ostia spiaggia

SE OSTIA BEACH DIVENTA UN SUK! IL LIDO E' ORMAI RIDOTTO A UN MERCATO A CIELO APERTO, IN RIVA SI VENDONO ANCHE LE SCOPE - I TITOLARI DEGLI STABILIMENTI: "QUI MANCA LA SORVEGLIANZA, LE SPIAGGE LIBERE SONO TERRA DI NESSUNO” – LE RETATE DEI VIGILI CONTRO GLI AMBULANTI - VIDEO

 

Federico Capurso per la Stampa

 

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Il fischietto avvisa i bagnanti dell' arrivo del carretto delle granite. Poi un grande classico: «Cocco bello, cocco fresco». L' urlo scandisce i movimenti agili in uno slalom senza soste tra i teli stesi sulla sabbia. Poco distante, sul bagnasciuga, il fumo si alza dalla brace su cui stanno cuocendo le pannocchie di mais e risale rapido la spiaggia fino agli ombrelloni che affollano nel fine settimana il litorale romano. Ostia, il mare della Capitale, è un mercato a cielo aperto.

 

Meno di dieci minuti in una qualunque delle tante spiagge libere a disposizione e, nel via vai di ambulanti, tutti altamente specializzati, sarebbe possibile acquistare: costumi, infradito, massaggi, cappelli, occhiali da sole, borse da spiaggia, false borse griffate, orologi, tatuaggi con l' henné, teli da mare, anelli, collanine e braccialetti, vestiario di vario genere, biancheria intima, tovaglie, creme solari, bibite alcoliche e non, frutta, gelati, materassini gonfiabili, costumi e persino una scopa con manico allungabile fino a tre metri per le pulizie della casa.

 

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«È un grande suk», ammette Renato Papagni, presidente di FederBalneari, l' associazione che riunisce oltre mille imprese che operano sulle coste italiane e, proprio a Ostia, titolare di uno stabilimento. «Nelle spiagge attrezzate - assicura Papagni - siamo riusciti a mettere un freno all' invadenza degli ambulanti, che erano arrivati a dare calcetti ai lettini dove dormivano i clienti per proporgli l' acquisto di qualche cianfrusaglia. Quelle libere, invece, sono un territorio di nessuno». Manca, secondo il presidente di FederBalneari, «un serio controllo del territorio».

 

La competenza sarebbe dei vigili urbani, «ma io non ne ho mai visti passare tra gli stabilimenti se non il giorno dopo un articolo pubblicato sul giornale o un servizio in tv che denunciasse questa situazione».

I bagnini, unico presidio delle spiagge libere del litorale romano, possono fare ben poco: «Non abbiamo l' autorità per vietargli di vendere la loro merce», spiega Ivano, che quest' anno ha la responsabilità di una delle spiagge più affollate dagli ambulanti di Ostia.

 

«Capita che ogni tanto qualcuno venga a lamentarsi per la loro insistenza. E poi, poche ore dopo acquista una birra, cibo, o un pallone». Un fastidio, dunque, o una illegale comodità per chi popola il litorale? Qualcuno confessa di «averci fatto il callo», come Nadia, che a Ostia viene ogni estate da vent' anni. «Certo, se non ci fossero sarebbe meglio», aggiunge però l' amica con cui condivide la giornata di sole. L' atteggiamento è di generale indifferenza, come «abituati , ormai, a vedere questi baracconi carichi di vestiti, alti un paio di metri, che all' improvviso rendono impossibile persino la vista del mare», dice Claudio, che ricorda quasi con nostalgia quando «un tempo se ne vedevano una decina per tutto il litorale, e ora sono a centinaia».

 

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Centinaia, è vero, e in pochi chilometri di spiaggia. Il mercato, tra di loro, è quasi diviso per nazionalità. Dal nord africa per il cibo e le bevande e, con i mediorientali si condivide il settore del vestiario. Dal Senegal, come Assan, per gli accessori, come occhiali o borse. «Sono sbarcato in Italia da Vibo Valentia i primi giorni di aprile», racconta Assan con un francese stentato.

 

«A fine mese ero già a Roma, in una casa a Trastevere condivisa con decine di connazionali. Sono loro ad avermi portato qui». Ma c' è anche chi, tra gli ambulanti, una casa non riesce a permettersela. Kahn e Marouf vengono dall' Afghanistan, parlano inglese e dicono di non avere un "capo" con cui dividere i guadagni, anche perché i soldi sono talmente pochi da essere costretti a dormire in spiaggia.

«Ce ne sono tanti che rimangono qui la notte», dice Marouf, che racconta di alcune retate dei vigili, subite negli ultimi mesi.

 

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«La scorsa settimana mi hanno sequestrato tutta la merce e fatto una multa di migliaia di euro». Ovviamente non potrà pagarla. «E siccome non ho un posto dove dormire, hanno detto che manderanno la multa per posta a casa mia in Afghanistan, a Jalalabad. Io vorrei anche tornarci, ma non posso. La città è controllata dai talebani e se provassi a rientrare mi ucciderebbero. Meglio soffrire qui, che morire lì».

 

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