OGGI QUI, DOMANI ALLAH - POCO PRIMA DELL’INIZIO DEL RAMADAM, AL ADNANI, PORTAVOCE DELL’ISIS, AVEVA INCITATO CON I MUSULMANI IN OCCIDENTE A UTILIZZARE IL MESE DEL DIGIUNO SACRO ALL’ISLAM PER COLPIRE AL CUORE “L’OCCIDENTE CROCIATO”
Carlo Bonini per “la Repubblica”
Capiremo con esattezza nei prossimi giorni in quale anfratto sia stata incubata la strage di Orlando. Se nell’odio omofobo e solitario della ventinovenne guardia giurata di origini afgane Omar Mateen. Se nel suo recente “giuramento” di fedeltà all’Is affidato ai social media e per altro ribadito in un’ultima drammatica telefonata al 911, l’operatore del pronto intervento, prima di abbandonarsi al suo sabba di sangue.
O nell’uno e nell’altro. In un abbraccio terminale tra sadica sociopatia, disturbo della personalità e islamismo radicale. È un fatto che il governatore della Florida Rick Scott parli immediatamente, nell’alba che segue il massacro, di «atto terroristico » e che, nel primo pomeriggio di Washington, il Presidente Obama aggiunga che «ce n’è abbastanza per dire che si è trattato di un atto di terrore e di odio sul cui movente e possibili mandanti si indagherà».
Ed è un fatto, soprattutto, che, dopo una giornata di silenzio e a rimorchio delle parole del Presidente americano, arrivi dopo quella dei gruppi islamisti («Il migliore regalo possibile per il Ramadan. Possa Allah accettare l’eroe che ha compiuto la carneficina e ispirare altri a fare lo stesso»), la rivendicazione dell’Is attraverso la sua agenzia di stampa Amaq. «L’attacco che ha avuto come obiettivo un nightclub per omosessuali a Orlando in Florida e che ha causato oltre 100 tra morti e feriti è stato opera di un combattente di Is».
Del resto, come era accaduto per la strage della coppia di San Bernardino in California (quando la rivendicazione dell’Is si fece attendere per due giorni), sapere se e fin dove il Califfato possa o meno aver avuto un ruolo più o meno indiretto nella pianificazione di questa ennesima giornata di Terrore è persino un dettaglio “superfluo”.
Lì dove è evidente che la mattanza di Orlando è e diventa automaticamente una strage dell’Is perché ha in sé le stimmate e le modalità della nuova dimensione del Terrore in cui Daesh ha da tempo precipitato l’Occidente. Un incubo che ha il volto, il vissuto, l’anonimato domestico, dei centinaia di “Omar” di seconda o terza generazione che abitano le città dell’Europa e degli Stati Uniti. Le periferie di Bruxelles, piuttosto che le banlieu di Parigi o, appunto, il grande nulla delle cinture metropolitane americane.
“Lupi solitari”, come sono stati da tempo battezzati nel gergo degli addetti. Bombe umane che trovano nella alienazione il carburante del loro odio. Non a caso votate al suicidio e capaci di innescarsi autonomamente, fuori da qualsiasi pianificazione e al termine di un processo di radicalizzazione che non passa più attraverso le moschee ma, più semplicemente, attraverso la spirale autistica dell’indice pigiato su un mouse. Su di loro, da tempo, l’Is gioca la sua controffensiva “asimmetrica”.
Da quando, già nel 2014, aveva avvertito che «nessun fedele deve chiedere il permesso per portare il Terrore in nome dell’Is». A maggior ragione, oggi, in una fase di rovesci militari in quel terreno di operazioni “simmetrico” che è la capitale del Califfato, oggi assediata dalle truppe regolari dell’esercito siriano, dalla coalizione occidentale, dalla Russia di Putin, dalle truppe regolari irachene.
Non a caso, non più tardi del mese scorso, poco prima dell’inizio del Ramadam, Abu Mohammad Al Adnani, portavoce dell’Is, aveva incitato con un messaggio destinato all’intera comunità islamista in Occidente a utilizzare proprio il mese del digiuno sacro all’Islam per colpire al cuore l’Occidente Crociato.
«Con l’aiuto del Profeta, fate che questo sia il mese della sofferenza per gli Infedeli ovunque», aveva detto. Per poi aggiungere un’indicazione operativa cruciale. «Abbiamo saputo che molti di voi non sono in grado di raggiungere obiettivi militari e sono restii a colpire obiettivi civili. Bene, sappiate allora che nella terra dei Crociati, non c’è riparo dal sangue, perché non esistono quelli che noi chiamiamo innocenti».
Un locale gay, uno stadio, un concerto, un caffè, un ristorante, una stazione, un aeroporto, dunque. Ovunque cioè l’Occidente viva e declini quotidianamente quel rito quotidiano, universale e contagioso, della libertà — muoversi liberamente, godere della propria sessualità o socialità — che ne definisce la sua identità. E per questo intollerabile al culto sanguinario del Califfato.