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LA ROMA DEI GIUSTI – IN “DEAR EVAN HANSEN”, TRATTO DAL PREMIATISSIMO MUSICAL DI QUATTRO ANNI FA A BRODWAY, NON C’È QUASI NIENTE CHE FUNZIONI E DI MELENSAGGINE CE NE È UN FILO TROPPA. LA STORIA, ULTRA-POLITICAMENTE CORRETTA, CON IL RAGAZZO TIMIDO E POVERO CHE SI FA PASSARE COME L’UNICO AMICO DEL RAGAZZO RICCO E SUICIDA E SFONDA SU INSTAGRAM, NON SI RAFFORZA CON L’ARRIVO DELLE CANZONI, MA SI ALLARGA UN PO’ STANCAMENTE… VIDEO

 

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Marco Giusti per Dagospia

 

Mi sono svegliato stamane alle 7 per vedere “Dear Evan Hansen”, tratto dal premiatissimo musical di quattro anni fa a Brodway di Justin Paul & Benj Pasek, gli stessi autori delle canzoni di “La La Land”, diretto dallo Stephen Chbosky di “Noi siamo infinito” e di “Wonder”, una sorta di Moccia acculturato, e interpretato da due degli stessi attori della commedia, Ben Platt come lo sfigato ragazzotto timido Evan Hansen e Colton Ray come il ragazzo problematico e suicida Connor Murphy.

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E diciamo non credo di aver fatto benissimo a svegliarmi alle 7 per vedere il film. Adoro i musical, di solito detestati dal pubblico italiano, e mi erano piaciuti sia ”Wonder” che “Noi siamo infinito”, un po’ melensi, sì, ma funzionanti. Qui, purtroppo, non c’è quasi niente che funzioni e di melensaggine ce ne è un filo troppa. Il protagonista, ormai ventottenne, malgrado la faccia un po’ alla Pierino coi riccioletti e lo zainetto, non è più credibile come diciottenne, e Colton Ray ha solo la fortuna che si vede meno.

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Le mamme dei due ragazzi, Julianne Moore, nel ruolo di una infermiera che non c’è mai a casa e lavora sodo per permettere il college al figlio, e Amy Adams, come mamma del ragazzo suicida che cerca di aggrapparsi a ogni cosa per non perdere del tutto il figlio, sono brave, ma un po’ lacrimose, soprattutto la Adams. E la storia, ultra-politicamente corretta, con il ragazzo timido e povero che, per una serie di equivoci, si fa passare come il migliore e unico amico del ragazzo ricco e suicida e sfonda su Instagram, non si rafforza con l’arrivo delle canzoni, ma si allarga un po’ stancamente.

 

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Quando, ormai, siamo abituati ai ragazzi fluidi di “Euphoria”, a Zendaya e a Hungter Schafer, a temi forti di identità sessuale. Mi piace solo l’elenco dei medicinali contro ansia e depressione che si fanno Evan e la Alana di Amandla Stemberg. Ci credo che non è andato bene in America, 28 milioni di budget, 14 di incasso. 

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