLA MATERNITÀ FA SEMBRARE LA GRAVIDANZA QUASI UN OBBLIGO PER LE DONNE CHE SPESSO NON HANNO IL TEMPO DI FERMARSI A PENSARE SE È LA SCELTA GIUSTA. COME DISSE ORIANA FALLACI: "ESSERE MAMMA NON È UN MESTIERE, NON È NEMMENO UN DOVERE, MA È SOLO UN DIRITTO TRA TANTI DIRITTI"
MELANIA RIZZOLI per "Libero Quotidiano"
Ci sono molte donne che se potessero tornare indietro, sceglierebbero di non avere figli, perché sono pentite di essere divenute madri.
Uno studio sociologico, compiuto tra il 2008 ed il 2016, ha raccolto le dichiarazioni di decine di donne tra i 26 e i 73 anni, tutte madri e a volte nonne, che hanno rivelato sentimenti contraddittori rispetto alla maternità, e la maggioranza di loro ha risposto con un secco no alle seguenti domande: "Se potesse tornare indietro, sapendo tutto quello che comporta, sarebbe di nuovo madre?". "Dal suo punto di vista essere madre porta dei vantaggi?". "Le gioie della maternità compensano gli svantaggi?".
La ricerca infatti, si è focalizzata sul concetto erroneo che la completezza di una donna si realizzi pienamente con la maternità, e sulla evidenza che la capacità di fare figli non sia affatto il nucleo cruciale della sua esistenza, perché molte di loro non percepiscono più il desiderio di genitorialità dopo aver partorito figli, anzi ne avvertono il pentimento, rimpiangendo la condizione di quando non erano nati.
Queste donne parlano cioè del parto come un momento spartiacque della loro vita, e vivono quello che erano prima con nostalgia e tristezza per la perduta indipendenza, e quello che sono diventate come un ruolo che le imprigiona in una responsabilità per tutta la vita.
Un bambino infatti, non è percepito solo come gioia e felicità, ma come un impegno perenne, una fonte di cambiamento radicale e a volte un ostacolo nella loro vita, che molte mamme ammettono senza mentire.
Coloro che decidono di essere non madri per scelta, ribadiscono sempre di non essere contrarie alla maternità, di non essere contro le mamme o i bambini, e di non accusare nessun pentimento per non aver generato figli, ma di voler continuare a vivere senza impegni gravosi o legami definitivi, affettivi o familiari, che inevitabilmente condizionerebbero il futuro corso della loro vita.
Quello che viene evidenziato nello studio è che per queste donne diventare madri significa prima di tutto iniziare una relazione a due con una persona definita «un salto nel vuoto», poiché da quella unione bilaterale potrebbe nascere un figlio che poi ricorderebbe per sempre quell' individuo che nel frattempo può essere sparito, od essere stato sostituito, e quel bambino può diventare inconsapevolmente il testimone permanente, e forse sgradito, di un ricordo che diventa con lui impossibile da cancellare.
Il pentimento di aver fatto un figlio è tuttora un tabù sociale, ma è un sentimento molto diffuso, da sempre esistito e transculturale, che oggi sta cominciando ad avere voce, e se ne inizia a parlare senza vergogna, sensi di colpa e senza sentirsi madri sbagliate.
Quello delle "mamme pentite" continua tuttavia ad essere uno stigma sociale, qualcosa da nascondere e da non poter confessare, eppure molte donne se potessero tornare indietro non lo rifarebbero, se potessero ripartire sceglierebbero di non diventare mamme, non perché non amano i propri figli, ma perché non sopportano il loro essere madri.
Al contrario però, le donne che per scelta non hanno generato figli, e che godono in pieno della propria libertà dagli obblighi genitoriali, continuano a chiedersi come sarebbe stata la loro vita con pargoli da crescere, con affetti da condividere, e con un sentimento d' amore incondizionato e mai provato.
