DE LUCCHI OF THE YEAR! - "LA FORZA DEL SALONE DEL MOBILE STA NELL'ESSERE LUOGO DI IDEE, NON SOLO DI MERCATO" – PARLA IL GRANDE ARCHITETTO E DESIGNER: "IL MIO RUOLO È MOSTRARE LE ALTERNATIVE E ROMPERE LA CONVENZIONALITA’ DELLE AZIENDE” - IL PONTE DELLA PACE DI TBILISI E LA LAMPADA TOLOMEO...
Bruno Ruffilli per la Stampa
Barba da eremita, occhi vivaci dietro gli occhiali tondi, a 67 anni Michele De Lucchi è uno dei grandi maestri del made in Italy. Inventa spazi, oggetti, pagine: come architetto, designer, e ora anche direttore della storica rivista Domus («Un ruolo che mi permette di approfondire concettualmente il senso di quello che faccio», dice). Ha vinto due volte il Compasso d' oro e collaborato con Olivetti e Telecom, Poste, Intesa San Paolo, Unicredit e mille altre aziende.
Ha progettato oggetti quotidiani e ridisegnato la topografia urbana di Tbilisi, donando alla città un nuovo simbolo, il Ponte della Pace. È stato ambasciatore dell' Expo 2015, per cui ha progettato il padiglione italiano, e quest' anno è suo lo stand di Poltrona Frau al Salone del Mobile («Uno studio sulla prospettiva, intesa come rappresentazione del futuro»).
Lo studio milanese è una specie di museo, dove espone i suoi prototipi in legno, ma anche uno spazio di lavoro che ospita una quarantina di persone. «Come altri colleghi, in questi giorni lo apro al pubblico, per accogliere curiosi e appassionati. Sono moltissimi, perché il Salone riguarda tutta la città, non è solo la Fiera».
Perché il Salone è speciale?
«Perché non presenta prodotti pronti per il mercato, se non in rare eccezioni. È invece il momento in cui un' idea incontra il pubblico e sollecita la sua reazione, in cui si analizza il risultato di sperimentazioni che toccano vari aspetti del design, dalla produzione alla ricerca antropologica, dallo studio sui materiali alla riflessione sul concetto di abitazione. Succede solo da noi, il Salone di Francoforte è una mostra di prodotti finiti, dove gli spettatori non sentono di essere parte di qualcosa che nasce con loro».
Lei è più architetto o designer?
«Non ho mai imparato a usare Autocad, faccio schizzi a mano, poi i miei collaboratori li portano nel computer. Mi piace scrivere e scolpire il legno con la motosega, ma forse la parola più adatta per dire quello che faccio è artista, nel senso di chi crea cose con le proprie mani.
de lucchi ponte della pace tbilisi
L' artista ha solo se stesso come cliente; il designer ha in più anche l' industria e l' utilizzatore finale; l' architetto deve considerare l' imprenditore, l' impresario, l' immobiliarista, chi vive nei suoi edifici. E chi non c' entra niente con quello che sta progettando, perché se costruisce una casa in una zona pubblica deve tener conto anche di un passante, che si trova di fronte la sua opera e deve relazionarsi con essa L' interlocutore nascosto è quello più difficile da capire».
Questo porta a una politica dell' architettura.
«Il punto è capire come certe figure professionali e creative possano interagire con la politica. Il sistema sta cambiando rapidamente, e in questo momento sembra lontanissimo dal riconoscere un ruolo all' intellettuale, ma non è detto che il futuro non porti nuovi tipi di relazioni».
Quando disegna, che mondo immagina?
de lucchi ponte della pace tbilisi
«Il mondo antropologico, quello dell' evoluzione dell' uomo, dei suoi comportamenti, e soprattutto della sua immaginazione. Mi sono iscritto all' università nel 1969 e facevo parte di un movimento chiamato Architettura Radicale, per cui progettare uno spazio voleva dire anche progettare un modo di viverlo. Penso ancora che immaginare una città o un oggetto significa intervenire nel processo di evoluzione dell' uomo. Si tratta di fare delle scelte».
Ma se compro la sua lampada Tolomeo so perché lo faccio.
«Certo, ragionando e mettendo in moto la sua emotività. La consapevolezza della scelta dovrebbe accompagnarci ogni istante, nell' acquisto di un elemento d' arredo, del cibo, di un detersivo o un oggetto di plastica non riciclabile. Sembrano decisioni individuali, invece hanno conseguenze globali, perché la nostra scelta ha un peso sull' evoluzione del mondo».
Come?
«Il mercato è una rete di connessioni. Da una parte è facile manipolarlo attraverso la comunicazione pubblicitaria e la finanza. Dall' altra, in una visione positiva, può essere influenzato dalle nostre scelte: penso ai vegani, ad esempio, e alla consapevolezza di certe tematiche che hanno risvegliato anche in chi vegano non è».
Non le pare che il design oggi privilegi il dato estetico su quello ideologico?
«Non esiste la totale razionalità o la totale emotività, per fortuna. E in tutti gli oggetti c' è un valore pratico e uno simbolico, che non sono mai completamente sovrapponibili. Oggi, è vero, molti clienti mi chiedono di esprimere la filosofia dell' azienda o di progettare una casa che rappresenti lo stile di vita di chi ci andrà ad abitare».
E lei?
«Il mio ruolo è mostrare le alternative e rompere la convenzionalità della committenza. Molto spesso chi ci chiede delle cose non sa esattamente quello che vuole, se non come obiettivo finale, e si aspetta dal progetto un' amplificazione del suo pensiero».
Parla come un analista.
«Molte volte è così. Ma da questo processo imparo anche io».
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