PEP UBER ALLES! - SE GUARDIOLA HA SCELTO IL BAYERN È PERCHÉ I TEDESCHI SONO RICCHI E SENZA DEBITI, GIOCANO UN OTTIMO CALCIO E VALORIZZANO IL VIVAIO (COME FA IL BARÇA) - E POI LA BUNDESLIGA È UN CAMPIONATO GIOVANE, SPETTACOLARE E CON STADI MODERNISSIMI, QUASI SEMPRE ESAURITI - PEP HA RIFIUTATO I MILIONI ARABI E RUSSI PERCHÉ LA GERMANIA È IL PAESE PERFETTO PER CONTINUARE A SPERIMENTARE E A STUPIRE, CON MENO PRESSIONI CHE ALTROVE…

1 - A MONACO UN PROGETTO «FUTBOLISTICO»
Alessandro Pasini per il "Corriere della Sera"

Ci sono tante buone ragioni per pensare che Guardiola e il Bayern siano fatti l'uno per l'altro. La prima è che il Fußball-Club è una società solida, di tradizione, diretta da bandiere del passato e ricca, la quarta più ricca al mondo dopo Real Madrid, Barcellona e Manchester United (ma senza debiti). Può spendere, insomma, e ha voglia di migliorare anche se è già al top: ha giocato (e perso) due delle ultime tre finali di Champions League e sta viaggiando comoda verso il suo 23° titolo nazionale.

Ma i grandi non si trastullano sui successi e in Baviera il sogno di costruire un modello duraturo come quello del Barça - stravincente anche dopo l'addio di Guardiola - è vivo. Quello dunque che ha convinto Pep a virare dalla Premier League (il suo antico sogno neanche nascosto) alla Bundesliga è stato proprio il progetto «futbolistico» del Bayern. L'idea cioè di continuare a vincere con una nuova scuola di tecnica e di pensiero, attingendo al settore giovanile e pescando sul mercato giocatori funzionali. Non le figurine che gli avrebbero messo in spogliatoio (con relative, isteriche aspettative) Abramovich al Chelsea o lo sceicco Mansour al City.

A pallone fermo, è un perfetto incrocio di culture che ieri il presidente onorario del Bayern, Franz Beckenbauer, ha fotografato così: «Non riesco a immaginare un tandem migliore di Matthias Sammer e Guardiola». Dove Sammer è il direttore tecnico, l'unico nella sala comandi del club a non aver mai giocato in maglia rossa. Perché anche in una realtà a connotazione così «familiare» c'è flessibilità.

La squadra è forte, ha un'età media più bassa del Barça (26,20 vs. 26,50) e gioca già un bel calcio. Obiezione comune: è un calcio diverso da quello blaugrana. Ma, a parte che il Bayern si muove già bene palla a terra e possiede la sottile arte del passaggio, non sta scritto da nessuna parte che Pep dovrà fotocopiare quanto fatto al Camp Nou, a meno che il piano di conquista bavarese non preveda pure l'acquisto di Messi, Iniesta e Xavi.

Il Bayern poi, altro particolare non secondario, frequenta il campionato più stimolante d'Europa. La Bundesliga - specchio perfetto della Germania e del suo movimento calcistico all'avanguardia - è ricca, spettacolare, giovane, aggregante (stadi quasi sempre esauriti), in crescita (solo lì gli spettatori aumentano). Non che la Premier League sia diventata di colpo un'altra serie A.

Il fatto è che - scartati Chelsea e ManCity, e appurato che l'unico club dove sarebbe stato possibile esportare il proprio modello, il Manchester United, resterà appaltato ancora a sir Alex Ferguson - in Inghilterra ci sarebbero stati più pressione mediatica e troppi rischi in caso di risultati non subito positivi.

