CI VUOLE UN...METAFISICO BESTIALE! LA MOSTRA DI LUCA CARBONI A BOLOGNA CON I DISEGNI E I QUADRI DEL MUSICISTA: “MI PIACEVA GIRARE PER BOLOGNA DESERTA DI NOTTE, OGNI VIA ERA UN QUADRO METAFISICO” – IL TUMORE AL POLMONE (“GLI STRISCIONI DEI TIFOSI ALLO STADIO E AL PALASPORT MI HANNO FATTO PIANGERE”), LUCIO DALLA (“FU IL MIO 'X FACTOR', NON CREDO CHE OGGI AVREI AVUTO MAI IL CORAGGIO DI PARTECIPARE A UN TALENT PER FARMI NOTARE”) IL DISCO DA RIPRENDERE IN MANO E QUEL GIOCO VOCALE SENZA SENSO “RIO ARI O” CHE E' DIVENTATO… - VIDEO
Emilio Marrese per “la Repubblica” - Estratti
Ci vuole un metafisico bestiale. Anche per smettere di bere e di fumare, sai, dopo essersi fatti levare un tumore al polmone, due anni fa. C’è del De Chirico («e anche Giorgio Morandi») nei paesaggi porticati bolognesi dipinti, tra le tante cose, da Luca Carboni, da oggi in mostra al Museo della Musica fino al 9 febbraio (curatela Luca Beatrice, produzione Elastica):
«Mi piaceva girare per Bologna deserta di notte, ogni via era un quadro metafisico e sì, la metafisica mi ha sempre attratto».
Il sessantunenne cantautore celebra così i suoi quarant’anni di canzoni e disegni dall’uscita del primo album ...intanto Dustin Hoffman non sbaglia un film , ma anche e soprattutto quelli che verranno, dopo la malattia che lo ha costretto allo stop nel 2022.
Partiamo dal titolo: perché “Rio Ari O”?
«Perché è la prima cosa che mi hanno sentito cantare, quel gioco vocale senza senso nato con Lucio Dalla, all’inizio di Ci stiamo sbagliando. Mi piace pensare che quel suono sia diventato un simbolo, un logo».
È quella la sua canzone che canta più spesso sotto la doccia?
«No, sono più legato a quelle meno famose come A mando le donne, dello stesso disco, o Autoritratto».
Un suo autoritratto è il quadro scelto come manifesto della mostra. Faccia metà bianca e metà nera, in preghiera.
«È del 2004, c’è la mia dimensione di spiritualità e cristianità che unisce gli opposti, Occidente e Oriente, islamismo e cattolicesimo simboleggiati dalla luna turca e dalla stellina sullo sfondo».
(...)
ron luca carboni biagio antonacci
Cosa è cambiato dopo aver svelato il suo male in un’intervista a Walter Veltroni a settembre?
«Sicuramente si è accesa una grande attenzione su di me e ho ricevuto tanto affetto, anche girando per strada. Le pacche sulle spalle, gli striscioni dei tifosi allo stadio e al palasport che mi hanno fatto piangere. E dato tanta energia. Poi l’affetto dei miei colleghi, che prima sapevano, si informavano, ma rispettavano la distanza».
E dentro di lei cosa è cambiato?
«Stanno ancora cambiando tante cose. La principale ora è l’empatia verso tutti quelli che hanno il mio stesso problema, specie quelli sospesi tra guarire e no. Era un mondo che prima non conoscevo e cercavo di non vedere. Ora mi è entrato dentro, mi ha insegnato altri valori e priorità sebbene non sia facile comunicare questi stati d’animo. Mi ha dato anche serenità e voglia di aiutare gli altri ad avere fiducia».
Ritirando fuori dal cassetto tanti appunti, provini perduti, fotografie, che cosa prova vedendo quel bel ragazzino del 1984?
«Commozione. Mi rendo conto di quanto sia stato fortunato a vivere quell’epoca, a essere libero di seguire l’istinto grazie anche a una famiglia che non ha mai avuto paura della musica e non mi ha mai spinto a cercare un lavoro sicuro. Ad avere maestri come Dalla o Renzo Cremonini, suo produttore e poi anche mio, che mi hanno dato in poco tempo tanti strumenti per valorizzare il mio talento e il desiderio di vivere di musica. Ho vissuto anche con tanta leggerezza il successo arrivato rapidamente e misteriosamente. Ancora oggi cerco di capire cos’è accaduto».
E ha rispettato i sogni di quel ragazzino?
«Sì, è lui che cerca ancora di farmeli rispettare».
Il suo X Factor fu un testo fatto recapitare al tavolo di Lucio Dalla all’osteria Vito.
«Lo spiavo, vidi che lo lesse e disse “bello” poi andò al telefono per chiamare il numero che avevo scritto sul foglietto.
Ma ero lì e mi presentai.
Non credo che oggi avrei avuto mai il coraggio di partecipare a un talent show per farmi notare, chissà. Comunque alla Rca organizzarono un’audizione in teatro per tutti i nuovi cantanti, davanti a dipendenti e autori, un pubblico interno e una giuria, con una vera ripresa televisiva per studiarne le reazioni. Una specie di X Factor l’ho fatto anche io...».
C’è una canzone che invece cancellerebbe dal suo repertorio?
«No, neanche quelle che pensavo potessero essere più importanti e che non sono esplose».
Quando ha iniziato a dipingere?
«Fin dai tempi del primo disco, disegnando gli storyboard per i videoclip. Poi per le copertine dei miei album. Era un mio viaggio personale parallelo alla musica che volevo tenere segreto per poterlo vivere più liberamente, senza ansia da prestazione, critiche, giudizi. Ma già da qualche anno maturavo l’idea di aprire pubblicamente questo cassetto per mostrare tutto il mondo che c’è dietro chiunque faccia arte, una malacopia della mia musica».
E quando tornerà a cantare?
«Prima della diagnosi avevo un disco a buon punto, sono pronto a riprenderlo in mano. Magari mi sentirete entro il 2025».