“VALLE” DI LACRIME - IL TEATRO OCCUPATO DI ROMA È UN NUOVO MODELLO DI “AUTOGESTIONE FINANZIARIA”: INCASSA E NON SGANCIA UN EURO - RODOTA': "IL 'CORRIERE' CONDUCE UNA CAMPAGNA CONTRO L'OCCUPAZIONE MA NON FA INFORMAZIONE CORRETTAMENTE"

Luca Mastrantonio per il "Corriere della Sera"

Il Teatro Valle di Roma, di proprietà del Comune e occupato illegalmente da lavoratori precari e benecomunisti che vogliono trasformarlo in una Fondazione per legalizzarne l'appropriazione, inizia oggi la sua stagione con Un Bès-Antonio Ligabue di Massimo Perrotta.

Ma la vera partita non si giocherà sul palcoscenico, dove sono previsti Antonio Latella, Pippo Delbono, Davide Enia, Fausto Paravidino; bensì negli uffici del Prefetto di Roma, che nei prossimi mesi deciderà se approvare lo Statuto della auto-nominata Fondazione Teatro Valle Bene Comune (con una direzione artistica e un comitato di tre garanti, per uno dei quali si era fatto il nome dello scrittore Christian Raimo che, però, ha per ora declinato l'offerta).

Il punto non è più solo la (non) liceità di occupare uno spazio pubblico, sottrarlo alle istituzioni per restituirlo, nelle intenzioni dichiarate, alla comunità; con annessa, da destra, la richiesta di uno sgombero invocato da Fratelli d'Italia ma evitato da Gianni Alemanno quando era sindaco e pagava le bollette della luce agli occupanti, mentre il Comune e il ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo hanno riconosciuto validità all'esperienza del Valle.

La questione è etica e d'ambito economico, riguarda le regole di competizione tra i teatri: sono uguali per tutti o no? E gli errori di sistema, tra diritti d'autore, burocrazia e fisco, vanno superati con nuove leggi o legalizzando le forzature?

Il Teatro Valle Occupato propone di far andare al minimo il motore del prestigioso teatro storico nel cuore di Roma - occupato tre anni fa mentre il suo destino era incerto. I soci fondatori hanno versato almeno dieci euro, volontaria è poi la cifra offerta da soci sostenitori, detti «complici», e soci «comunardi» (circa 5mila soci hanno raccolto un capitale sociale di 140 mila euro).

Per questa Fondazione, però, il modello è l'autogestione. L'ingresso è addirittura libero, con una «quota di complicità suggerita» di 8 euro: soluzione a metà tra l'obolo sacro e un biglietto mascherato da elemosina (espressione usata da Goffredo Fofi, a sinistra, quando criticò gli occupanti). L'incasso sarebbe gestito secondo una «cooperazione reciproca» che prevede il 2,5 per cento agli autori e un 5 per cento in una cassa-cuscinetto per quelli che non riescono a coprire le spese. Per ogni componente della compagnia ospitata, tra attori, tecnici e altro, è prevista una paga di circa 65 euro.

La parte più controversa, tutta politica, riguarda non le entrate ma la riduzione delle uscite: il modello prevede che non si paghino i diritti Siae, gli oneri fiscali per l'agibilità, i vigili del fuoco... le cosiddette «spese vive» che, invece, gli altri teatri sostengono (pur criticandone molti aspetti): siano pubblici come il Teatro Argentina o privati come il Teatro dell'Orologio, entrambi vicini al Valle. Concorrenza sleale?

Non è stata rinvenuta da Stefano Rodotà e Ugo Mattei, ispiratori di un'esperienza che ha visto in prima linea anche volti noti come l'attore Fabrizio Gifuni e il cantante Jovanotti. Rodotà va oltre, appoggia questa trasformazione di una pratica sociale illegale, come l'occupazione di un bene patrimoniale pubblico, in una istituzione: «Un modello dotato di un rigore giuridico impeccabile», a difesa della «cultura», bene comune, come la «natura» in Val di Susa.

2 - «IO, IL TEATRO VALLE E LA NUOVA FONDAZIONE»
Lettera di Stefano Rodotà al "Corriere della Sera"

Signor Direttore,
da qualche tempo il «Corriere della Sera» conduce una campagna contro l'occupazione del Teatro Valle. Scelta ovviamente legittima, anche se discutibile. E che, comunque, non esime dal dovere di dare una informazione corretta. Ieri si faceva riferimento a una mia dichiarazione, presentata con molta evidenza, nella quale parlavo di «rigore giuridico impeccabile». È opportuno che i lettori sappiamo che mi riferivo allo statuto della Fondazione Teatro Valle appena costituita, statuto che inviterei l'autore dell'articolo a leggere per valutare se la mia affermazione sia o no corretta.

Aggiungo che ho pronunciato quelle parole nel corso di un intervento nel quale sottolineavo come gli occupanti, ricorrendo a quello strumento, avessero scelto la via istituzionale, invitando quindi a valutare la loro azione anche da questo punto di vista.

Nell'articolo, invece, si segue una via diversa con un accostamento tra la vicenda del Teatro Valle e quella della Val di Susa, improponibile proprio per la ragione che ho appena ricordato. Che cosa si vuol lasciare intravvedere, una sorta di sottofondo violento che accomunerebbe le due esperienze? Poiché non voglio fare non richieste difese d'ufficio di quel che è accaduto da più di due anni al Teatro Valle, inviterei a leggere le parole equilibrate e informate di Antonio Audino sull'ultimo numero del domenicale del «Sole24Ore».

 

 

 

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