Conoscendolo, Pep imparerà il tedesco. Forse anzi, come fece Mourinho con l'italiano prima di arrivare all'Inter, lo sta già studiando. Incontrerà una nuova cultura e, da uomo e tecnico di mondo, la assimilerà senza problemi. L'obiettivo sul campo sarà vincere Bundesliga e Champions in bello stile, quello più ampio dimostrare che è un grande allenatore anche in un contesto non protetto come Barcellona. Un bel programma, degno del personaggio. «Dará lustro non solo a noi ma a tutto il calcio tedesco», ha detto entusiasta il presidente del Bayern, Karl Heinz Rummenigge. Uno che se ne intende: chi sa di calcio lo sa per sempre, e ovunque.

2 - IL TRIONFO DELLA BUNDESLIGA STADI, GIOCO E BILANCI AL TOP
Enrico Sisti per "la Repubblica"

L'arrivo di Pep ufficializza il definitivo salto di qualità della Bundesliga. Ora lo possiamo chiamare, senza paura, "das Meisterschaft", il campionato. Il migliore, da qualche tempo anche per il bel gioco offensivo, il più virtuoso, perché i bilanci dei club tendono al positivo (ben il 57% delle società professionistiche non sono in rosso, altrove si resta al di sotto del 39%, e il 52% di questi gruppi possono vantare profitti rilevanti, più del 20% negli ultimi due anni ha incrementato il proprio fatturato del 15%), il più democratico perché gli stipendi sono a norma, il più promettente perché la Germania ha già superato l'Italia nel numero di squadre qualificate per la Champions.

La prossima casa agonistica di Guardiola è un universo modello che non supera la Premier per volume complessivo di affari ma forse neppure vuole: 3 mld di euro contro 2,5 mld. Sono vietate le follie per acquisti e ingaggi, i settori giovanili sono funzionanti, la cultura sportiva multietnica è un dato di fatto da anni, gli stadi sono sempre pieni: fra i sei stadi più affollati d'Europa (e quindi del mondo) il primo è il Westfalenstadion di Dortmund, 80.577 spettatori di media per una capienza di 80.645, il che vuol dire che viene sfruttato per il 99,9% delle sue possibilità. Dopo Camp Nou, Old Trafford e Bernabeu, 5° è l'Allianz Arena di Monaco e 6° il Veltins-Arena di Gelsenkirchen dove gioca lo Schalke 04.

È qui che ancora si percepisce, diffuso e contagioso, il fascino discreto del calcio, quasi una sensazione di antico, soprattutto se il riferimento base restano i più blasonati, sbandierati ma finanziariamente critici Premier e Liga.

La Bundesliga, cui sta cercando di somigliare la Ligue 1 francese, emana un fascino sottile ma travolgente che si può riassumere nell'exploit del Borussia Dortmund di Jürgen Klopp, il Kusturica del pallone, la guida spirituale e fisica di una banda d'orchestrali provenienti da ogni angolo d'Europa e che si perfeziona nella lungimiranza dei dirigenti del Bayern, con la sua rosa ricca di scuole, tanto variegata quanto cementata, inclusi il nero austriaco Alaba, il fratello di Kevin Prince Boateng, Jérome, di nazionalità tedesca però, il bahiano Dante e il «napoletano» Contento.

Il tutto arricchito dai fenomeni "normali", da Schweinsteiger, Müller, Gomez, Kroos, quelli della Germania di Löw. Così viene da domandarsi: ma come gli è potuta sfuggire la Champions dello scorso anno? Se Guardiola ha scelto Monaco di Baviera disdegnando i soldi arabi e russi, se ha scelto la Bundesliga che domani con l'anticipo Schakle-Hannover riparte dopo la pausa invernale, non ci deve essere per forza un motivo.

Non uno solo. Se la calamita del nuovo mascherato da tradizione ha funzionato anche su Pep vuol dire che la Germania è il paese perfetto per continuare a sperimentare e a stupire. E forse lo si può anche fare con meno pressioni che altrove. Se non altro Mourinho sarà troppo lontano per farsi coinvolgere in dispute d'altri tempi...

 

 

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