MY DEGENERATION! - “WHO I AM”: PETE TOWNSHEND RACCONTA IN UN LIBRO LA VITA SVALVOLATA DELLA ROCKSTAR, FRA DROGHE, VIOLENZE E SOLITUDINE - “JAGGER È L’UNICO UOMO CON CUI AVREI FATTO SESSO. UNA VOLTA LO VIDI IN PIGIAMA E SENZA MUTANDE, MI RESI CONTO CHE ERA MOLTO DOTATO” - COPIÒ DA KEITH RICHARDS IL MODO DI PERCUOTERE LA CHITARRA, SUGGERÌ A DAVID BOWIE L’IDEA DI ZIGGY STARDUST, E HA UN PESSIMO RICORDO DI WOODSTOCK: “UNA TOTALE MANCANZA DI ORGANIZZAZIONE”…

Giuseppe Videtti per "la Repubblica"

Il libro è uscito ieri, e già lui dice: «Forse non ho fatto la cosa giusta, ho scritto con troppa franchezza, rischio di essere mal interpretato». Pete Townshend non è entusiasta di
Who I am (Ed. Harper Collins, 544 pagg.), l'autobiografia che esplora i lati più oscuri e morbosi di una vita vissuta sopra le righe, da vero rocker.

«Ho paura che qualcuno possa sentirsi offeso, io racconto tutto, faccio nomi e cognomi», dice il leggendario chitarrista degli Who, 67 anni. Se la sarà presa Mick Jagger per quelle poche righe che hanno fatto il giro dei tabloid? «Mick è l'unico uomo con cui avrei fatto sesso... Una volta lo vidi in pigiama e senza mutande, mi resi conto che era anche molto dotato». Anni dopo, «in una notte in cui avevo ingerito qualche Madrax (un ipnotico, ndr) di troppo mi svegliai in uno stato di trance mentre Danny Fields, l'impresario rock, mi stava palpando. Non lo allontanai. Mi piacque quel che mi fece, anche se non gli permisi di penetrarmi».

Mentre è ancora in giro per le librerie americane per promuovere la biografia più attesa di questi ultimi anni, Townshend si tortura come non ha mai smesso di fare da quand'era adolescente. Racconta come se si trovasse di fronte a un analista: l'infanzia disagiata, la furia dei primi anni da mod - quando insieme a Roger Daltrey entrò a far parte dell'aristocrazia del rock grazie a My generation, uno dei più potenti inni giovanili degli anni 60 - la maturità spesa a riconciliarsi con se stesso.

Townshend è cresciuto in una famiglia difficile; suo padre, un sassofonista jazz quasi sempre ubriaco, era incapace di comunicare con la moglie e con quel bambino timido e introverso. «Quando chiesi le prime informazioni sui rapporti sessuali e la procreazione, mi rispose: "L'uomo fa una specie di pisciata dentro la donna". Passai l'informazione a un mio amico più piccolo, lasciandolo col dubbio che gli umani provengano da una sintesi dell'urina».

Alcolista, drogato, spirito inquieto in cerca di un'impossibile redenzione «in un ambiente strisciante», quello del rock, dove non c'era spazio per la spiritualità cui anelava, Townshend si conferma artista incline a più alte aspirazioni intellettuali regolarmente soffocate da una cronica mancanza di autostima che si trascina da quando aveva sei anni. «Fui mandato a vivere da una nonna mentalmente instabile che rimorchiava uomini nel deposito dei bus e nella stazione della metro davanti casa», ricorda. Fu proprio uno di quei signori che lo molestò, lasciandolo pieno di dubbi sulla sessualità, sulla religione, sulle relazioni sociali.

«Ne uscii umiliato e pieno di rancore. Ho trascorso anni in psicoterapia per far luce su quel periodo», scrive. Aveva ben in mente la molestia subita anche la notte del 2003 in cui usò la carta di credito per accedere a un sito che conteneva materiale pedopornografico. «Ho tre figli e sono stato molestato a mia volta, non avrei mai fatto un gesto del genere, mi sentivo il cavaliere bianco, volevo smascherare quell'organizzazione esibendo alle forze dell'ordine le prove», scrive. Invece finì in un'operazione di polizia, pubblicamente umiliato prima di essere assolto ma formalmente ammonito.

All'inizio del quarto capitolo la storia ha già preso una piega chiara. Ansia, frustrazione, rabbia, vergogna: il riformatorio o il rock'n'roll, non c'era altro posto per un ragazzo come lui, l'infanzia negata da bullismo e violenze domestiche avevano messo in moto un processo di ribellione che nessuno avrebbe potuto sedare. «Non m'interessava produrre grande musica», confessa, «ma mettere il pubblico davanti all'evidenza della nostra fragilità - un giorno un aeroplano sgancia un'atomica che in un attimo cancella qualsiasi forma di vita. Può succedere in qualsiasi momento, come aveva dimostrato la crisi cubana appena due anni prima dell'esordio degli Who».

Gli aneddoti di 47 anni di carriera sono troppi per essere anticipati. «Una notte mentre Marvin Gaye stava trattando l'acquisto di una dose di coca della dimensione di una palla da tennis, decisi di dirgli cosa aveva significato per me la sua musica». A Eddie Vedder dei Pearl Jam, che era rimasto traumatizzato dagli effetti del successo e voleva tornare a fare il surfer, con la saggezza di un guru consigliò: «Non siamo noi a decidere, è il pubblico. Siamo stati scelti, a volte anche contro il nostro volere. Accettalo».

Confessa di aver copiato da Keith Richards il modo di percuotere la chitarra facendo cadere il braccio dall'alto, di aver convinto Brian Eno a fare il non-musicista dopo una lettura tenuta nel suo college, di aver suggerito a David Bowie l'idea di Ziggy Stardust, di aver influenzato moltissimo il primo Hendrix, di avere un pessimo ricordo di Woodstock «a causa di una totale mancanza di organizzazione».

Ma niente è più forte del racconto di una vita spesso trascorsa in solitudine. Ora più che mai Townshend è Tommy, che diede il nome al mitico concept-album degli Who del 1968. Un bambino sordo, abusato e traumatizzato che diventa una sorta di messia pop.

 

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