
LA CANNES DEI GIUSTI - NON È UN FESTIVAL PER GIOVANI, TRA GODARD E SOPHIA LOREN CHE NE “LA VOCE UMANA” PIANGE AL TELEFONO E FA L’AMANTE ABBANDONATA (DA CHI, DA NAPOLITANO?) - TUTTI I CRITICI GIÀ PUNTANO SUI DARDENNE
Marco Giusti per Dagospia
Cannes ottavo giorno.
Allegria! Certo che tra Jean Luc Godard con "Adieu au langage" e Sophia Loren tra rifacimento de "La voce umana" e masterclass, non e' che si possa dire proprio un festival di giovani. Almeno Godard non viene, si diverte con critici e cinefili che giurano di avere interviste video inedite, su chiavette usb, ma Sophia che fa l'amante abbandonata e disperata al telefono alla sua eta' qualche perplessita' la lascia. E chi e' l'uomo che la abbandona? Napolitano?
Intanto la stampa francese e' tutta schierata per "Due giorni, una notte" dei Dardenne con la Cotillard senza fard. Stavolta il film lo ha capito anche Concita De Gregorio. E' gia' qualcosa. Anche se un altro premio ai Dardenne sarebbe una ennesima prova di quanto sia vecchia e ripetitiva Cannes.
I Dardenne hanno vinto piu' di tutti qua. E comunque se la dovranno vedere con "Mr. Turner" di Mike Leigh, che su "Screen" ha il massimo dei voti, con il noisissimo turco "Winter Sleep" di Nuri Bilhe Ceylan, che fa Cekhov per cinefili in quel della Cappadocia, forse anche con "Still the Water" di Naomi Kawase, definito da Concita "edenistico", un po' fiction da festival, ma emozionante.
O magari con i non ancora visti film di Olivier Assayas, Ken Loach e Andrey Zvyagintsev. Stamane a "The Search", polpettone sula guerra in Cecenia di Michel Hazanavicious, che ha fatto orrore un po' a tutti i critici, ho preferito alla "Quinzaine" il nuovo film di Bruno Dumont, "P'tit Quinquin", una sorta di incrocio fra "La guerra dei bottoni" e un "True Detective" della profonda campagna francese.
Per Dumont e' una totale novita', perche' adatta alla commedia, anche se la storia ha la serialita' da giallo, una donna senza testa trovata dentro una mucca stecchita e ritrovata in un antico bunker tedesco, con tanto di due assurdi detective, l'ispettore della zona, con buffi tic, e il suo vice Carpentier, da un dente solo. Ma l'anima della storia e un monello dal naso schiacciato e sordo da un orecchio coi capelli rasati a boccia, il P'tit Quinquin del titolo, che gira in bici per la campagna seminando petardi ovunque, lanciando topi morti in aria, osserva beffardo tutto.
Dalle indagine dei detective di provincia ai preti del paese che mettono in scena un'assurdo fumerale cantato per la donna senza testa di monsieur Lebleau. Cosi' assurdo che tutti gli attori si mettono a ridere e Dumont infila tutto nel film. Come fosse un extra. Commedia sperimentale, di gran gusto e, sulla carta, preferibile alle due ore e mezzo di viaggio in Cecia di Hazanavicious.








