MA UN ESCURSIONE A TERRACINA, NO? LA SOLITA BUFERA SULL’HIMALAYA LASCIA SULLA NEVE VENTITRE’ MORTI E DECINE DI DISPERSI TRA TURISTI STRANIERI E GUIDE NEPALESI - QUATTRO ITALIANI BLOCCATI DALLA NEVE AL CAMPO BASE DELL’ANNAPURNA
Leonardo Bizzaro per “la Repubblica”
Sette, ventiquattro, ventisette, ventinove. Si aggiorna di ora in ora ed è sempre più drammatico il computo dei morti nel Nepal settentrionale, uccisi dal freddo e dalle valanghe. A scatenare il maltempo è stata secondo i meteorologi la coda del ciclone Hudhud, che domenica si è abbattuto sulla costa orientale dell’India. Oltre trenta ore di bufera — solo nella serata di mercoledì la perturbazione ha accennato a indebolirsi — metri di neve instabile che hanno scaricato valanghe sulle comitive di escursionisti stranieri e guide nepalesi impegnate in alcuni dei più popolari trekking attorno alle montagne himalayane.
La maggior parte delle vittime è stata recuperata sotto la neve nei pressi del Thorong La, il passo più alto, 5.416 metri, che si supera nel tour dell’Annapurna — il primo a essere salito nella catena degli ottomila, nel 1950 dai francesi — frequentatissimo nella stagione postmonsonica, da settembre a novembre, di solito assistita dall’alta pressione che assicura bel tempo per lunghe settimane. Ma quest’autunno non è stato così.
Mentre scendevano dal passo sono state travolte già lunedì sette persone. E altre, fino a raggiungere la tragica cifra di ventitré, sono state recuperate fino a ieri poco lontano, escursionisti sepolti dalla neve o assiderati nella bufera. Cinque alpinisti, due slovacchi e tre guide nepalesi, sono finiti sotto una slavina al campo base del Dhaulagiri, altro ottomila nepalese, poco più a ovest, assieme a tre guardiani di yak che cercavano di mettere in salvo le proprie bestie.
Un francese di 67 anni è disperso dopo essere caduto in un torrente lungo il circuito del Manaslu, più a oriente. Fino a ieri erano stati identificati i corpi di quattro canadesi, due israeliani, un tedesco, un polacco, un indiano, un vietnamita e 11 escursionisti nepalesi. Non ci sarebbe alcun italiano tra gli scomparsi, ma quattro sono ancora bloccati dalla neve al campo base dell’Annapurna.
Ganesh Rai, coordinatore dei soccorsi della polizia nepalese, riferisce da Kathmandu di aver «recuperato sani e salvi 154 sopravvissuti, di cui 76 stranieri». Sono però 168 i trekker che nelle settimane passate si sono registrati prima di partire per un tour in quota nei distretti di Manang e Mustang, investiti dal maltempo.
E al campo base dell’Annapurna, appunto, attendono di salire su un elicottero quattro italiani guidati da AdrianoFavre, 58 anni, guida alpina, direttore del soccorso alpino valdostano e responsabile tecnico del leggendario Trofeo Mezzalama, la competizione di scialpinismo più dura delle Alpi.
Con lui ci sono il figlio Yannick, un amico alpinista romano, Massimo Merlini, e Fausta Bo, che gestisce il rifugio Ferraro, in val d’Ayas. Il loro obiettivo era il Tukuche Peak, vetta di 6920 metri diventata molto popolare negli ultimi anni, da cui si gode uno straordinario panorama sulla catena dell’Himalaya.
«Siamo sereni, tranquilli — dice Favre al telefono satellitare, che è riuscito a ricaricare solo quando la bufera è passata oltre — Abbiamo tutto: gas per scaldarci, bere, mangiare, non abbiamo problemi. Saremmo dovuti rimanere altri dieci giorni, quindi possiamo resistere. Il problema è la forte richiesta di elicotteri un po’ dappertutto, siamo in coda ad aspettare. Abbiamo bisogno di un mezzo di grandi dimensioni, perché dobbiamo salire noi, i portatori nepalesi e tutti materiali. Speriamo nei prossimi due giorni di avere questa opportunità».
Scendere in altra maniera non è possibile, «qui c’è un metro e venti di neve al suolo, fa freddo e non si sta assestando, non si riesce a fare una traccia per camminare, si va dentro fino alla pancia».
I membri della piccola spedizione valdostana hanno soccorso sei escursionisti capitati al campo base dell’Annapurna quando ha cominciato a nevicare: «Sono arrivati qui alla sera e non sono più riusciti a muoversi — racconta ancora Favre — Una di loro aveva un principio di edema e l’abbiamo trattata con il cassone iperbarico. Sono stati con noi finché oggi (ieri, ndr) siamo riusciti a evacuarli in elicottero. Chi invece era per strada temo sia finito in difficoltà serie.
Purtroppo da Kathmandu non è stato diramato alcun bollettino meteo, la bufera non era prevista. Quando ci siamo accorti che il tempo cambiava, ci siamo detti che sarebbe nevicato, ma sicuramente non ci aspettavamo trenta ore di neve. So che i morti sono già tanti ma qui si dice che potrebbero essere molti di più, forse una cinquantina».