TU CHIAMALE, SE VUOI, RIVELAZIONI – PETRUCCIO, IL CHITARRISTA DEI DIK DIK, RICORDA NEL SUO LIBRO UN LUCIO BATTISTI INSOFFERENTE ALL’EGOISMO DI MOGOL (“RIESCE A INTERPRETARE LE COSE CHE HO DENTRO COME NESSUNO MA PENSA SOLO A SE STESSO”) – COME IN MOLTE ROTTURE STORICHE, “CHERCHEZ LA FEMME”: IL FUTURO GENIO DEL POP SI INNAMORÒ DI UNA BIONDINA DI BOLZANO CHE GLI PREFERÌ PRIMA IL TASTIERISTA DEL GRUPPO E, POI, MOGOL...
Mario Luzzatto Fegiz per "Il Corriere della Sera"
«Quando mi arrivano i testi di Pasquale Panella li leggo una volta e non li capisco. Ma come per magia mi suggeriscono la musica adatta. Poi vado in sala di registrazione e lì canto da seduto. Sì, da seduto, perché se lì canto in piedi poi sudo. E se io sudo per fare un disco questo disco dovrebbe costare di più». Così diceva Battisti nella fase finale della carriera, quando la sua creatività si era fatta sempre più ermetica e a volte lo scollamento dal reale era assai pronunciato.
Tutto ciò nel ricordo di Pietro Montalbetti, detto Pietruccio, leader dei Dik Dik e intimo amico dell'artista ben prima che diventasse famoso. Io e Lucio Battisti (Salani editore pagine 251, euro 13,90) è senza dubbio il primo libro su Battisti con notizie «di prima mano» sul grande artista. E si scopre che l'insofferenza a Mogol nasce molto tempo prima della clamorosa rottura.
«Devo ammettere - confida Battisti a Pietruccio - che stiamo facendo un buon lavoro, e che Mogol riesce a interpretare le cose che ho dentro come nessuno. Passiamo ore insieme a lavorare. Ha solo un grosso difetto, quello di ammorbarmi con il fumo delle sue sigarette, che non spegne un secondo. Ma la cosa che mi fa più male è che, nonostante tutto il tempo che trascorriamo insieme non mi ha mai chiesto come sto, cosa penso, se mi trovo a mio agio a Milano, e neppure dove abito, per non parlare della mia famiglia! Non è come te e tua madre, che vi occupate di me: lui pensa solo a se stesso».
«Per la verità - spiega Pietruccio -, Mogol era così con tutti. Ogni volta che ci incontravamo mi chiedeva di ripetergli il mio nome, finché un giorno non mi arrabbiai e lo imparò». Ma, come in molte rotture storiche, «cherchez la femme». Che in questo caso è una bionda di Bolzano, Elisabetta, di cui Lucio Battisti si innamora perdutamente.
Piange e si dispera. «Ma lei - ricorda Montalbetti -, invece, si lega al più fragile e ricco della compagnia, Mario Totaro, il tastierista del gruppo che le affitta un bilocale al Giambellino. Ben presto emerge che lei ha un figlio e nel bilocale compaiono effetti personali di un altro uomo. Finché un giorno il colpo di scena: Totaro la sorprende con un altro uomo. Lucio Battisti? No. Mogol».
Nel libro esce un Battisti dalle risorse imprevedibili. Una notte chiama l'amico Pietruccio: è senza benzina al freddo nei pressi di Corbetta. Una volta giunto sul posto Montalbetti chiede: ma da dove mi hai telefonato? Lucio, in silenzio e con una punta di vergogna, indica un distributore di gettoni col lucchetto appena forzato. Era a trovare un'amica e la storia era seria.
Un giorno Battisti e l'amico vanno al Palalido a un concerto di Santana. «Non so perché ma a Lucio non piaceva come suonava e cominciò ad inveire ad alta voce mettendomi in imbarazzo». Il successo deve ancora arrivare quando Pietruccio e Lucio Battisti decidono di recarsi a Sanremo. Scopo del viaggio: «annusare la gloria».
Vengono cacciati dal Casinò perché privi di cravatta, ma attraverso i labirinti e le cucine riescono ad arrivare al palco del salone delle feste. Il luogo è deserto e polveroso. I due rimangono in silenzio, rotto da Pietruccio: «Chissà se un giorno riusciremo a cantare su questo palco». E Battisti replica: «Io dico che ce la faremo, lo sento. Sarebbe un sogno, ma comunque cominciamo a sognare». Di lì a pochi anni il sogno si sarebbe avverato.
«Nel 1969 - racconta Montalbetti - noi Dik Dik ci presentammo a Sanremo in coppia con Rita Pavone cantando il brano "Zucchero" e Lucio, ancora poco conosciuto, si esibì per la prima volta davanti a una grande platea con la sua canzone "Un'avventura" in coppia con un grande del soul, Wilson Pickett. Il look glielo avevo consigliato io: foulard al collo e pantaloni neri a righine bianche».
Ma al di là degli episodi specifici la bellezza del libro sta soprattutto nella puntale descrizione del contesto in cui si sviluppa la personalità di Battisti: una Lombardia ancora agricola, con le chiatte che solcano i Navigli, la cattura dei pesci nelle risaie, una Milano in pieno boom economico e culturale. E poi la magia creativa di Battisti in sala d'incisione quando registra «Emozioni», e riesce a trasmettere agli archi e a tutti gli strumenti il senso di una passeggiata a cavallo uscendo «nella brughiera di mattina dove non si vede a un passo» e «seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi ritrovarsi a volare».






