SCURDAMMECE O’ PASSATO - LA CORTE EUROPEA DÀ RAGIONE A CHI CHIEDE IL “DIRITTO ALL’OBLIO”: SARÀ POSSIBILE CHIEDERE AI MOTORI DI RICERCA DI FAR SPARIRE DAL WEB UN PASSATO IMBARAZZANTE – MA PER I PERSONAGGI PUBBLICI SARÀ IL TRIBUNALE A DECIDERE

Annalena Benini per "Il Foglio"

Ogni volta che digitate il vostro nome e cognome su Google (quante volte in un giorno?) compare quella foto con il cappellino da baseball girato al contrario e gli occhi da psicopatico negli anni Novanta. E il commento di un compagno di liceo che ricorda che il vostro soprannome fino alla maturità è stato sempre "schifo".

Non importa che nel frattempo siate diventati, con fatica, quasi rispettabili, e che una ragazza bionda abbia deciso di darvi una possibilità, non importa che qualcuno vi telefoni perfino per intervistarvi, che vi paghino per pensare.

Siete sempre, agli occhi del mondo intero, "schifo", con la faccia da psicopatico e il cappellino da baseball. Nei motori di ricerca funziona così, tutto il peggio che riguarda una persona, tutti gli insuccessi, le foto più tragiche, le omonimie più scandalose e le bocciature agli esami hanno il potere di legarsi stretti insieme e danzare nelle prime tre pagine di risultati.

E' un modo per ricordarci l'umiltà, forse, ed è anche un moderno genere di persecuzione: non basta cambiare pettinatura e laurearsi per smettere di essere "schifo". Ma adesso la Corte di giustizia europea ha deciso per il "diritto all'oblio", cioè ha stabilito tramite sentenza che i cittadini possano chiedere ai motori di ricerca.

(si trattava di Google, nella fattispecie) di eliminare dalle loro pagine i link che rimandino a "contenuti non più rilevanti" (nomignoli imbarazzanti, aste giudiziarie, fidanzati presunti, notizie poi smentite, frasi pronunciate in un momento di ubriachezza, foto scattate da qualcuno mentre stavamo cadendo in mare da un gommone), ed è quasi certo che una folla di persone oltraggiate, pentite, tormentate, infelici, si metterà in fila per ottenere il proprio pezzetto di oblio, cioè la salvezza.

Chiederà di cancellare le tracce di cose passate, superate, modificate dal tempo e dalla fortuna. Come quando si viene lasciati, si soffre moltissimo, e dopo molti anni si finge di non ricordare nemmeno il nome del tizio che ci ha spezzato il cuore, e si raccontano solo le conquiste e le fughe.

Da quando esiste internet credevamo di non potere aspirare mai più alla possibilità di un ritratto vincente, perché qualcosa sarebbe sempre sbucato dal passato: dieci chili in più, una bancarotta, un calendario nuda, l'insalata tra i denti. Se si tratta di personaggi pubblici però, i motori di ricerca potranno opporsi alle richieste e rinviare al tribunale nazionale, e insomma sta per cominciare la grande guerra tra l'uomo e i link.

La guerra tra l'eternità e la dimenticanza. Tra chi vuole voltare pagina e chi, per natura, conserva ogni pagina, ogni documento, ogni cretinata anche, nell'immensità del web. Il diritto all'oblio rischia di trasformarsi in velo pietoso e in maquillage, di far venire meno la fatale verità di internet, e piegarlo a una specie di autobiografia, quella che ci scriviamo da soli e in cui mettiamo, di solito, soltanto le gesta eroiche, le battute fulminanti, gli atti generosi e le foto trionfali, perché siamo convinti che sia andata davvero così.

Le meschinerie e gli scivoloni sulle bucce di banana saranno certo "contenuti non più rilevanti", però raccontavano qualcosa in più. E ci tenevano svegli, la notte, pregando: fa' che non vada su Google.

 

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