OUTLET DA CONCERTO - DA “NON LUOGO” A “OMBELICO DEL POP”: I CENTRI COMMERCIALI DIVENTANO LE NUOVE PIAZZE DEL POP IN CRISI

Paolo Giordano per "Il Giornale"

Un concerto dietro l'altro, a macchia di leopardo, per tutta l'estate. E gratis, soprattutto gratis. Gli outlet sono le nuove piazze delle musica popolare leggera (ma anche del jazz, come vedremo) perché mescolano la loro straordinaria capacità attrattiva con strutture in grado di ospitare quei concerti che altrove non è più possibile organizzare.


E così l'estate del 2013 sarà quella che consacrerà un nuovo luogo pop: il centro commerciale. Per carità, non è il primo anno che accade. Ma mai il fenomeno era stato così imponente. Per capirci, solo negli ultimi giorni al McArthurGlen Designer di Serravalle si sono esibiti uno via l'altro Chick Corea (pianista di esagerato livello), Richard Galliano (fisarmonicista che ha inciso persino con Chet Baker), Tania Maria (in Brasile è quasi una dea del jazz) e poi Lisa Stansfield con James McCartney (figlio di) e infine l'elegante Simona Molinari. Pubblico di migliaia o decine di migliaia di persone a botta, roba che ormai non è più così facile vedere. Sabato a Noventa di Piave (stessa catena di outlet) c'era Malika Ayane.

Nello stesso momento al Palmanova Village andava in scena addirittura un concorso per giovani emergenti (vinto dalla brava Tina Quaranta). E non è stato un caso isolato visto che va avanti da mesi senza alcuna barriera di genere né di età. Esempio: il 7 luglio al Fashion District di Molfetta ha cantato Al Bano, certo famosissimo ma non proprio un idolo di quei teenager che invece hanno fatto la fila al Valdichiana Outlet Village di Foiano per Alessandro Casillo, Sonohra, Federica Camba, Marco Ligabue, Loredana Errore e le rinate Lollipop (oltre a Umberto Tozzi e Mario Biondi). E il numero uno della classifica inglese, l'eclettica Caro Emerald, è venuta qui da noi per cantare all'Outlet La Reggia.

Insomma un circuito parallelo, timbrato dalla parola magica (gratis) e probabilmente destinato a ricalcare il roboante percorso seguito dalla grande distribuzione, da anni sempre più centrale nella vita di tutti e tutti i giorni. Una volta c'era il sabato del villaggio, oggi la domenica dell'outlet, diventato luogo di raccolta spesso svincolato da necessità di acquisto.

Una sorta di «struscio 2.0», un polo «ricreativo» che, a differenza di tanti altri, gode di facilità logistiche sempre più preziose (parcheggi, bar, aria condizionata ecc.). Ovvio che anche la musica ne approfitti lanciando un segnale di cambiamento da non sottovalutare. E destinato probabilmente a evolversi, pur tra i soliti sghignazzi cinici (o impauriti) che accolgono i cambiamenti.

D'altronde, al di là degli eventi enormi, quelli negli stadi o nei sempre più rari grandi festival, a risentire della crisi è la cosiddetta classe media del pop e del rock, azzoppata soprattutto in Italia da una desolante mancanza di spazi dignitosi dove esibirsi.

È il risultato di una avvilente e decennale latitanza culturale e di una diffusa ostinazione, per di più sempre celata tra le righe, a non riconoscere la musica come fonte culturale meritevole di luoghi adatti a essere suonata e ascoltata. Non è un caso che l'Iva sui cd continui a essere identica a quella riservata agli yacht o ai tartufi, ossia ai beni di lusso.

Quindi va da sé che, a differenza di tanti altri paesi occidentali, non ci siano luoghi destinati specialmente ai concerti di media o grande dimensione, progettati con attenzione all'acustica e ai servizi generalmente riservati agli show. Una débâcle quasi inevitabile.

Alla fine il boom degli «outlet da concerto» compensa quella stagflazione del circuito della musica dal vivo, che ha messo a durissima prova non solo gli artisti ma pure i promoter. E che è, diciamola tutta, un segno forse marginale ma sempre lancinante dei nostri ansimanti ritardi culturali.

 

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