A VOLTE NON TORNANO - AMANDA KNOX RESTA NEGLI USA E SPERNACCHIA I MAGISTRATI: “MI HANNO DIPINTO COME UNA DARK LADY PER RENDERE CREDIBILI LE ACCUSE”
Danilo Taino per il Corriere della Sera
Il «circo» insopportabile che è stato il primo processo. Il fatto che nessuno sembrasse interessato a sapere chi ha davvero ucciso Meredith Kercher. Il timore di dovere tornare in prigione per qualcosa di cui si sente innocente. Per queste ragioni, Amanda Knox non tornerà in Italia per affrontare il processo che inizierà il 30 settembre, dopo che nel 2009 fu condannata a 26 anni, due anni dopo fu invece assolta dalla Corte di appello e lo scorso marzo la Cassazione ordinò il nuovo processo.
La ragazza, che oggi ha 26 anni e continua a vivere a Seattle, ha dato la settimana scorsa un'intervista, pubblicata ieri, al quotidiano New York Post: è un'Amanda segnata, ancora spaventata, diversa - dice lei stessa - da quella giovane che nel 2007, a Perugia, fu in qualche modo coinvolta in una vicenda che portò alla morte di Meredith Kercher, un'altra studentessa.
Amanda dice che durante il processo la sua presenza nell'aula del tribunale è sempre stata una distrazione dalla sostanza del dibattimento. «Ogni singolo movimento che facevo - spiega - ogni gesto, ogni espressione facciale erano il centro dell'attenzione e distraevano dalla presentazione e dall'analisi delle prove». Come si vestiva, come si pettinava, come sorrideva ai genitori: questo veniva discusso - dice - invece del merito delle accuse.
«Quindi una parte delle ragioni per non tornare sta nell'evitare questo circo». Amanda dice di avere avuto l'impressione, durante il processo, che nessuno fosse interessato a stabilire «se Meredith fosse stata uccisa o no da me, da Raffaele (Sollecito, ndr) o da Rudy Guede (condannato per l'omicidio, ndr)».
Amanda non sopporta ciò che si è costruito attorno a lei in Italia. Dice che le si è cucito addosso un mantello malvagio. «Le percezioni che la gente proiettava su di me erano quelle di una dark lady, di una compagna di stanza gelosa, fetente che aveva deciso che Meredith era meglio di me e quindi doveva morire». Qui arriva un atto d'accusa non da poco per il sistema giudiziario italiano: Knox sostiene che la costruzione della sua anima nera è servita agli inquirenti per rendere credibili le accuse che le rivolgevano.
«Senza questa percezione non c'è fondamento per il loro caso, non c'è base fondamentale sulla quale possano costruire la loro storia presunta». Poi la frase forte: «Dovevano costruire la personalità su misura del crimine».
L'altro grande motivo per il quale non tornerà in Italia è più di carattere emotivo: la paura di rientrare nel tunnel di interrogatori, aule di tribunale e soprattutto di prigione che già le ha sconvolto la vita. «Il fatto che debba continuare ad avere fiducia nel processo legale italiano non cambia il fatto che ho passato quattro anni imprigionata per qualcosa che non ho fatto - sostiene -. Il rischio che ciò accada ancora è sufficiente a dissuadermi dal rendermi vulnerabile tornando nel Paese. La gente può criticarmi per questa ragione, ma è una cosa del tutto fondata sulla mia esperienza».
Amanda dice di volere provare la sua innocenza, sostiene che affronterebbe i suoi accusatori: ma il timore di finire innocente in prigione glielo impedisce.
Amanda Knox si sente anche lei una vittima. Finita in una curva drammatica della vita arrivata molto presto, quando aveva passato da poco i vent'anni.
Ogni giorno sotto giudizio, ancora oggi. «Adesso c'è una polarizzazione: sono una vittima oppure una killer sanguinaria che l'ha fatta franca». Amanda racconta di avere ricevuto minacce, non sa quanto credibili. Dice che ogni volta che esce di casa teme di essere seguita. Segnata.
à in terapia: «Il disordine da stress post-traumatico mi debilita, mi fa sentire come se volessi uscire dalla mia vita, come se volessi raggomitolarmi in una palla e non uscire mai. Non posso vivere così. Devo andare avanti». Non sarà facile: piange spesso, ha attacchi di panico, certi giorni non fa che pensare alla sua tristezza e alla sua rabbia, dice.
Nell'intervista al New York Post, Amanda parla anche di Raffaele Sollecito, il suo fidanzato all'epoca, anch'egli accusato. Ã rimasta sconvolta quando ha letto, nel libro di Sollecito, che i magistrati gli avevano offerto un patto in cambio di accuse a Amanda e che lui aveva rifiutato.
«Questo semplice pezzo di umanità coraggiosa mi ha fatto esplodere perché dice molto della persona che è in quella situazione eppure riesce a fare qualcosa del genere». Forse questo la aiuta. Ma, soprattutto, Amanda vuole giustizia, sostiene: un processo sui fatti. Non sui giudizi che sono diventati la sua «gabbia». Noi non ne diamo: questo è quello che lei ha voluto dire, sei anni dopo.
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