![](/img/patch/08-2012/assange-184777_600_q50.webp)
ASSAGGI DI ASSANGE - ANCHE SE L’ONU HA RICONOSCIUTO LA SUA “INGIUSTA DETENZIONE”, IL BIONDINO DI WIKILEAKS RISCHIA COMUNQUE LA GALERA - PER IL GOVERNO BRITANNICO, IL MANDATO DI CATTURA INTERNAZIONALE EMANATO DALLA SVEZIA È ANCORA VALIDO, LA RICHIESTA DI ESTRADIZIONE PERMANE
Paola De Carolis per il “Corriere della Sera”
Trenta metri quadrati, un letto, un computer, un tapis roulant per la ginnastica, una lampada per la vitamina D. Da tre anni e mezzo questa è la dimora di Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, l’uomo che nel 2010 mostrò al mondo il filmato di soldati americani che ammazzavano diciotto civili iracheni e che temendo l’estradizione negli Stati Uniti si è rifugiato nell’ambasciata londinese dell’Ecuador.
ASSANGE PRIMA E DOPO LA DETENZIONE
Oggi nella sua storia potrebbe iniziare un nuovo capitolo. Un gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sostiene che la sua prigionia volontaria all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador equivalga a una «detenzione illegale» perché non ha alternativa. Se dovesse uscire sarebbe arrestato.
Giovedì Assange aveva fatto sapere che se il gruppo dell’Onu avesse respinto il suo appello si sarebbe consegnato alle autorità britanniche, mentre in caso di un giudizio positivo avrebbe chiesto l’immediata riconsegna del passaporto e la libertà incondizionata: un pronunciamento, il suo, che lascia pensare che la decisione dei cinque saggi lo avesse già raggiunto.
La situazione rimane complicata. Per il governo britannico, il mandato di cattura internazionale emanato dalla Svezia è ancora valido, la richiesta di estradizione permane. Il verdetto del gruppo non è vincolante né per Londra, né per Stoccolma, ma è sicuramente una carta a favore di Assange. Il gruppo dell’Onu ha raggiunto successi importanti: si è impegnato in passato per la liberazione di Aung San Suu Kyi, in Birmania, e il giornalista americano Jason Rezaian, in Iran.
Per il 44enne australiano l’appello al gruppo di lavoro per le detenzioni arbitrarie, inoltrato nel 2014, rappresentava l’ultima chance per un ritorno alla normalità. L’iter legale si era concluso con il via libera all’estradizione della Corte suprema di Londra.
Le accuse che arrivano dalla Svezia riguardano molestie sessuali — un caso, questo, adesso caduto in prescrizione — e uno stupro. Per Assange si tratta di reati mai commessi, inventati per attirarlo a Stoccolma e successivamente estradarlo negli Usa.
Tre anni e mezzo senza uscire all’aria aperta sono tanti. Assange sostiene che la sua «prigionia» abbia avuto un impatto notevole sulla sua salute mentale.
Dice anche di soffrire di problemi fisici che necessitano di ulteriori esami in ospedale, analisi alle quali non si è potuto sottoporre perché il governo non gli ha concesso alcuna garanzia. Solo a ottobre Londra ha sospeso il servizio di vigilanza 24 ore su 24 davanti al palazzo di Knightsbridge che è la sede dell’ambasciata dell’Ecuador: il costo aveva superato i 12 milioni di sterline.
Assange si considera un «prigioniero politico», ma per il governo britannico la sua è «un’incarcerazione volontaria». «È lui ad aver deciso di evitare l’arresto rifugiandosi all’interno dell’ambasciata», ha detto un portavoce. «La Gran Bretagna continua ad avere l’obbligo legale di estradarlo in Svezia». Seppure isolato, Assange non è solo. Nell’arco della sua permanenza londinese ha ricevuto un nutrito gruppo di celebrità. La stilista Vivienne Westwood va a trovarlo ogni mese: a lei si sono uniti Lady Gaga, il calciatore Eric Cantona, l’attrice Pamela Anderson, Yoko Ono, il musicista Sean Lennon, gli attori Maggie Gyllenhall e John Cusack.
JULIAN ASSANGE E ERIC CANTONA
JULIAN ASSANGE