Quante volte, delineando il profilo di una donna, voi stessi avete aggiunto: «È una che non ha avuto figli», come fosse una premessa riduttiva, un deficit che delinea una persona incompleta sentimentalmente, e come fosse un principio ovvio e condiviso da tutti.
E quante volte avete incoraggiato un' amica ad intraprendere una maternità, mettendo in luce l' esperienza meravigliosa che completa il percorso di una donna, facendole balenare sotto gli occhi lo scorrere rapido delle lancette dell' orologio biologico, ed il futuro pentimento, quasi una profezia di sventura, che in lei insorgerà sicuramente, amaro e persecutorio, allo scadere del tempo utile?
Benché la tecnica moderna permetta da tempo alle donne di scegliere più che mai liberamente se avere figli o meno, l' effettiva decisione di non averli determina ancora una forte stigmatizzazione sociale e una severa colpevolizzazione: «Te ne pentirai», al punto che non è neppure pensabile il contrario, ovvero che una madre si penta di aver avuto dei figli, e manca persino il linguaggio per esprimere questo sentimento, che a molti parrebbe un' aberrazione, una cosa impossibile o addirittura immorale.
Invece questo sentimento è più diffuso di quanto si pensi, e non va affatto confuso in alcun modo con l' amore per i propri figli. Infatti il pentimento e l' amore materno sono due situazioni emozionali fortemente distinte, ed oggi emerge che molte donne si lasciano condurre verso la gravidanza senza soffermarsi a pensare veramente se diventare madri sia quello che esse desiderano veramente per se stesse.
La sacralizzazione della maternità, anche nelle società avanzate non ammette neppure questa possibilità, ed anche se oggi essere madre dovrebbe essere una scelta, non è pensabile che una madre si penta dopo aver partorito un figlio.
Si è iniziato a parlare più apertamente della questione quando Orna Donath, una ricercatrice israeliana della Ben Gurion University, ha pubblicato il suo saggio accademico «Pentirsi di essere madri» (edito da Bollati Boringhieri), e l' hashtag #RegrettingMotherhood, rapidamente diventato virale dopo la pubblicazione di questa ricerca, ha generato un acceso dibattito internazionale nei mesi scorsi, dimostrando come tale tema sia invece attuale, sofferto ed ancora tutto da scoprire, che non riguarda un numero limitato di casi, ma è rappresentativo di un trend più ampio, spesso inconfessabile.
Le donne intervistate nel libro della Donath non si sono trovate davanti a un bivio fra la maternità e la carriera, e non hanno scelto la prima sacrificando la seconda, ma non avrebbero semplicemente voluto essere madri dopo averlo provato, non si sentivano adatte, non ne percepivano il desiderio e quel percorso generava in loro rimpianti che hanno manifestato apertamente.
È stato messo in dubbio cioè, che l' essere madre sia un istinto naturale come il mondo, una gratificazione e un bisogno di propensione necessaria di ogni donna, ma è stato dimostrato che, come scriveva Oriana Fallaci negli anni Settanta, «essere mamma non è un mestiere, non è nemmeno un dovere, ma è solo un diritto tra tanti diritti», che al giorno d' oggi non è venuto meno ma è diventato difficile vederlo garantito.
È un dato di fatto però, che la stessa Fallaci fosse pronta a sacrificare se stessa e le proprie ambizioni per la famiglia, se, dopo aver perso il figlio che aspettava, riversò tutta la sua malinconia ed il suo dolore in un saggio che ha venduto milioni di copie e che fece epoca: «Lettera a un bambino mai nato», (Bur, Biblioteca Universale Rizzoli), a riprova che qualunque decisione in proposito, se avere un bambino o no, e qualunque pentimento, rinuncia o ripensamento, influenza fortemente la psiche di una donna, e a volte ne mina la stabilità emotiva, sia che esse si considerino madri felici, aspiranti madri, madri negate, non madri o madri pentite.
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