C’ERA UNA VOLTA STACHANOV – A NAPOLI VENERDÌ LO SCIOPERO DI 4 DIPENDENTI HA BLOCCATO LE FUNICOLARI: RISULTATO? 17 STAZIONI CHIUSE E 60MILA PASSEGGERI A TERRA – ECCO COME SIAMO PASSATI DAI FURBETTI DEL CARTELLINO AI MONOPOLISTI DELLA CREMAGLIERA…
Marco Demarco per www.corriere.it
Quattro ore di sciopero, dalle 9 alle 13. Diciassette stazioni chiuse. Almeno sessantamila passeggeri a terra. Tra questi molti turisti sbarcati a Napoli per godersela in lungo e in largo, rimasti invece disorientati davanti a quei cancelli chiusi e alla vaghezza degli avvisi al pubblico. Vai a spiegarglielo che a scioperare erano solo in quattro e che tutti gli altri addetti al servizio di trasporto «obliquo», quello delle funicolari, erano al loro posto. Ma è una vecchia storia. C’era una volta il lavoratore mito, la creatura angelicata priva di interessi bassi e corporativi.
E ora? Ora ne è passato di tempo da quando un minatore alto e muscoloso di nome Stachanov finì sulla copertina di Time a simboleggiare il lavoro come dedizione, efficienza, organizzazione. O da quando anche un tranviere cicciuto come Aldo Fabrizi contribuiva a costruire, grazie al cinema neorealista, la nostra identità nazionale. Nel frattempo, acquisite a caro prezzo le norme riformiste sul diritto del lavoro, siamo passati dai furbetti (fuorilegge) del cartellino ai monopolisti (iper garantiti) della cremagliera: da chi risulta formalmente in ufficio, e in realtà è in piscina o dalla manicurista, a chi astenendosi dal lavoro, in nome del diritto di sciopero, riesce ad appiedare una città sospesa tra la collina e il mare, e per questo in buona parte dipendente dalle cremagliere delle sue funicolari. Napoli di funicolari ne ha quattro, e sono il suo orgoglio sin dalla Belle Époque.
In quattro
Il fatto è che a sorvegliare sul buon funzionamento degli impianti ci sono quattro capiservizio della locale azienda di trasporto. E se questi quattro lavoratori aderenti a tre diversi sindacati (Cisal, Cisl e Ugl) decidono di scioperare per una ragione o per un’altra (nel caso specifico per una rivendicazione salariale, per un mancato allineamento tra contratto e mansioni svolte) l’intero servizio va a farsi benedire.
È esattamente quanto è successo venerdì scorso, alla vigilia del lungo «ponte» di Maggio, con la città senza una sola camera d’albergo vuota e affollata come non mai di crocieristi. Molti avrebbero voluto salire sulla collina del Vomero a visitare Castel Sant’Elmo e la Certosa di San Martino. Ma i signori della cremagliera hanno detto no, tra l’altro in una città in cui i taxi non hanno corsie preferenziali, i bus non passano con regolarità e la metropolitana, seppure con le stazioni più belle del mondo, ha le corse meno frequenti d’Italia. Ciò nonostante, pur sapendo cosa stava per accadere, nessuno ha mosso un dito.
È l’altra faccia di questa vicenda. Nella città dove un ventenne ha la stessa possibilità di trovare un lavoro di un coetaneo residente nell’enclave spagnola di Melilla, in Marocco; e nella regione appena inclusa da Eurostat tra le top ten (su 275) per il maggior disagio socio-lavorativo, si assiste a questo paradosso: da un lato quattro lavoratori «garantiti» fermi nel rivendicare il loro diritto di sciopero; dall’altro neanche un’autorità — un sindaco, un governatore, un prefetto — pronto ad esercitare il più elementare dei doveri civici: far funzionare una città.
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